Quando nel 1993 gli irlandesi furono chiamati alle urne per accettare o meno l’adesione all’Unione Europea secondo il Trattato di Maastricht, in prima fila nella battaglia per il “No” si trovarono a sorpresa i più impegnati gruppi cattolici che combattevano a favore della famiglia e della vita. Era certamente una sorpresa per chi è cresciuto nella certezza che l’Europa è erede della fede cristiana e che l’attuale Unione Europea è figlia del pensiero di tre grandi politici cattolici: De Gasperi, Adenauer e Schuman. Il problema è che dalla fine degli anni ’80 la Costituzione irlandese, laddove difende l’unità della famiglia e la protezione della vita fin dal concepimento, è entrata nel mirino delle lobby abortiste e divorziste che hanno lanciato campagne in grande stile fino ad arrivare a durissime battaglie legali e laceranti referendum sull’aborto e sul divorzio. E uno degli argomenti chiave era che divorzio e aborto sono “valori” europei e non si può stare in Europa senza condividerne i valori di fondo. Qualche tempo dopo anche alcuni deputati cattolici polacchi denunciarono che nel processo di avvicinamento all’integrazione europea, in Polonia si tentava di inserire l’introduzione del divorzio e dell’aborto nella legislazione come parte del “pacchetto”. Purtroppo questa impostazione viene confermata nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (un preambolo più 54 articoli divisi in 5 parti che stabiliscono i principi base su vita e bioetica, libertà e sicurezza, solidarietà e lavoro, voto, giustizia e difesa). Approvata al Vertice europeo di Nizza dello scorso dicembre, la Carta ha fatto dire a papa Giovanni Paolo II: “Non posso nascondere la mia delusione per il fatto che non sia stato inserito nel testo neppure un riferimento a Dio, nel quale peraltro sta la fonte suprema della dignità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali”. Il riferimento del Papa è soprattutto alle vicende che hanno condotto al testo del preambolo, dove una prima versione (tedesca) faceva riferimento a una “eredità religiosa comune”, sostituita alla fine da un molto più generico cenno al “patrimonio spirituale”, come fortemente voluto dal premier francese Lionel Jospin. Secondo Jospin, infatti, la religione non fa parte dei “valori consensuali” dei Paesi europei: la sua posizione, che ha trovato una debole resistenza tra i leader politici europei, ha provocato invece una dura reazione tra gli intellettuali francesi, anche laici, che hanno sottoscritto un appello al primo ministro (“Signor Jospin, non abbia paura delle religioni!”), dichiarando la preoccupazione per il “clima di irrigidimento e diffidenza” in cui vive la Francia. Tale questione non può essere ridotta a una questione ideologica. Lo ha chiarito bene ancora il Papa nel messaggio inviato lo scorso dicembre al convegno sui 1200 anni dell’incoronazione di Carlo Magno da parte del papa Leone III. Proprio quella incoronazione è il momento che viene tradizionalmente considerato l’inizio dell’Europa, sintesi della tradizione culturale romana e delle culture dei popoli germanici e celtici, “operata sulla base del Vangelo di Gesù Cristo”. “L’Europa -scriveva il Papa – che non costituiva una unità definita dal punto di vista geografico, soltanto attraverso l’accettazione della fede cristiana divenne un continente, che lungo i secoli riuscì a diffondere quei suoi valori in quasi tutte le parti della terra, per il bene dell’umanità”.
L’impostazione dunque della Carta dei diritti tradisce l’identità stessa dell’Europa. Non solo, costituisce una inquietante ipoteca sul futuro. Giovanni Paolo II lo aveva già avvertito nel 1988 nel famoso discorso al Parlamento Europeo di Strasburgo: “Se il sostrato religioso dovesse essere emarginato non è soltanto tutta l’eredità del passato che verrebbe negata, ma perfino l’avvenire dell’uomo europeo, credente o no, verrebbe gravemente compromesso”. E ancora nella lettera dello scorso dicembre ricordava come nel XX secolo appena concluso “fu la negazione di Dio e dei suoi comandamenti a creare la tirannide degli idoli, espressa nella glorificazione di una razza, di classe, dello Stato, della nazione, del partito in luogo del Dio vivo e vero”. A dimostrazione che “i diritti di Dio e dell’uomo s’affermano o cadono insieme”. L’Europa che s’affaccia al terzo millennio dunque sembra voler ripetere gli errori del passato più recente, proponendo un modello di società che possa fare a meno di Dio, ed ecco perciò che la Carta apre la strada a nuove aberrazioni: vieta la clonazione, ma soltanto quella destinata alla riproduzione; legittima le unioni di fatto (introduce la parola “famiglie” al posto di “famiglia”), apre alla possibilità dell’eutanasia mentre da per scontata la liceità dell’aborto. Inoltre non viene dato riconoscimento giuridico a Chiese e comunità religiose. Come rispondere a questa situazione? Certo, la “reazione irlandese” è comprensibile, ma il “No all’Europa” non può essere la risposta più adeguata. Anzitutto perché in Europa ci siamo comunque e restarne fuori è un assurdo geografico e culturale; e in secondo luogo perché l’autoemarginazione non rientra nello spirito dell’esperienza cristiana. Non per niente dall’inizio di questo pontificato siamo continuamente richiamati all’impegno di rievangelizzare l’Europa e solo da qui potrà venire la possibilità di cambiare il corso dell’Unione Europea. In fondo l’incoronazione di Carlo Magno seguiva alla grande opera di evangelizzazione iniziata dai monaci quando l’Impero Romano si stava dissolvendo. E oggi dunque, in un continente votato al suicidio (basti pensare all’allarmante fenomeno della denatalità), siamo tutti chiamati a essere i “nuovi monaci”.
RICORDA
“Il rispetto dei diritti umani è strettamente legato a quello dei diritti di Dio. Non c’è futuro di pace per una società che non rispetta Dio. (…) Ogni comunità umana, che aspira alla pace, non può non porre alla base della sua convivenza il riconoscimento del primato di Dio e il rispetto della libertà religiosa”.
(Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Comitato di Informazioni ed Iniziative per la Pace, Città del Vaticano, 5 marzo 1999).
“Oggi più che mai il cristiano deve essere conscio di appartenere a una minoranza e di essere in contrasto con ciò che appare buono, ovvio, logico per lo ‘spirito del mondo’, come lo chiama il Nuovo Testamento. Tra i compiti più urgenti per il cristiano, c’è il recupero della capacità di opporsi a molte tendenze della cultura circostante, rinunciando a certa solidarietà troppo euforica post-conciliare”.
(Cardinal Joseph Ratzinger, in Vittorio Messori, Rapporto sulla fede, Paoline, Cinisello Bal.mo (MI) 1985, p. 117).
IL TIMONE N. 12 – ANNO III – Marzo/Aprile 2001 – pag. 14-15