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13.12.2024

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L’identità cattolica

L’identità cattolica

 



Sono molte le differenze tra la dottrina professata dalla Chiesa cattolica e quelle delle confessioni protestanti.
Eucaristia e confessione, in modo speciale. Ricordarle giova anche al dialogo


È un tempo questo in cui si dice che i cristiani debbono ritrovare la loro specifica identità. È vero, ma credo sia bene aggiungere che all’interno della identità cristiana noi cattolici dobbiamo riscoprire con pienezza le nostre caratteristiche specifiche. Non certo per alzare steccati o per aggravare divisioni, ma proprio per facilitare, nella chiarezza e nella verità, la conoscenza e l’incontro reciproco. E anche per cercare di rispondere a coloro – e sono tanti anche tra i credenti – i quali sono convinti che i guai e la presunta arretratezza dei Paesi a prevalenza cattolica siano in gran parte dovuti proprio al fatto di non aver goduto della Riforma e di essere invece rimasti sotto l’influenza della Chiesa romana.
Cercheremo dunque di chiarire perché, nati cattolici e battezzati in questa Chiesa, pensiamo che sia bene continuare ad esserlo anche quando, cresciuti, abbiamo potuto renderci conto di persona di come stanno le cose. In altre parole, qual è non solo l’ampiezza della verità ma anche la ricchezza e la bellezza del cattolicesimo. Ma procediamo per gradi.
Partiamo anzitutto dai problemi di fede all’interno dei quali evidenzieremo soltanto gli aspetti più importanti. Come sappiamo, noi cattolici differiamo dalle Confessioni riformate in alcuni punti non certo marginali. Il primo riguarda soprattutto i due sacramenti della confessione e della eucaristia. Il sacramento della penitenza, infatti, non esiste nel protestantesimo mentre invece, per quanto riguarda l’eucaristia, esso è stato sostituito dalla “cena”. Da una parte, dunque, presso i fratelli separati manca quel dono grande rappresentato dalla confessione che ci aiuta, ogni volta che la pratichiamo, a mettere a fuoco lo stato della nostra anima. Ma che, soprattutto, attraverso il sacerdote, rinnova quel gesto di assoluzione che Gesù stesso così spesso ha compiuto: «ti siano perdonati i tuoi peccati», accompagnato dall’aiuto di una grazia specifica: «va e non peccare più». Della nostra fede cattolica fa dunque parte questa mediazione sacerdotale. E quanto essa sia necessaria ce lo ricordano le parole stesse di Gesù a Pietro: «Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato anche nei cieli, tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche nei cieli».
Per quanto riguarda l’eucaristia poi, sappiamo bene quale differenza sostanziale ci sia con la “cena”. Mentre quest’ultima, infatti, è solo il ricordo degli eventi e dei gesti di quell’ultima cena che precedette la passione e la morte di Gesù, l’eucaristia è il ripetersi reale, seppure in forma sacramentale, di tali gesti e delle loro conseguenze. Gesù, dunque, non torna solo nel ricordo ma è materialmente presente nel pane e nel vino consacrati, con il suo corpo e con il suo sangue e, dunque, con tutta la grazia e la salvezza che la sua morte e la sua risurrezione ci hanno guadagnato.
È facile capire come tutto questo abbia conseguenze rilevantissime su tre aspetti tra loro legati: il sacerdozio ministeriale, la liturgia, il concetto di Chiesa. Il sacerdote cattolico, infatti, a differenza del “pastore”, è davvero un “alter Christus” quando assolve dai peccati o consacra pane e vino, è cioè un tramite per portare realmente Cristo tra noi, vivo e operante come duemila anni fa in Palestina. E la liturgia che egli celebra non è solo un rivivere nel ricordo, ma un rinnovare continuamente nella sua realtà e nella sua efficacia l’Opus Dei, cioè l’incarnazione, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo nel tempo storico, in attesa del suo ritorno. Il concetto di Chiesa che ne deriva non può, di conseguenza, che essere diverso. Essa, infatti, non è solo la custode della Scrittura, ma anche la mediatrice della redenzione nel tempo, proprio tramite i sacramenti. Per tutto questo essa è anche interprete della Scrittura – a differenza del libero esame in uso presso i nostri fratelli riformati – e custode di quella Tradizione viva che giorno dopo giorno si va formando. Tradizione che nasce da un insieme di fattori, e cioè dal fecondo incontro tra la Scrittura, nella interpretazione sempre più approfondita sotto la guida dello Spirito e, appunto, la grazia operante che accompagna la celebrazione dei Misteri nella vita liturgica e che produce continuamente nuovi frutti di fede e di carità dei quali i santi, con le loro diverse spiritualità, sono testimonianza efficace.
Di questa Tradizione fa parte anche un altro aspetto che ci differenzia notevolmente dai nostri fratelli cristiani e cioè quello che riguarda Maria. Sappiamo infatti come la Chiesa cattolica abbia continuato a riflettere su questa Donna, chiamata ad un destino così straordinario, anche dopo i primi dogmi mariani. E lo abbia fatto non solo con l’approfondimento teologico, ma anche con una devozione sempre più viva e ricca e con un inserimento sempre più ampio nella vita liturgica. Tutto questo ha dato vita ad un grande sviluppo della mariologia, fino agli ultimi due dogmi mariani della Immacolata Concezione e della Assunzione. Processo che è avvenuto spesso tra discussioni anche accese, ma mai per forzature sentimentali o esclusivamente devozionali. Quanto, piuttosto, capendo sempre meglio quale unione profonda ed essenziale ci fosse tra il Verbo incarnato e sua Madre. E intuendo, di conseguenza, le prerogative e il ruolo importantissimo di questa Donna chiamata non solo a dare a suo tempo un corpo al Verbo di Dio, ma anche a continuare questa sua generazione, nel tempo della Chiesa, nel cuore di ogni uomo come mediatrice di fede e di grazia.
Ma le divergenze nella fede non esauriscono il campo delle differenze che, come era ovvio, hanno avuto conseguenze anche nel campo della attuazione della fede stessa e cioè nel campo pratico, morale e delle quali forse solo in questi ultimi decenni siamo in grado di valutare la portata. Teniamo infatti presente che proprio dal mondo protestante è giunto ed è andato sempre più allargandosi e approfondendosi l’attacco alla morale tradizionale che ora è penetrato ampiamente anche in ambiente cattolico. La cosa è comprensibile se pensiamo ad alcune caratteristiche della Riforma alle quali abbiamo già accennato. Porsi, per esempio, davanti alla Scrittura nell’atteggiamento del libero esame, e cioè senza la mediazione della Chiesa, significa per un verso scegliere quel “secondo me”, quell’individualismo che ha finito per diventare la legge suprema dell’etica. Dunque, significa creare anche un terreno favorevole al nascere e al diffondersi delle tante e pericolose ideologie che stanno caratterizzando la modernità.
Per un altro verso, significa rifiutare il ruolo mediatore di quel Magistero che è strettamente unito alla Chiesa così come Cristo l’ha voluta, proprio perché è importantissimo. E questo non solo perché il Magistero assicura la compattezza e l’unità, ma anche e soprattutto perché garantisce, con il carisma speciale che è assicurato al Papa e alla Chiesa, e al di là dei personalismi e degli egoismi individuali, la lucidità necessaria per mantenersi saldi e coerenti nei principi, al di là delle mode che vanno susseguendosi nel tempo. Senza tenere inoltre conto che è proprio una vita sacramentale quale è quella che propone e suggerisce la Chiesa cattolica, con confessione ed eucaristia frequenti, il migliore aiuto per mettere in pratica quella guarigione della propria vita che permette di far fronte alle esigenze morali evangeliche e di intaccare progressivamente quella durezza di cuore che Gesù indica come la motivazione più profonda al male. Egli stesso è, infatti, quella Nuova Alleanza che non rinnega ma supera e completa quella Antica. Togliere la possibilità di fruire della sua presenza sacramentale significa dunque anche sottrarre alla gente un dono preziosissimo e grande, senza il quale è facile smarrirsi. Ne fa fede Gesù stesso quando ricorda la differenza tra la legge mosaica e la sua riguardo al matrimonio. Allora fu appunto la “durezza del cuore” a consentire il ripudio. Ora, la meta è un’altra: è una purezza interiore, è un amore così profondo che giunge fino ad eliminare il peccato non solo dall’azione esterna, ma dalla intenzione, dal pensiero stesso. Non è difficile capire come oggi questa “durezza di cuore”, spacciata per modernità e progresso, stia penetrando anche nella mentalità cattolica. Cerchiamo di esserne coscienti e al contempo di capire, usufruendone in pieno, la ricchezza che ci è stata donata e che sarebbe un peccato grave rifiutare.

RICORDA

 

«Dove sussiste l’unica Chiesa di Cristo? L’unica Chiesa di Cristo, come società costituita e organizzata nel mondo, sussiste (subsistit in) nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. Solo per mezzo di essa si può ottenere la pienezza dei mezzi di salvezza, poiché il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza al solo collegio apostolico, il cui capo è Pietro».
(Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, n. 162).

 

 

 

 

IL TIMONE N. 96 – ANNO XII – Settembre/Ottobre 2010 – pag. 56 – 57

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