Quando ho letto la prima volta l’ormai famoso discorso del 12 settembre di papa Benedetto XVI all’università di Ratisbona, giunto al punto dell’altrettanto famosa citazione sul fondatore dell’Islam, mi sono improvvisamente ricordato di avere comperato – diverso tempo fa – il libro da cui era stata tratta. È un volume della prestigiosa collezione Sources Chrétiennes contenente non tutta l’opera di Manuele II ma solo il settimo colloquio. Mi sono precipitato in biblioteca e ho iniziato una lettura che non ha potuto interrompersi prima dell’ultima pagina… A volte l’«apologeta» compra anche libri che poi non gli serviranno, ma non è stato questo il caso.
Chi era Manuele? L’imperatore di Bisanzio in un’epoca (siamo nell’inverno 1391-92 o 1390-91) in cui il prestigioso e grande impero, che si ricollegava senza sostanziale soluzione di continuità all’impero di Cesare Augusto, di Traiano e Costantino, abbracciava poco più di uno scampolo di terra attorno alle mura della capitale. Manuele II Paleologo era ormai un vassallo del sultano Bajazet che aspettava soltanto il momento opportuno per avventarsi su Bisanzio come il gatto sul topo. Ed è proprio in questo contesto – mentre Manuele combatte come vassallo una guerra non sua – che si svolge ad Ankara, l’antica Ancyra, la lunga, articolata ed appassionata discussione di cui lo stesso Paleologo darà qualche anno dopo una versione scritta in un greco scintillante per bella forma, vivacità e classicismo. Sono complessivamente 26 colloqui, di cui padre Théodore Khoury pubblicò nel 1966 l’allora inedito settimo colloquio.
Manuele definisce sé stesso un “soldato” e quando viene richiesto da un personaggio influente e colto, un mudarris (parola araba per: insegnante, maestro, professore) persiano, perché si presti a discutere con lui sul cristianesimo e sulle sue differenze con l’islam, si schernisce: ci vorrebbe un dotto teologo e non un soldato come me. In realtà Manuele oltre ad essere un soldato coraggioso – lo ha dimostrato anche a Tessalonica qualche anno prima proprio contro i turchi che ora deve servire – è uno degli uomini più colti del suo tempo e certamente “teologo”, cioè conoscitore di Dio, non solo in senso scientifico, ma anche in senso spirituale. Terminerà infatti la sua vita in monastero ed è oggi venerato dalla Chiesa ortodossa greca come santo.
Indubbiamente qua e là, soprattutto verso la fine del colloquio quando gli animi si sono un po’ riscaldati e la passione è cresciuta, affiorano termini molto aspri e in qualche caso francamente ingiuriosi, ma sarebbe frettoloso trarne la conclusione che non si tratti nell’insieme di un dialogo rispettoso. Manuele manifesta più volte di stimare sinceramente la persona con cui si confronta – stima peraltro ricambiata – ma, soprattutto, emerge chiaramente che è un amore disinteressato (e anche assai pericoloso visto il contesto di luogo e di tempo…) della verità e delle persone che lo ascoltano a spingerlo a parlare e quindi ad appassionarsi. Noi occidentali del XXI secolo, immersi in una pesante atmosfera relativistica che ricorda il fetore delle paludi di Mordor descritte da Tolkien, fatichiamo a capire come gli uomini si possano appassionare per la verità. Non allo scopo di “aver ragione” e quindi di umiliare l’altro e dimostrare così la propria superiorità, ma per conquistarlo a quella verità da cui si è a propria volta già stati conquistati. Indubbiamente il centro del dialogo è proprio costituito da quell’accenno al logos, alla ragione, che accompagna sempre l’agire di Dio perché da Dio promana: «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio». Ora la ragione, e quindi la verità e anche la fede – che non può essere dimostrata dalla ragione, ma deve essere ragionevole – non possono essere imposte con la forza. Possono essere tutt’al più difese contro un ingiusto aggressore, cosa di cui il “soldato” Manuele è pienamente cosciente… Infatti «la fede è frutto dell’anima e non del corpo. Chi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno di una lingua abile e di un pensiero corretto, non della violenza, né della minaccia e neppure di qualche strumento di offesa o di terrore. Perché, come quando si deve forzare una natura irragionevole non avrebbe senso ricorrere alla persuasione, così per persuadere un’anima razionale non ha senso ricorrere alla forza del braccio, né alla frusta, né ad alcun’altra minaccia di morte».
L’argomento scelto per il settimo colloquio è un confronto tra le tre “vie” di Mosé, Gesù e Maometto. Gli interlocutori sono convinti, un po’ ingenuamente, che tutto quanto il mondo ormai condivida solo queste tre prospettive. Anche se l’avventura di Marco Polo (1254-1324) aveva già avuto luogo, la coscienza di un mondo ben più grande non era ancora entrata nel sentire comune. Per “via” si intende certamente la religione nella sua prassi morale, ma con un’apertura più vasta che finisce per comprendere anche il culto e tutta la vita nel suo orientamento a Dio.
Due punti sono condivisi: la sostanziale bontà delle prime due e la superiorità della “via” di Cristo su quella mosaica. Dell’ammissione della superiorità della “via” di Cristo e quindi anche della sua sostanziale bontà, Manuele si avvale con slancio sottolineando la contraddizione che ciò comporta: «Se da una parte, [Maometto] tributa a Cristo i migliori elogi e lo pone al di là di tutte le creature, dichiarando fortemente di glorificarlo come spirito, verbo e anima di Dio, ma poi, di fatto, cioè nella sua Legge e nei suoi insegnamenti, confonde e butta per aria tutto, stabilendo senz’ombra di dubbio delle leggi opposte a quelle di Cristo e compiendo azioni che sono contrarie a quanto da lui dichiarato, allora io non dico più nulla». Il mudarris gli oppone che Maometto in realtà ha mirabilmente perfezionato le due leggi precedenti proponendo un saggio “giusto mezzo” tra la durezza della legge di Mosé e le esagerazioni della via dei cristiani (verginità, povertà, porgere l’altra guancia, ecc.). Manuele ha buon gioco a controbiettare che il perfezionamento di Maometto è consistito piuttosto in un ritorno all’antica legge di Israele, rifiutando l’autentico «progresso» (anábasis) portato da Gesù, al cui centro sta ovviamente la legge dell’amore: «Perché è a misura dell’amore che saranno distribuiti i doni divini». Gesù infatti alcune cose le stabilisce – confermando l’Antica Legge – come precetti, altre come consigli le propone alla generosità delle persone, di coloro che a ciò sono “chiamati”. Il mudarris infatti comprende il celibato, la povertà, la rinuncia alla difesa come un obbligo che riguarda tutti (come in parte fa anche certo pacifismo cristiano…). L’imperatore gli spiega che Gesù è venuto a confermare i comandamenti dando a loro però uno spirito nuovo che è quello dell’amore e l’amore obbedisce ad una logica che in alcuni porta ad intraprendere come una «seconda navigazione» (lo stesso termine proverbiale greco utilizzato da Platone nel suo libro Fedone per indicare la svolta della metafisica) che li conduce ad abbracciare liberamente la verginità, la povertà e la mansuetudine per il Regno dei cieli: «Essi hanno sempre davanti agli occhi il Dio che li ha feriti: feriti di un amore per lui fino alla follia».
Tutto ciò però nella libertà. Sono consigli che solo alcuni che sono chiamati possono far propri: «Perché non tutto conviene a tutti, in ogni tempo e in ogni circostanza» e «numerosi sono gli stati di vita». Manuele propone in sintesi la via cristiana come una via che coniuga in modo sublime e divino l’assolutezza della verità e il rispetto della libertà. Perché «Dio è amore».
Panaghiotis Christou, Manuele II Paleologo, in: Enciclopedia dei Santi – Le chiese orientali, vol. II, Città Nuova, 1999, coll. 401-404.
Manuel II Paléologue, Entretiens avec un musulman. 7e Controverse, Introduction, texte critique, traduction et notes par Théodore Khoury (Sources Chrétiennes n. 115), Les Editions du Cerf, 1966. L’edizione completa è uscita poco dopo: Erich Trapp (ed.), Manuel II. Palaiologos. Dialoge mit einem “Perser” (Wiener Byzantinistische Studien, hg.v. Herbert Hunger, Bd.2), Akademie der Wissenschaften, Wien 1966. Edizione completa commentata con traduzione tedesca: Karl Förstel (ed.), Manuel II. Palaiologus, Dialoge mit einem Muslim (Corpus Islamo-Christianum, Series Graeca), 3 volumi, Echter Verlag, Würzburg / Oros Verlag, Altenberge 1993 – 1996.