Sintonia tra Pera e Ratzinger: l’Europa deve respingere il relativismo, che mina le democrazie, e riacquistare il meglio della sua eredità. Il cristianesimo è la forza creativa per restituire slancio alla nostra civiltà.
Qualche settimana fa a Roma sono stati pronunciati due discorsi di grande importanza per il recente dibattito sulle radici cristiane dell’Europa: autore del primo è Marcello Pera, Presidente del Senato, che il 12 maggio ha parlato all’Università Lateranense. Il secondo è stato pronunciato il giorno dopo dal cardinale Joseph Ratzinger al Senato. I due interventi possono essere considerati «parenti» per il comune riferimento alla questione di se e come oggi sia possibile parlare di un’identità europea, e che rapporto abbia tale identità con le radici cristiane dalle quali la nostra cultura storicamente dipende.
Dato che sintetizzare i due discorsi è pressoché impossibile, invitiamo i lettori a cercarne i testi integrali. Il quotidiano Il Foglio li ha, con lodevole iniziativa, pubblicati sul numero del 14 maggio. Qui è possibile solo richiamare alcune delle tesi più emblematiche, con il rischio di impoverire la densità dei due interventi.
Pera inizia il proprio discorso dichiarando di aver scelto come tema un argomento che da tempo lo fa riflettere. Di fronte alle sfide che il confronto sempre più pressante con il mondo islamico ci presenta, dobbiamo constatare tre fatti: 1) l’Occidente soffre di una grave crisi culturale; 2) questa crisi rischia di toccare anche la Chiesa Cattolica, se non nella sua dottrina, almeno nel modo in cui questa viene predicata; 3) in quanto non si dà cultura occidentale a prescindere dal cristianesimo, proprio il cristianesimo può contribuire a curare in modo decisivo la sofferenza dell’Occidente.
Ora, la malattia di cui l’Occidente soffre è il relativismo. Pera osserva che oggi non sappiamo più riconoscere le nostre conquiste culturali, sociali, istituzionali, perché siamo paralizzati dalla convinzione che l’uomo non può più affermare la verità e il valore di niente. Pensiamo che non sia possibile avere delle buone ragioni a sostegno di una tesi e che qualsiasi affermazione di verità sia segno di arroganza, fanatismo, imperialismo intellettuale, e come tale da condannare.
Questa malattia presuppone un errore logico, che nasce dal confondere giudizio e decisione. In realtà, obietta Pera, dare un giudizio non implica necessariamente agire in un certo senso. Ad esempio, affermare che le istituzioni democratiche occidentali sono migliori dei modelli islamici non implica necessariamente dichiarare guerra all’Islam, ma è compatibile con il rispetto, il dialogo e l’interesse per l’Islam, così come con gli atteggiamenti opposti.
«Il relativismo – dice Pera – parte da un dato incontestabile: la non compossibilità di tutti i valori […]. Ma da queste premesse […] fa discendere la conseguenza disastrosa che gli insiemi di valori, come le culture e le civiltà, non possono essere giudicati l’uno di fronte all’altro.» Se questo fosse vero, sostiene Pera, qualsiasi dialogo sarebbe impossibile. Invece, i movimenti migratori indicano che ci sono popoli che valutano come migliori culture o società diverse dalle proprie. Il relativismo si scontra con i fatti. E «alla fine, neanche il relativismo multiculturalista più spinto nega che tutti gli uomini, se lasciati liberi, preferiscono vivere in condizioni di sicurezza, tolleranza, rispetto, salute, benessere, pace».
Pera cita dunque l’affermazione di Ratzinger secondo la quale «il relativismo in certo qual modo è diventato la vera e propria religione dell’uomo moderno». E commenta che questa «nuova religione» ha intaccato anche quei cristiani che trasformano il dialogo, da strumento per evangelizzare, in indifferentismo religioso. Pera osserva che «il dialogo non serve a niente, se, in anticipo, uno dei due dialoganti dichiara che una tesi vale l’altra».
Contrariamente al pensare diffuso, il relativismo non è garanzia della democrazia, ma la rende impossibile. Infatti, per i relativisti non si può dare nessun fondamento razionale a nulla, perché fondare significherebbe affermare che qualcosa è oggettivamente vero e migliore di qualcos’altro e per il relativismo questa è una pretesa inaccettabile. Ma da questo deriva che è anche impossibile avere degli argomenti per sostenere che la democrazia è migliore delle altre forme di governo, persino della dittatura e del totalitarismo. Invece, mostra giustamente Pera, ci sono dei valori oggettivi sui quali la democrazia si basa, e precisamente, «i valori della persona, della dignità, dell’uguaglianza; togliete valore a questi valori e avrete tolto la democrazia».
Dunque, i cristiani hanno perso la battaglia per far riconoscere le radici cristiane della loro identità europea, non perché queste radici non ci siano, ma perché hanno accettato il relativismo. E «il cristiano debole, come il pensatore debole, diventa un cristiano arrendevole».
Pera dedica le riflessioni finali al complesso di colpa generalizzato che sembra bloccare il mondo occidentale. l.:Occidente ha compiuto degli errori, come qualsiasi civiltà umana. Ma ha anche molti meriti, primi fra tutti la capacità di accogliere (P. Citati) e la capacità di fare autocritica (M. Vargas Llosa). Qui possiamo trovare il collegamento con il discorso di Ratzinger, che dopo un’ampia ricostruzione storica del cammino che ha portato all’Europa attuale, purtroppo non sintetizzabile qui, dedica l’ultima parte del suo intervento agli «elementi morali fondanti» dell’identità europea. Ne indica tre: 1) l’affermazione della dignità umana come inviolabile e dei diritti che in essa si fondano come incondizionati; 2) la difesa della famiglia come cellula della società fondata sul matrimonio tra uomo e donna e 3) il rispetto del sacro, pur nella diversità delle confessioni religiose. E osserva che «l’occidente tenta in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia, vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa». Infine conclude: «il destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità».
RICORDA
«Il relativismo […] affievolisce le nostre difese culturali e ci prepara o ci rende inclini alla resa. Perché ci fa credere che non c’è niente per cui valga la pena combattere e rischiare. Perché non ci dà più argomenti o ce ne dà di sbagliati persino quando altri volesse toglierei il Crocifisso dalle scuole. O perché, mentre vuoi farei credere di essere alla base dello stato laico, liberale e democratico, alla fine, messo alle strette, si converte in quel dogmatismo laicista di Stato che vieta alle ragazze di fede islamica di indossare lo Hijab a scuola» (Marcello Pera).
BIBLIOGRAFIA
Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 2003.
Joseph Ratzinger, Fede, verità, tolleranza, Edizioni Cantagalli, 2003.
IL TIMONE – N. 35 – ANNO VI – Luglio/Agosto 2004 – pag. 12 – 13