Un filo ininterrotto lega il magistero di due grandi Papi che portano lo stesso nome: Benedetto XV nel 1914 tentò invano di scongiurare l’immane tragedia della Grande Guerra; oggi Benedetto XVI chiede al mondo la pace in Medioriente.
Il giudizio secondo il mondo
Di fronte alle guerre e alle azioni militari che insanguinano da decenni il Medioriente e la Terra Santa, è difficilissimo stabilire chi stia interamente dalla parte della giustizia: in un conflitto che dura da decenni, torti e ragioni, massacri e vendette, aggressioni e rappresaglie si susseguono con un ritmo impressionante, che rende improbo lo sforzo di ragionare e di capire fino in fondo la posta in gioco. Tutti siamo condizionati dalle simpatie personali, dalle alleanze internazionali che ci sembrano più convenienti, da mille motivi non privi di importanza. È in agguato la tentazione di prendere posizione non in base alla retta ragione, quanto piuttosto alla “ragion di Stato”. Soprattutto quando fra gli attori del conflitto compare lo Stato di Israele. Lo dimostra la linea di condotta tenuta dai grandi mezzi di comunicazione in questa estate di guerra. Da un lato, alcuni hanno ripreso antichi argomenti filo-palestinesi, e hanno approfittato per censurare senza appello la politica di Tel Aviv. Dall’altro lato, molti commentatori, la maggior parte, facendosi forti della giusta condanna che merita senza eccezione alcuna l’antisemitismo, propendono ad assolvere sempre e in ogni caso le azioni di guerra decise dallo Stato di Israele. L’ingombrante fardello della Shoah continua a pesare sulle spalle del mondo moderno, sbilanciandolo ora da una parte, ora dall’altra.
Per fortuna, anche di fronte a questa violenza disumana che ci lascia senza parole, abbiamo la Chiesa, il Magistero, il Papa. Fu così all’inizio del ‘900, quando Benedetto XVI definì la prima guerra mondiale una “inutile strage” e “suicidio dell’Europa civile”. È così anche oggi, sotto la guida di Papa Ratztinger, che non a caso ha voluto scegliere il nome di Benedetto.
Il giudizio secondo la Chiesa
Nello specifico di questa vicenda, Benedetto XVI ha delineato una posizione lucidissima, evitando qualsiasi faziosità. Una posizione che si può riassumere così: ci sono tre diritti che meritano di essere difesi e riconosciuti: il primo, quello del Libano alla sua integrità di Paese sovrano; il secondo, quello di Israele a vivere in pace; il terzo, quello dei palestinesi ad avere una patria. Per promuovere e garantire questi diritti – ha detto più volte il Santo Padre – non si può pensare di fare ricorso allo strumento della violenza e delle armi. È del tutto evidente che questo richiamo è indirizzato a tutti i protagonisti di questa vicenda, nessuno escluso.
C’è da notare un fatto: come ricordato più volte dal Papa, ma anche dal neo Segretario di stato, il cardinale Tarcisio Bertone, il conflitto coinvolge drammaticamente i cristiani che vivono in Libano e in genere in Medioriente. Accade sempre più spesso, infatti, che i nostri fratelli nella fede siano presi fra due fuochi, vittime di conflitti che li coinvolgono loro malgrado e che mettono a repentaglio la loro vita, la loro libertà religiosa, la loro dignità.
In materia di guerre e conflitti armati il Magistero ci indica da sempre alcuni principi illuminanti. Principi che, essendo di diritto naturale, sono validi in ogni epoca e in ogni latitudine, e che impegnano ogni nazione e ogni uomo; principi che pochi, anche fra gli stessi cattolici, sembrano conoscere o ricordare. E che nelle fasi più crude di questo conflitto sono stati ignorati da molti.
In sintesi: durante una guerra i principi fondamentali della morale, il decalogo, non sono sospesi. Non è vero che “in guerra tutto è permesso”. Per dichiarare lecitamente una guerra occorre sussistano i presupposti richiamati dal Catechismo della Chiesa cattolica, in particolare ai numeri 2307-2314:
1. che essa esprima una forma di legittima difesa contro un ingiusto aggressore;
2. che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;
3. che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
L’accanimento contro la popolazione civile
Dunque, la Chiesa richiama l’umanità di ogni tempo e in primo luogo tutti i governi del mondo a osservare alcuni principi che restano inderogabili anche durante un conflitto. Fra di essi, oggi ci pare grandemente e diffusamente calpestato quello in base al quale la popolazione civile – uomini inermi, donne e bambini – non possono mai essere fatti oggetto direttamente di azioni militari. Lanciare un missile alla cieca su una città al solo scopo di terrorizzare e uccidere è un atto disumano; e, parimenti, ordinare un bombardamento indiscriminato su una città per rispondere a un atto di aggressione, o per fiaccare la resistenza di un popolo, o per stanare truppe nemiche, significa macchiarsi di orrendi delitti che non possono essere in alcun modo giustificati, da qualsiasi parte vengano attuati. È, questo, un nodo che si era già evidenziato durante la seconda guerra mondiale quando, purtroppo, la Germania di Hitler aveva lanciato i suoi missili V1 e V2 sulle città dell’Inghilterra. Ma erano state soprattutto le truppe Alleate ad usare lo strumento del bombardamento aereo per colpire e radere al suolo intere città: pensiamo ai casi eclatanti di Dresda, Hiroshima, Nagasaki. È un nodo che, a quanto pare, nemmeno oggi si vuole sciogliere. Di fronte all’enormità del male e della violenza che la guerra sprigiona nelle forme in cui oggi essa si materializza, la fede ci suggerisce un’ultima riflessione. La pace è un dono di Dio: forse non è un caso che questo tempo, il tempo segnato dalla più gigantesca azione di secolarizzazione dei costumi e delle leggi nell’Occidente cristiano, è anche il tempo dell’incertezza, del terrorismo, della guerra. Se l’uomo pensa di darsi la pace solo con le proprie forze, otterrà solo morte e distruzione.
RICORDA
«Colgo l’occasione per riaffermare il diritto dei Libanesi all’integrità e sovranità del loro Paese, il diritto degli Israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto dei Palestinesi ad avere una Patria libera e sovrana. Sono, poi, particolarmente vicino alle inermi popolazioni civili, ingiustamente colpite in un conflitto di cui sono solo vittime: sia a quelle della Galilea costrette a vivere nei rifugi, sia alla grande moltitudine di Libanesi che, ancora una volta, vedono distrutto il loro Paese e hanno dovuto abbandonare tutto e cercare scampo altrove». (Benedetto XVI, Angelus, domenica 23 luglio 2006).
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