Il “cammino” proposto dal santo di Bagnoregio per giungere all’estasi mentale e mistica che acquieta l’intelletto e trasporta totalmente l’affetto in Dio. Uno dei più grandi capolavori del pensiero cristiano
Ha scritto Etienne Gilson (1884- 1978), uno dei massimi conoscitori della filosofia medievale: «Il pensiero bonaventuriano è incentrato nell’Itinerario, i cui sette capitoli contengono la materia di molti volumi. Non una frase, non un motto che non si riallaccino e suscitino una serie interminabile di pensieri e di dottrine associate. Si può affermare che fino ad oggi l’opera non è stata completamente spiegata e, forse, data la natura dell’opera, la sua spiegazione completa resterà un sogno irrealizzabile, perché lo sviluppo del contenuto teologico dovrebbe andare all’infinito». Queste parole del celebre studioso francese sono riferite all’Itinerario della mente in Dio, il celebre scritto di San Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274), ritenuto giustamente uno dei più grandi capolavori del pensiero cristiano. Si tratta, dunque, di un’opera complessa e densa di significati, alla quale ci avvicineremo senza la pretesa di coglierne tutti i molteplici aspetti, ma con la certezza che anche una conoscenza soltanto iniziale e parziale di essa possa giovare alla formazione di un buon cristiano e alla cultura di un convinto apologeta.
Nel prologo, è l’autore stesso a informarci in merito alle circostanze che lo portarono a concepire l’Itinerario: «Poiché, dunque, seguendo il beatissimo padre Francesco, questa pace cercavo con spirito ardente, io peccatore che, benché indegno, sono il settimo suo successore nel governo dell’Ordine, accadde che, trentatre anni dopo la sua morte, mi recai per volere divino sul monte della Verna, come a un quieto rifugio ove cercare la pace dello spirito; e là, mentre meditavo sulle possibilità dell’anima di ascendere a Dio, mi si presentò, tra l’altro, quell’evento mirabile occorso in quel luogo al beato Francesco, cioè la visione del Serafino alato in forma di Crocifisso. E su ciò meditando, subito mi avvidi che tale visione mi offriva l’estasi contemplativa del medesimo padre Francesco e insieme la via che ad essa conduce». Siamo nel 1259, Bonaventura è Ministro generale dei Frati minori (diventerà poi vescovo e cardinale), ha lasciato da un paio d’anni la cattedra dell’Università di Parigi e avverte un forte desiderio di tornare alle fonti del francescanesimo. Per soddisfare tale profonda esigenza spirituale, egli decide di recarsi in uno dei luoghi “fondativi” della tradizione francescana, quel monte della Verna (situato, come ricorda Dante, fra la valle del Tevere e quella dell’Arno, oggi in provincia di Arezzo) sul quale il Poverello di Assisi ricevette da Cristo stesso il dono straordinario delle stimmate. Bonaventura è un eccelso intellettuale, ma ha la piena consapevolezza che la filosofia e la teologia, di cui egli è maestro indiscusso, non sono sufficienti: senza l’autentica devozione, senza l’amore vero, senza la Croce di Cristo l’uomo non potrà mai giungere a Dio.
Pienamente convinto di questo, il santo, sempre nel prologo dell’Itinerario, rivolge alcune accorate raccomandazioni a colui che leggerà il suo scritto: «Pertanto esorto il lettore, prima di tutto, al gemito della preghiera per il Cristo crocifisso, il cui sangue deterge le macchie delle nostre colpe; e ciò perché non creda che gli basti la lettura senza l’unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, la considerazione senza l’esultanza, l’industria senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza divinamente ispirata. Propongo dunque, a quanti sono invasi dalla grazia divina, umili e pii, compunti e devoti, unti dell’olio della letizia e amanti della divina sapienza e infiammati dal suo desiderio, che bramano unicamente glorificare, amare e gustare Dio, a costoro propongo le seguenti speculazioni, avvertendo che poco o nulla vale lo specchio esterno se lo specchio della mente non è terso e pulito. Dunque, o uomo di Dio, esercitati a percepire lo stimolo della coscienza che rimorde, prima di elevare gli occhi ai raggi della sapienza che rilucono in essa come in uno specchio, perché non avvenga che questa speculazione troppo luminosa non ti abbagli e tu non abbia a cadere in un più profondo abisso di tenebre».
Il cammino “verso l’alto” proposto da San Bonaventura consta di sette tappe, alle quali sono dedicati i capitoli dell’opera, il primo dei quali si intitola Gradi dell’ascesa a Dio e sua conoscenza per mezzo delle orme impresse nell’universo: considerando l’ordine del mondo e il fatto che ogni creatura appare adeguatamente finalizzata a realizzarlo, l’anima ha modo di ammirare la potenza del Creatore che ha meravigliosamente ordinato l’intero universo. Anche il secondo momento dell’ascesa – Contemplazione di Dio nelle sue orme nel mondo sensibile – prende in considerazione le creature, nelle quali è possibile contemplare quanto sia mirabile l’opera di Dio.
Nel terzo e quarto capitolo, rispettivamente intitolati Conoscenza di Dio per mezzo della sua immagine riflessa nelle potenze dell’anima e Conoscenza di Dio nell’anima rinnovata dalla Grazia, l’autore concentra la sua attenzione sull’anima umana, le cui tre facoltà-potenze – memoria, intelletto e volontà – fanno intravedere un’immagine della Santissima Trinità; inoltre, in essa è possibile scoprire l’azione di Dio che con la sua Grazia purifica e innalza tali potenze, permettendo all’uomo di rapportarsi con Lui in modo nuovo.
Il quinto capitolo si intitola Conoscenza dell’unità di Dio per mezzo del suo nome precipuo: l’Essere: giunta a questo punto, l’anima deve ora guardare sopra di sé e rendersi capace di cogliere Dio come Essere, dal momento che – ricorda Bonaventura – proprio con questo appellativo Egli si è rivelato nella Sacra Scrittura (cfr. Esodo 3,14). Oltre che come Essere, Dio, nella Bibbia, si è fatto conoscere come Bene: non casualmente, al sesto capitolo del suo capolavoro l’autore attribuisce il titolo seguente: Conoscenza della Santissima Trinità nel suo nome: il Bene. Dio si è donato all’uomo nel suo unico Figlio, che ha innalzato la natura umana fino a permetterle di unirsi al Padre; e l’uomo deve lasciarsi prendere tutto dall’amore di Cristo per potersi elevare al massimo grado.
L’Itinerario si conclude con un capitolo intitolato L’estasi mentale e mistica che quieta l’intelletto e trasporta totalmente l’affetto in Dio. Il cammino è concluso, la meta è raggiunta e il fine che Bonaventura si era prefisso è stato pienamente ottenuto.
Infatti, come ha acutamente notato il francescano e docente di filosofia Efrem Bettoni, il Santo voleva indicare «non una dimostrazione dell’esistenza di Dio, ma una via tracciata alle menti per giungere all’unione più perfetta con Dio attraverso la conoscenza».
PER SAPERNE DI PIÚ
Sofia Vanni Rovighi, San Bonaventura, Vita e Pensiero, 1974.
Joseph Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia, Porziuncola edizioni, 2008. Efrem Bettoni, S. Bonaventura da Bagnoregio, Vita e Pensiero, 1973.
IL TIMONE N. 106 – ANNO XIII – Settembre/Ottobre 2011 – pag. 32 – 33
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