«La celebrazione eucaristica non è nella «sostanza» qualcosa da costruire o da inventare: è una realtà che ci precede cui siamo chiamati ad aprirci. Noi non siamo autorizzati a mutarla; siamo piuttosto sollecitati a mutare noi stessi per renderci sempre più omogenei con quell’avvenimento di grazia».
Premessa
Una "liturgia partecipata" è indubbiamente uno dei traguardi più mirati e inseguiti dalla pastorale postconciliare.
È un traguardo legittimo, anzi doveroso, purché l'impegno (in sé lodevole) sia sempre mosso e guidato da idee giuste e chiare, non dalla confusione teologica e dalle fantasie personalistiche del pastore. " traguardo della "liturgia partecipata" non deve essere l'occasione per diverse intemperanze ideologiche e per non poche iniziative arbitrarie inflitte all'indifeso e innocente popolo di Dio, convocato per una celebrazione che in ogni caso deve restare primariamente azione della santa Chiesa Cattolica, canto d'amore della Sposa di Cristo al suo Signore. Di qui la necessità di qualche essenziale considerazione e di qualche chiarimento.
La partecipazione all’evento salvifico
«Partecipazione» è fin dalle origini una parola-chiave del linguaggio cristiano, perché coglie un aspetto fondamentale del disegno di Dio che ci è stato rivelato.
Il cristianesimo non è soltanto ricordo di avvenimenti trascorsi, come non è soltanto speranza di qualcosa che in futuro avverrà. È anche questo; e non si comprenderebbe adeguatamente il messaggio di Cristo, anzi lo si traviserebbe, se lo si mutilasse di questi due decisivi atteggiamenti dello spirito.
Ma non si può ridurre tutto alla dialettica tra «memoria» e «profezia», come talvolta capita di ascoltare (da qualche improvvisato maestro più volonteroso che illuminato): "memoria" e "profezia" è certo un binomio suggestivo e carico di verità, ma non può affatto ritenersi esauriente.
Il cristianesimo nella sua visione «cattolica» – cioè «secondo il tutto» – è essenzialmente una res, una realtà presente, un evento salvifico in atto.
Questa res – questa realtà in atto – è qualcosa di inaudito e di incommensurabile: ci precede e ci trascende; ma anche si offre gratuitamente alla nostra piccolezza e alla nostra caducità: si offre alla nostra «partecipazione».
Noi – ci dice la Parola di Dio – siamo «partecipi di una vocazione celeste» (Eb 3,1). Abbiamo gustato il «dono» del cielo e siamo «diventati partecipi dello Spirito Santo» (Eb 6,4). Soprattutto siamo diventati «partecipi di Cristo» (Eb 3,14), il Signore crocifisso e risorto.
C'è dunque una ricchezza infinitamente eccedente le nostre naturali possibilità, alla quale siamo chiamati ad assimilarci, a «partecipare» appunto: questa è la sorprendente novità che ci è stata rivelata. È una partecipazione che comincia con il coinvolgimento nella vita ecclesiale e attraverso la crescente conformità a Cristo, arriva all'ap propriazione degli atti vitali di Dio e alla comunione con Ie Tre Persone divine.
La partecipazione alla liturgia
La liturgia è la strada al tempo stesso più comune e più certa per entrare negli arcani del Regno e nella comunione della divina famiglia. Ed è una strada normalmente necessaria: tutti i riti, a cominciare dalla rinascita battesimale, scandiscono il nostro cammino nel tempo e ci conducono fino al possesso disvelato.
In questo senso l'intera vita liturgica è definibile proprio mediante il concetto di partecipazione: essa è effettiva partecipazione al mistero pasquale e alla festa di nozze tra la divinità e l'umanità cui siamo stati fortunatamente tutti invitati.
Appunto attraverso la liturgia si avvera sempre più radicalmente e compiutamente il destino di noi tutti, che èquello di partecipare alla stessa eredità, formare lo stesso corpo, essere partecipi della divina promessa per mezzo del vangelo (cfr. Ef 3,6).
L'atto liturgico più intenso e più alto è senza dubbio la celebrazione eucaristica: la sua natura di vertice e di compendio ci consente di fame oggetto qui della nostra considerazione esclusiva e di puntualizzare la nostra riflessione.
Ai fini del nostro discorso è importante chiarire che l'eucaristia ha una sua «sostanza» e una sua «forma specifica».
La «sostanza» è quella di essere presenza reale e piena del sacrificio della Nuova Alleanza. Potremmo anzi usare anche qui il concetto di partecipazione: la Messa è partecipazione al «sacrificio perennemente offerto nel santuario celeste» (Canone pasquale ambrosiano) e al banchetto festoso del Regno di Dio; partecipazione così oggettivamente perfetta da essere lo stesso sacrificio e lo stesso banchetto sacramental-mente ripresentati.
In questo sacrificio tutti noi diventiamo davanti al Padre «offerta viva in Cristo e lode della sua gloria» (cfr. Canone IV); in questo banchetto noi riviviamo il mistero del Verbo di Dio che si fa verità nutriente per i nostri spiriti, e il mistero dell'Unigenito immolato e risorto che si dona totalmente nel suo corpo e nel suo sangue per la vita del mondo. La «forma specifica» è di essere un'azione drammatica, con i suoi momenti disposti in rigorosa successione, con le parti tassativamente distribuite, con le prefigurate modalità di intervento; un'azione drammatica dove non c'è contrapposizione tra attori e spettatori: tutti i presenti sono attivi, sia pure con compiti diseguali.
Come deve avvenire la partecipazione?
Va detto subito che lo stesso concetto di partecipazione suppone che la celebrazione eucaristica non sia nella «sostanza» qualcosa da costruire o da inventare: è una realtà che ci antecede cui siamo chiamati ad aprirci. Noi non siamo autorizzati a mutarla; siamo piuttosto sollecitati a mutare noi stessi per renderci sempre più omogenei con quell'avvenimento di grazia.
Il ragionamento vale largamente, anche se non totalmente, a proposito della «forma»: la sceneggiatura della Messa non può essere scomposta e ricomposta a piaci mento; i testi di rilievo sono già fissati; l'assegnazione dei compiti è già stata predisposta.
Naturalmente sappiamo bene che sono previsti anche gli spazi di una saggia e regolata creatività; anche se la creatività più efficace va esercitata nello stile della celebrazione e nell'anima che vi si sa infondere; press'a poco come fa un grande direttore di orchestra che interpreta con inconfondibile originalità una celebre sinfonia senza permettersi di cambiare una sola nota dello spartito, né di introdurre delle aggiunte o permettersi delle omissioni.
I “modi” di partecipazione
Tentiamo adesso di elencare succintamente alcuni criteri orientativi sui modi di partecipazione.
– La partecipazione alla «sostanza» del mistero celebrato (la sola che abbia valore assoluto) avviene in virtù e a misura della fede, speranza e carità che arricchiscono il mondo interiore dei presenti. Può avvenire perciò che una persona semplice e analfabeta, che sa solo sgranare il suo rosario, partecipi sostanzialmente alla celebrazione in maniera più autentica ed efficace di un esperto liturgista che conosce e pratica tutte le regole. Guai a non prendere sul serio o addirittura a disprezzare i "piccoli", che magari attingono ai "misteri del Regno" più autenticamente dei "sapienti" e degli "intelligenti" (cfr. Mt 11,25).
– Tuttavia bisogna adoperarsi perché ognuno sia in grado di intervenire (per quel che gli è concretamente consentito) nella miglior consonanza possibile con l'indole propria dell'azione liturgica e nel rispetto dei vari elementi rituali. Ciascuno deve attenersi alla par-te che gli è assegnata, senza alterazioni o sconfinamenti; analogamente a quel che avviene in un'opera lirica: il soprano non deve usurpare la romanza del baritono e ciò che è del primo tenore non deve essere cantato dal coro.
– Il partecipare non è qualcosa di univoco: conosce atti e gradi diversi. Si partecipa già con l'essere pre senti e con il variare gli atteggiamenti del corpo secondo l'opportunità dei momenti. Si partecipa con l'attenzione degli occhi e degli orecchi. Si partecipa con la voce, si partecipa con la mente, si partecipa con il cuore.
– L'ascoltare è già una partecipazione di rilievo. In molti casi è il solo modo giusto: per esempio, quando un lettore proclama la Parola di Dio, gli altri devono soltanto accoglierla tacitamente; quando un sacerdote pronuncia le orazioni presidenziali, la partecipazione richiesta è ascoltare in silenzio. Analogicamente, ascoltare un canto eseguito da altri non equivale a non partecipare, ma a partecipare in questa particolare maniera.
– Però l'ideale è che si assicuri a ognuno la possibilità di essere variamente attivo: agendo, guardando, ascoltando, parlando, cantando, sempre nel rispetto della prescritta distribuzione delle parti.
– Quando la celebrazione propone una «lettura», bisogna che le frasi effettivamente si sentano e possibilmente siano capite. Quando invece propone una «azione», ciò che è indispensabile è che essa sia seguita e condivisa col cuore e sia colta dalla mente nel suo significato complessivo; è solo auspicabile che vi sia la comprensione analitica delle singole parole dette o cantate che l'accompagnano.
IL TIMONE – N. 41 – ANNO VII – Marzo 2005 pag. 48 – 49