Che genere di vita conducevano i primi cristiani? Negli Atti degli Apostoli è scritto che come prima cosa praticavano la carità: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At 4,32-35). Inoltre praticavano la preghiera: «Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù» (At 1,14).
Predicavano il Vangelo ed annunciavano il Regno: «Ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo»; «con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù» e «predicavano che la gente si convertisse», «annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo» (At 5,42; 4,33; Mc 6,12; At 28,31).
Celebravano i sacramenti, in particolare battezzavano, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo («Battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in acqua viva», Didaché 7,3), si confessavano («Nell’assemblea farai la confessione dei tuoi peccati e non ti recherai alla preghiera in cattiva coscienza», Did 4,14); si comunicavano («Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete le grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro», Did 14,1). Quelli che ne avevano il mandato esorcizzavano e praticavano l’unzione dei malati («Scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano», Mc 6,13), e inoltre praticavano la successione apostolica (At 1,15-26).
I credenti amavano riunirsi e imparavano le Scritture, inoltre vivevano amorevolmente la koinonia e la liturgia: «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, e lodando Dio» (At 2,42-47).
La Lettera a Diogneto, scritta nel II secolo, ci illustra anche i loro costumi e la loro etica. Da essa sappiamo che i cristiani fin dall’inizio vivono con fedeltà il matrimonio («Hanno in comune la mensa ma non il letto», c. 5). Nell’antica Grecia e nell’antica Roma ci s’imbatte nell’«esposizione dei neonati» indesiderati, ossia il loro abbandono fuori dalla porta o tra i rifiuti; i cristiani Lo stile cristiano invece accettano i figli come dono della vita («Generano figli ma non espongono i neonati», c. 5). Inoltre non si abbandonano a gozzoviglie ma esercitano uno stile di vita sobrio, sostenuto «con le mortificazioni del mangiare e del bere»; essi «non vivono secondo la carne». Infine conducono un’esemplare vita sociale, poiché «partecipano a tutto come cittadini» e «obbediscono alle leggi stabilite». Anzi, «con la loro vita superano le leggi». Eppure, misteriosamente, non sono amati. La Lettera a Diogneto riporta che «per quanto compiano il bene vengono puniti come malfattori», «amano tutti ma da tutti sono perseguitati», «sono disprezzati», «sono insultati», «vengono bestemmiati».
Perché tutto questo? Spesso non lo sapeva nemmeno chi li odiava: «Chi li odia non sa spiegare il motivo della propria avversione nei loro confronti». Ma un motivo c’è: questi cristiani che «vengono oltraggiati e benedicono» sono un faro di luce sulle coscienze, scavano nel profondo dei cuori, illuminano i peccati, fanno capire a colui che li incontra che fino a quel momento la sua intera esistenza era scivolata nell’ombra, che esiste invece una possibilità di riscatto, ma si tratta di una faticosa risalita che la carne non vuole vedere, che preferisce tenere nascosta nel buio.
I cristiani, col loro stile di vita nuovo, urtano il quieto vivere, indispongono per il fatto che perfino quando vengono condannati e uccisi, essi «gioiscono come se ricevessero la vita». E questa gioia irrita. «Così i cristiani sono odiati dal mondo, benché non gli facciano alcun torto, perché si oppongono ai suoi piaceri». I piaceri del mondo sono effimeri, non sono duraturi come quelli dello spirito; ma quella carne che non ha trovato altro vi si aggrappa disperatamente e odia perfino la propria anima «perché le impedisce di abbandonarsi ai piaceri».
IL TIMONE N. 106 – ANNO XIII – Settembre/Ottobre 2011 – pag. 61
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