La semplice richiesta di una Commissione di indagine parlamentare sulla piena attuazione della legge che regola in Italia l’interruzione volontaria della gravidanza ha scatenato la furia laicista e anticristiana dei paladini dell’aborto.
Che resta un abominevole delitto.
Bisogna respingere il proditorio attacco della Chiesa, alzare le barricate in difesa della 194, salvaguardare a tutti i costi il “diritto” (ma non era un dramma?) delle donne ad abortire, contro l’ingerenza clericale.
La commissione di indagine sulla corretta applicazione della legge “a tutela della maternità” (?), richiesta da alcune forze della maggioranza di centrodestra e accettata come legittima dalla Presidenza della Camera, ha scatenato le furie laiciste e anticristiane del nostro Paese, come non si vedeva da tempo. La scelta di verificare se nei consultori si fa davvero prevenzione e si aiutano concretamente le mamme in difficoltà, oppure ci si limita a certificare la scelta di disfarsi della creatura che si porta in grembo, è stata bollata come vergognosa propaganda, pura manovra elettoralistica. E al coro indignato di proteste che si sono subito levate dall’arcipelago del centrosinistra, si sono purtroppo accodati molti di quei cattolici “progressisti” che in precedenza non avevano rifiutato l’idea della presenza di volontari antiabortisti negli stessi consultori.
L’interruzione volontaria della gravidanza è sempre stata una materia che divide, sin dall’approvazione nel lontano 1978 della legge che la regola, confermata dal successivo referendum del 1981. Ma negli ultimi anni sembrava che, dato per scontato (purtroppo) che nessuna forza politica si schierasse apertamente per la revisione della 194, ci fosse tuttavia lo spazio per dare impulso, almeno, a una più completa osservanza delle norme, soprattutto, come detto, nella parte dedicata alla prevenzione. È questo il senso della richiesta, ragionevole e sensata, di una commissione di indagine.
Apriti cielo! Di tutto, in Italia, si può discutere: dalle regole elettorali alle disposizioni fiscali, dalla legislazione sul lavoro al codice della strada. Ma non tocchiamo, per carità, la famigerata 194, diventata una sorta di idolo ideologico intangibile, una bandiera del laicismo e del femminismo più deteriori, il tesoro più gelosamente custodito del risorto schieramento radical socialcomunista che ci ha regalato, in successione, il divorzio, l’aborto e che si prepara alla battaglia per l’eutanasia.
Il Papa e i vescovi italiani, costantemente solleciti e attenti al bene del popolo, non hanno mai cessato di richiamare il valore della vita umana sin dal momento del concepimento. L’aborto resta un crimine odioso, una terribile tragedia, un omicidio tanto più grave perché prende di mira i soggetti più deboli, i bambini non ancora nati.
Questo non è un dato di fede, non c’entrano il Vaticano e la gerarchia, la Chiesa e la religione cattolica. E non è neppure solo un dato di scienza, anche se la scienza continua a portare prove sulla complessità e la ricchezza della vita prenatale (molte ex femministe hanno fatto marcia indietro di fronte alla “sofferenza” del feto).
Che l’aborto volontario sia il più abominevole dei delitti, come ci ricordava la beata Madre Teresa di Calcutta, è innanzitutto un dato di ragione, di buon senso. Merce ormai rara, purtroppo. Parlare di piena attuazione della 194, nelle sue parti per così dire “costruttive”, non significa perciò dimenticare il fatto che, dal punto di vista morale, l’aborto rimane un orrendo, inaccettabile misfatto. Ma se non ci sono le condizioni politiche e culturali per cambiare una legge profondamente ingiusta, dovrebbe però essere sempre possibile dare testimonianza di una realtà diversa, accogliente e generosa, aperta alla vita, e battersi per soluzioni alternative alla soppressione di una creatura. È questo il lavoro che svolgono da decenni i Centri di aiuto alla vita, che hanno aiutato migliaia di mamme, “salvato” migliaia di bambini. Nel silenzio totale dei mass media asserviti alla lobby abortista.
Adesso si vuole evitare che questa preziosa opera di assistenza venga alla luce, divenga patrimonio di tutti, sia messa a disposizione, come pur prevede la legge, delle strutture pubbliche. L’aborto, da scelta drammatica ma “necessaria” di pochi, che andava depenalizzata, così si diceva, è di fatto diventato un diritto di tutti: anzi, quasi un obbligo, alimentato da nuovi, ancor più disumani sistemi di “eliminazione”, come la somministrazione della RU486. Che, tra l’altro, non è affatto innocua per la donna, se è vero che ci sono stati addirittura diversi decessi, in America e altrove, legati al suo uso (altra notizia accuratamente occultata).
I vescovi, a proposito del nuovo clima di feroce intolleranza che sta montando contro chi ha a cuore la vita umana, nel loro linguaggio garbato e diplomatico parlano di disagio, di tensione, di sterile contrapposizione, di critica inopportuna; lamentano il sorgere di steccati anacronistici tra laici e cattolici, quando invece sarebbe più utile una feconda collaborazione. Tutto vero, certo. Ma senza nulla togliere a queste pur corrette analisi, ci permettiamo di usare una parola che forse è la più adatta a descrivere la situazione che si è creata: è la parola odio. Da tante dichiarazioni, prese di posizione, commenti, reazioni, che si affidano a un linguaggio virulento e cattivo, emerge non una pacata e argomentata divergenza di opinioni, ma vero e proprio odio. Non a caso il cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha usato l’efficace espressione di “pallottole di carta”. Ma la storia insegna che si comincia con le pallottole di carta, e poi non si sa dove si va a finire… Vedremo nelle prossime settimane, nei mesi a venire, nel corso
di una campagna elettorale che si preannuncia arroventata, che cosa sarà capace di generare questo clima di odio.
Un odio dettato certamente dal timore di una rinnovata presenza dei cattolici sulla scena politica italiana, dopo la deliberata distruzione della Dc nei primi anni Novanta. Timore alimentato dal trionfo dell’astensione nel recente referendum sulla procreazione assistita. Ma ci sono ragioni più profonde, di ordine culturale, filosofico, persino teologico. Riconoscere dignità alla vita umana nascente, così come ai malati terminali, significa rimettere in discussione quella orgogliosa autosufficienza che caratterizza la società moderna, dalla Rivoluzione francese in qua. Sottoporre a critica i capisaldi della legislazione abortista, o semplicemente attenuarli con la richiesta di una maggiore attenzione alle ragioni che spingono all’aborto, significa rimettersi in un atteggiamento “religioso”, o meglio di ripresa di senso comune, che i poteri dominanti hanno da tempo rigettato. Di più.
Nell’odio contro la vita e contro chi difende la vita, dobbiamo avere il coraggio di dirlo, c’è lo zampino del demonio. Il principe del male non accetta il trionfo del bene, del bene del singolo come del bene del popolo. E si serve di tutti i mezzi per affermare la sua volontà. Può apparire quasi una barzelletta – e non è affatto “politicamente corretto”, ce ne rendiamo conto – pensare che dietro una dichiarazione stizzita del compassato Piero Fassino, il segretario dei Democratici di sinistra (ex comunisti), o dietro i ripetuti e volgari insulti del “ragazzaccio” Daniele Capezzone, leader dei radicali, o i sermoni anticattolici del guru Umberto Veronesi ci sia la coda del diavolo. Ma cominciamo a credere che sia proprio così, a giudicare dai contenuti delle loro affermazioni, così intrise, lo ripetiamo, di odio e di avversione contro chi invece vuole solo fare del bene, senza secondi fini.
E come si combatte il diavolo? Con la preghiera, la testimonianza, l’educazione del popolo al rispetto per la vita.
Ricorda
«Maria aiuta la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre».
(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, n. 104).
IL TIMONE – N.49 – ANNO VIII – Gennaio 2006 – pag. 12-13