Approvata la Costituzione del 1848, il nemico numero uno dello Stato sardo-piemontese diventa l’Ordine dei gesuiti. Accusati persino di avere nascosto un tesoro. Per trovare il quale, le autorità finiscono nel ridicolo
Lo Stato costituzionale sardo vede la luce nel 1848. I suoi peggiori nemici sono, in totale dispregio della Costituzione, gli Ordini religiosi della Chiesa di Stato (lo Statuto albertino definisce la religione cattolica «unica religione di Stato»). I nemici per eccellenza però, i nemici primi, sono senza confronto i gesuiti. I liberali ereditano l’odio antigesuita della massoneria che nel rituale di iniziazione al 33° grado di rito scozzese antico e accettato recita: «In Colui del Domani è adombrato Hiram, risorto dai secoli, l’Uomo Immortale che reggerà il mondo dopo aver annientato ogni dispotismo, ogni fanatismo. A Lui la realizzazione della Grande Opera. Luce contro la nera milizia di Ignazio da Loyola: crociati della Gnosi contro gli infedeli teocratici; Cavalieri del Tempio unico ed universale contro i profanatori e gli usurpatori del Tempio».
Nel 1848, non dubitando di essere i difensori della libertà, deputati e s e n a t o – ri del Regno sardo derubano i gesuiti di ogni loro bene e comminano ai padri la pena del domicilio coatto. Per quale colpa? Nessun’altra che il nome. La colpa commessa dai gesuiti è quella di chiamarsi gesuiti. Nel 1850 padre Giovanni Roothaan, generale dell’Ordine, in una lettera all’imperatore Francesco Giuseppe così riassume le ragioni della persecuzione: «per riuscire nei suoi disegni disastrosi, l’empia setta [la massoneria], alla quale è stato dato di prevalere un istante, si è sforzata soprattutto di combattere e di distruggere i sentimenti religiosi nei paesi cattolici, e a questo fine essa ha attaccato in primo luogo gli ordini religiosi, nella cui esistenza essa individuava un ostacolo alle sue mire. Ma tra tutti gli ordini religiosi quello che più eccitava il suo furore, quello di cui essa si sforzò con ogni mezzo di rendere financo il nome odioso a tutti i popoli e a tutte le classi della società, è notoriamente la Compagnia di Gesù».
L’odio: questo è il sentimento che la propaganda liberale diffonde a piene mani contro i gesuiti. L’odio però non rende intelligenti. Al contrario, priva chi ne è succube di ogni capacità di discernimento e, a volte, dello stesso buon senso. Il prete Vincenzo Gioberti, nel suo Il Gesuita moderno, oltre a seminare disprezzo nei confronti dei figli di S. Ignazio, diffonde la leggenda della loro smisurata ricchezza. I liberali prendono per oro colato le parole di Gioberti e vanno alla caccia di quella ricchezza: così documenta nei dettagli don Giacomo Margotti nelle Memorie per la storia dei nostri tempi. Gli uomini del risorgimento sono tanto ladri ed assetati di soldi quanto dominati dall’odio: così accecati, scambiano per gesuita un uomo che nulla ha a che fare con la Compagnia di Gesù. Intimato dalla folla, giustamente “indignata”, di svelare il nascondiglio del tesoro, costui (un “giovialone”, come lo definisce Margotti) svela un particolare “rilevantissimo” delle abitudini dei padri: «il tesoriere e i superiori » entrano ed escono di continuo da una certa camera. L’indizio viene preso come testimonianza certa della presenza dell’oro nella stanza. Detto fatto: i liberali si mettono all’opera ed iniziano a tastare i muri per scovare il nascondiglio. Trovato un punto che «risuonava» sono certi di aver individuato il luogo del tesoro e, mentre picconano con foga, fanno progetti sulla spartizione del denaro. Dopo parecchi tentativi, alla fine il muro cede e si comincia a «sentire una certa fragranza, che non era né di rosa, né di gelsomino ». Per farla breve, il tanfo aumenta al punto da diventare insopportabile anche per gli “eroi d’Italia” che con le pive nel sacco abbandonano l’impresa. Nel 1854 la speranza di scovare l’oro gesuita si fa nuovamente certezza. Il ministro delle finanze riceve una lettera provvidenziale (le casse dello Stato sono perennemente al verde) che rivela l’ubicazione del denaro: il tesoro è custodito nel collegio dei Santi Martiri di Torino, in cantina, «sotto tanti palmi di terra». La lettera è dettagliata e pertanto, così si pensa, le informazioni non possono essere che veritiere. Uno stuolo di funzionari si reca ai Santi Martiri perché la scoperta di tanta ricchezza va documentata: «Si scassinano porte, si scava nel luogo indicato, e circa un metro più in là, due metri più in giù, e il tesoro non comparisce». Anche questa volta è andata male, ma non c’è due senza tre: «Certi italianissimi – chiosa Margotti – perdono il cervello se dai loro la speranza d’un po’ di danaro». Questa volta viene presa per buona una soffiata che parla di una gran quantità di soldi nascosta dai gesuiti a Genova, a palazzo Tursi. Margotti così descrive il comportamento invasato dei liberali: il cavalier Barnato (la persona incaricata dal governo di trovare e portare a Torino i sacchi d’oro) «chiama a sé due architetti, e il sindaco, e l’intendente generale di Genova, e sul pomeriggio del 17 aprile tutti e cinque s’incamminano processionalmente a palazzo Tursi, per ritirare il tesoro dei Gesuiti. Tastano, rompono, guastano il pavimento, e non trovano il becco d’un quattrino. Si consultano, rileggono le istruzioni, tornano a ricercare, a rompere, a guastare, e il tesoro non c’è». Questo il commento di Margotti: «che cime d’uomini sono i nostri ministri, che si lasciano così raggirare! O poveri noi, in che brutti panni siamo dopo tanta libertà e tanto libero scambio!».
Dicono che in Belgio esista la più anticattolica e laicista massoneria del mondo: l’episodio dei gesuiti mi è tornato in mente qualche mese fa dopo aver letto delle prodezze della polizia e magistratura belghe in cerca di prove inconfutabili contro il clero cattolico, di “professione pedofilo”. Certi che vescovi e primate nascondessero le prove dell’immondezza dei loro preti in qualche luogo sicuro, gli zelanti rappresentanti dell’ordine pubblico belga sono andati a cercarle. Dove? Nei sarcofagi di due cardinali seppelliti in cattedrale! Martelli pneumatici alla mano, sono scesi nella cripta di Saint Rombout a Mechelen ed hanno profanato le tombe di Jozef-Ernest Van Roey e Léon-Joseph Suenens.
L’odio rende ciechi ed ottusi, schiavi dei pregiudizi. L’odio non affina il cervello né rende lucidi. Lucidi no, ma ridicoli, perversi e smodati sì.
PER SAPERNE DI PIÙ…
Angela Pellicciari, Risorgimento anticattolico, Piemme 2004. Angela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere, Ares 1998. Francesco Pappalardo, Il Risorgimento, Quaderni del Timone, 2010.
IL TIMONE N. 98 – ANNO XII – Dicembre 2010 – pag. 26 – 27