Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

14.12.2024

/
L’ultimo guerriero cristiano
31 Gennaio 2014

L’ultimo guerriero cristiano

 

 

 
 
La storia di Eugenio di Savoia, nobile piemontese che divenne un grande generale della Casa d’Austria. Vincitore dei francesi e dei turchi, protagonista di trionfali campagne militari.
 
 
 
L’ultimo difensore della cristianità contro gli islamici, uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi (Napoleone lo annoverava tra i sette migliori generali della storia), usava firmarsi «Eugenio von Savoie», utilizzando le tre maggiori lingue europee per sottolineare la sua appartenenza al Sacro Romano Impero.
Nacque a Parigi nel 1663, figlio di un militare, Eugenio Maurizio, principe di Savoia-Carignano e duca di Soissons.
Sua madre, l’italiana Olimpia Mancini, era nipote del grande cardinale Mazarino. Il giovane Eugenio chiese un incarico militare al re Luigi XIV. Gli fu rifiutato. Poiché suo fratello Luigi Giulio, arruolato nelle truppe del Sacro Romano Impero, era caduto in uno scontro con i tartari, ne prese il posto e nel 1683 ebbe il suo battesimo del fuoco a Vienna. Qui la corte imperiale era fuggita e la città era assediata dai turchi del gran vizir Kara Mustafà, mentre i tartari devastavano la regione. Vent’anni prima, un analogo tentativo turco era stato fermato dagli imperiali comandati dall’italiano Raimondo Montecuccoli a San Gottardo sulla Raab. Ora, il capo dei ribelli magiari, Thököly, ne aveva chiesto l’aiuto contro l’Impero. Sollecitata e finanziata dal papa Innocenzo XI, si era formata una coalizione cattolico-protestante fra l’imperatore Leopoldo, il re polacco Jan Sobieski, il duca Carlo di Lorena e l’elettore bavarese Massimiliano Emanuele. Sebbene Luigi XIV praticamente incoraggiasse i turchi in funzione antiasburgica, diversi volontari francesi si unirono alla crociata. Il 12 settembre 1683, galvanizzati dalle prediche del beato Marco d’Aviano, i cristiani, sebbene inferiori di numero, sbaragliarono i turchi e liberarono la città. Lo sconfitto Kara Mustafà venne fatto strangolare dal sultano. Eugenio, per il coraggio dimostrato in battaglia, fu fatto colonnello dei dragoni. L’anno seguente si formò una Santa Alleanza contro i turchi tra Impero, Polonia e Venezia (e il Papa ordinò al clero di tutta Europa di finanziarla). Il frate Marco d’Aviano ne era il cappellano e l’animatore, sebbene conoscesse solo l’italiano (ma pare che, miracolosamente, tutti comprendessero le sue prediche). Nel 1685 i turchi vennero sconfitti a Esztergom e il 2 settembre dell’anno dopo fu presa Buda, centro della loro potenza in Ungheria (a questa impresa partecipò anche il figlio del re inglese Giacomo II). L’armata imperiale, numericamente inferiore ai turchi del gran vizir Suleiman Pascià, proseguì fino a Mohàcs, dove nel 1526 gli ottomani avevano sconfitto e ucciso il re Luigi d’Ungheria. Il 12 agosto 1687 i cristiani batterono clamorosamente i turchi a Berg Harsan e si aprirono la via verso la Serbia. L’esercito turco in rotta si ammutinò e la rivolta raggiunse Costantinopoli, dove il gran vizir fu ucciso e il sultano Mohammed IV deposto. Nel 1688 gli imperiali conquistarono Belgrado, capitale della Serbia. Il ventiquattrenne Eugenio, distintosi nella cariche di cavalleria sebbene gravemente ferito a un ginocchio, fu promosso feldmaresciallo.
La superiorità campale degli europei, quantunque inferiori di numero, era dovuta all’adozione del fucile a pietra focaia, della baionetta e dell’artiglieria leggera, nonché alla ferrea disciplina che permetteva complesse manovre e repentine formazioni a quadrato. L’impero turco, di struttura totalitaria e dispotica, mandava all’assalto masse enormi di uomini nel tipico schieramento a mezzaluna, ondate su ondate di giannizzeri e spahi (cavalleria leggera) seguiti da bande di cavalieri tartari della Crimea (che gli europei impararono presto a fronteggiare con gli ussari). Ma le più ordinate truppe cristiane, molto meno indifferenti allo spreco di vite umane, riuscivano a prevalere su eserciti sterminati.
Intanto, proprio mentre il successo di Belgrado faceva dell’imperatore Leopoldo il campione di tutta la cristianità, Luigi XIV lo attaccava alle spalle. Lo stadtholder olandese, il protestante Guglielmo di Orange, invadeva l’Inghilterra cacciandone il re e, proclamatosi protettore dei protestanti (che Luigi XIV aveva espulso dalla Francia nel 1685, revocando l’editto di Nantes), si alleò con Leopoldo. Si unirono l’Olanda, la Spagna, i principi tedeschi e Vittorio Amedeo di Savoia, cugino di Eugenio. Fu la Guerra dei Nove Anni (1688-1697). Eugenio, ferito alla testa nell’assedio di Magonza del 1689, sconfisse i francesi a Cuneo nel 1691.
Due parole per spiegare la lunghezza delle guerre a quei tempi. Il problema stava nei rifornimenti, che nessun esercito poteva portarsi dietro. Per esempio, per rifornire solo di pane per un mese un’armata di sessantamila uomini sarebbe occorso, tra foraggio, grano, legna da ardere e forni, un convoglio di undicimila carri lungo duecento chilometri.
Così, non ci si poteva distanziare molto dai depositi e gran parte del tempo era dedicato a cercare di tagliare le linee di rifornimento del nemico. Per sfamare i cavalli si doveva per forza combattere solo d’estate, quando le bestie potevano brucare. Le truppe soffrivano spesso di scorbuto e di dissenteria, a causa dell’alimentazione inadeguata e insufficiente. Le guerre non di rado cessavano solo perché a un certo punto si esaurivano le risorse finanziarie.
Intanto, poiché gli imperiali erano impegnati nella guerra ad Ovest, nel 1690 i turchi riprendevano Belgrado. Sei anni dopo, il sultano in persona, Mustafà II, si pose alla testa di una nuova invasione, battendo in due riprese gli imperiali e traversando il Danubio con carri carichi di catene destinate ai generali cristiani. Eugenio nel 1697 tornò alla testa dei trentamila soldati della coalizione cristiana (imperiali, russi, veneziani, polacchi) che marciavano dietro agli stendardi con l’aquila e la Madonna. I suoi uomini lo chiamavano «il piccolo cappuccino» per via della semplice giubba marrone che era uso indossare. Finse una ritirata di fronte al nemico, a Zenta in Ungheria, ma poi tornò indietro a marce forzate e sorprese i turchi. L’11 settembre, caricando con i suoi ussari, attaccò il nemico impegnato nell’attraversamento del fiume Tibisco su un ponte di barche. Caddero ventimila turchi, diecimila annegarono. Il gran vizir fu ucciso dai suoi nella zuffa per guadagnare il ponte. I cristiani ebbero solo trecento perdite. Il bottino, nell’accampamento abbandonato, fu enorme. Il resto del mese fu impiegato a rastrellare la Bosnia musulmana e al saccheggio di Sarajevo, la città dalle cento moschee. Il 26 gennaio 1699 i turchi dovettero firmare la pace di Carlowitz, con cui cedevano l’Ungheria e la Transilvania all’Impero, Azov ai russi, la Podolia ai polacchi e la Morea ai veneziani. A meno di vent’anni dall’assedio di Vienna, Eugenio aveva donato all’Austria, già provincia di confine, uno sterminato impero. Il condottiero cristiano ebbe accoglienze trionfali quale salvatore dell’Europa. Le zone liberate furono ripopolate con coloni cristiani e Vienna, da semplice fortezza di frontiera, divenne una delle capitali più splendide della cristianità.
Nel 1700 morì il re di Spagna, Carlo II, e il complesso sistema di alleanze fece scoppiare la Guerra di Successione Spagnola (1702-1714). Ancora una volta contro i francesi, Eugenio ebbe il compito di invadere la Lombardia. Guidando le pattuglie di ricognizione e interrogando di persona i nemici catturati, trovò un valico incustodito perché «impossibile » e traversò le Alpi col suo esercito, in un’impresa memorabile che i contemporanei paragonarono a quella di Annibale. Con abilissime finte e manovre fulminee sorprese i francesi e li batté a Carpi il 9 luglio 1701. Poi mosse su Chiari e riportò un’altra vittoria. In pieno inverno, la notte tra il 31 gennaio e l’1 febbraio 1702, con un’azione di «commandos» penetrò in Cremona, quartier generale dei francesi, e ne catturò il comandante in capo, Villeroy. Subito dopo tornò a Vienna per divenire capo del Consiglio di Guerra (cosa che ne faceva, insieme al cancelliere Kaunitz, l’arbitro della politica estera austriaca). Il 12 agosto 1704, insieme agli inglesi del duca di Marlborough, Eugenio batté ancora i francesi a Blenheim, nei Paesi Bassi. Fu una battaglia decisiva che pose fine alla supremazia dell’esercito francese e, per la prima volta in mezzo secolo, metteva la Francia stessa a rischio di invasione. Il 7 settembre 1706, con una strepitosa carica (nella quale fu sbalzato dal suo cavallo ferito), Eugenio, con forze decisamente inferiori, liberò Torino dall’assedio francese. Il 16 aprile 1707 entrò in Milano, di cui fu nominato viceré, tra l’entusiasmo della popolazione. L’11 luglio, con una marcia straordinaria, sorprese i francesi nelle Fiandre e li sconfisse clamorosamente a Oudenarde. Ne fece prigionieri settemila grazie a uno stratagemma (aveva ordinato ai suoi tamburini di suonare l’adunata francese). Allo scontro presero parte anche il giovane principe elettore di Hannover (che poi divenne re Giorgio II d’Inghilterra) e il pretendente al trono inglese, Giacomo Stuart. Subito Eugenio andò ad assediare Lilla, che si arrese entro l’anno. In quello che Winston Churchill definì «il più grande assedio dall’invenzione della polvere da sparo», Eugenio fu ferito seriamente alla testa. I francesi, non riuscendo ad aver ragione di quella «volpe astuta» (definizione del duca di Baviera, alleato dei francesi), ricorsero ad altri mezzi: si scoprì che una lettera inviatagli dall’Olanda conteneva una carta intrisa di una sostanza mortifera; fu subito gettata per terra e le sue esalazioni provocarono la morte di un cane che si era avvicinato ad annusarla.
Seguirono altri assedi e la sanguinosissima battaglia di Malplaquet nel 1709 (11 settembre), durante la quale Eugenio fu colpito da un proiettile dietro l’orecchio (ma consentì a farsi medicare solo alla fine dello scontro). Nel 1710 tutta la catena di fortezze che proteggevano la Francia ad Est era stata conquistata. Ma la guerra entrava in stallo per la morte dell’imperatore Giuseppe I nel 1711. Il nuovo eletto, Carlo VI, mandò Eugenio a Londra in visita ufficiale. Il campione della cristianità venne accolto in trionfo (la visita fu commentata per iscritto da Jonathan Swift, il celebre autore de I viaggi di Gulliver). Ma il nuovo governo tory non vedeva di buon occhio l’espansione imperiale a spese della Francia e, sebbene alleati, gli inglesi cominciarono a sabotare i piani di guerra di Eugenio, arrivando a rivelarli ai francesi. Eugenio, informato di tutto, riuscì lo stesso a giungere alle porte di Parigi, tanto che la corte, impressionata dalla sua fama, pensò alla fuga. Nel 1712 con un contrattacco disperato i francesi riuscirono a sbaragliare gli olandesi a Denain. Eugenio, arrivato troppo tardi, non poté superare il fiume Schelda perché l’unico ponte era crollato.
La sconfitta della coalizione antifrancese a Denain, come ebbe a osservare Napoleone, salvò la Francia. Ci si mise anche la peste, che devastò Vienna e Praga. Così, si arrivò alla pace di Utrecht, firmata l’11 aprile 1713, e al trattato di Rastadt del 26 novembre, negoziato personalmente da Eugenio, incline a porre fine al lungo conflitto con la Francia perché a Est i turchi avevano rialzato la testa. Questi, infatti, nel 1711 avevano sconfitto i russi guidati da Pietro il Grande sul fiume Prut, tre anni dopo avevano cacciato i veneziani dalla Morea ed ora si preparavano a riprendersi l’Ungheria.
Adesso la situazione politica europea era profondamente mutata e questa volta gli austriaci dovettero fare praticamente da soli. Al solito, l’unico a sostenerli fu il papa Clemente XI, che finanziò la nuova crociata. Nel 1716 un grande esercito turco comandato da Silahdar Alì Pascià, genero del sultano, mosse da Belgrado verso la fortezza di Petervaradino in territorio ungherese. Eugenio gli sbarrò la strada con forze inferiori della metà e il 5 agosto lo sconfisse, uccidendo trentamila nemici. Ci vollero tre giorni e trecento carri per trasportare il bottino fatto nell’accampamento
turco. Qui, però, i vincitori trovarono anche i corpi decapitati dei prigionieri cristiani. Eugenio si portò allora alla roccaforte di Temesvàr, che cadde in ottobre. Cavallerescamente, ai turchi arresisi fu concesso di mettersi in salvo. Grazie all’insistenza di Eugenio fu deciso di continuare la campagna per riconquistare Belgrado. Arrivarono volontari da tutta l’Europa e il 15 giugno 1717 venne posto l’assedio alla capitale della Serbia. La città era imprendibile, posta com’era su un triangolo formato dal Danubio e dalla Sava. La forte guarnigione comandata da Mustafà Pascià inflisse gravi perdite ai cristiani, che il 13 luglio videro i ponti di barche che avevano costruito distrutti da una tempesta. In più, alla fine del mese sopraggiunse un grande esercito turco guidato dal gran vizir Halil Pascià. Eugenio, preso tra due fuochi, bersagliato dall’artiglieria turca e coi suoi uomini falcidiati dalla
dissenteria, decise di giocare il tutto per tutto e, con una straordinaria manovra notturna, all’alba del 16 agosto attaccò di sorpresa le forze di Halil e le mise in fuga.
Fu in questa occasione che la sua incredibile capacità di cogliere la vittoria nei momenti più tragici venne celebrata nella famosa canzone Das Prinz-Eugen Lied.
Una settimana dopo, Belgrado cadeva. Bastò la notizia a far dileguare i predoni tartari che avevano terrorizzato l’Ungheria e tratto in schiavitù interi villaggi. I turchi furono costretti a firmare la pace di Passarowitz del 21 luglio 1718, con la quale cedevano la Serbia e il Banato. Quelle terre, che l’occupazione turca aveva trasformato in un deserto, grazie ai coloni cristiani divennero centri agricoli, tessili e minerari di prim’ordine.
Intanto Eugenio, nominato governatore dei Paesi Bassi, era diventato di fatto il primo ministro dell’Impero. Non si sposò mai né lasciò eredi, giacché i suoi fratelli erano tutti morti (due in battaglia).Viveva in modo austero e modesto ma fu uno dei più importanti mecenati del suo tempo. Fece costruire lo splendido palazzo viennese del Belvedere (giudicato una delle meraviglie d’Europa) e commissionò da artisti italiani quadri, affreschi, statue e arredi. La sua immensa biblioteca personale (la lettura era il suo unico hobby) fu acquistata dallo Stato dopo la sua morte e fu la base della biblioteca nazionale austriaca.
L’anno della peste, il 1713, tutti i costruttori avevano licenziato gli operai, sciogliendo le imprese. Eugenio, cui non sembrava cristiano aggiungere la fame all’epidemia, non solo tenne i suoi ma ne assunse molti tra quelli rimasti disoccupati, per un totale di milletrecento uomini.
Fu in relazione con Leibniz, Montesquieu, John Toland e Pietro Giannone, ma non stimava Voltaire né l’utopista abbé de Saint-Pierre. Federico Gugliemo I di Prussia, il «re sergente», cercò di ingraziarselo offrendogli animali rari per i suoi giardini, ma se li vide rimandare indietro dall’incorruttibile principe. In guerra Eugenio era esigentissimo con i suoi uomini, ma ricorreva alla severità solo quando la persuasione aveva fallito. Faceva impiccare seduta stante chi veniva sorpreso a saccheggiare edifici religiosi o case private ed era disposto a sparare personalmente su chi non obbediva prontamente. Ma non esigeva nulla che non fosse disposto ad eseguire in prima persona. Poiché a quei tempi agli ex soldati spesso non restava che l’accattonaggio, dispose pensioni per militari anziani o invalidi e ogni anno destinava somme considerevoli, tratte dal suo appannaggio personale, allo scopo. A settant’anni suonati dovette tornare alla testa dell’esercito per lo scoppio della Guerra di Successione Polacca (1733-1735), che vide Austria, Russia e Prussia alleati contro Francia, Spagna e Savoia. In questa campagna il re di Prussia mandò suo figlio (il futuro Federico il Grande) a imparare l’arte della guerra dal vecchio Eugenio. Questi si rese subito conto che la cosa più sensata da farsi fosse porre fine alla guerra il più presto possibile, sebbene il suo solo nome bastasse a impedire ai francesi di attraversare il Reno. Ancora una volta aveva ragione lui: i turchi si stavano riorganizzando.
Morì il 21 aprile 1736 per una polmonite. Dall’anno seguente in poi, i turchi inflissero agli imperiali una sconfitta dietro l’altra: con la guerra del 1737-1739 ripresero Belgrado e tutta la Serbia.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Derek McKay, Eugenio di Savoia, SEI, 2003.
Alberto Leoni, La croce e la mezzaluna, Ares, 2002.

 

 

 

 

IL TIMONE – N. 53 – ANNO VIII – Maggio 2006 – pag. 22 – 24

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista