Ciò che nella Sacra Scrittura I viene detto dell’uomo supera di gran lunga ogni filosofia, credenza religiosa e mitologia.
Il vertice è nel Cristianesimo.
Intervista a Gianfranco Ravasi.
“Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne curi?” Ma anche, un rigo sotto: “l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato”… Bastano due versetti (questi sono tratti dal bellissimo salmo 8) per riassumere l’idea che la Bibbia ha dell’uomo: un impasto di polvere ma anche il vicerè autorizzato del cosmo, una creatura di Dio e insieme il suo figlio amatissimo… Forse nessun libro ha saputo descrivere con altrettanta poesia e ricchezza d’immagini il mistero che l’uomo continua a indagare di se stesso. Nessun filosofo, nessun mito probabilmente raggiungono la profondità di Giobbe nel definire il senso del dolore. E poi Abramo, Davide, Giona, Mosé…
Una galleria di personaggi nella cui vicenda continua a risuonare quella domanda fondamentale: “Che cosa è l’uomo?”. La giriamo a monsignor Gianfranco Ravasì, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano e tra i più insigni biblisti italiani.
Monsignor Ravasi, che cosa è dunque l’uomo secondo la Bibbia?
“Sia l’Antico che il Nuovo Testamento ne mostrano un duplice volto. Da un lato la ferma convinzione della sua fragilità, espressa su due registri: la realtà di creatura (quindi il limite, l’essere polvere e materia, la debolezza segnata dalla malattia) e la possibilità di sbagliare. L’uomo non è interlocutore di Dio in maniera obbligata, come per esempio le stelle o altri elementi creati che obbediscono a leggi fisse, ma è libero, quindi gli sono concessi persino la. ribellione e il peccato.
D’altra parte, però, nella visione sapienziale della Bibbia sussiste l’immagine dell’uomo che – proprio attraverso tale libertà – può accogliere la grazia di essere figlio di Dio. E in questo caso diventa addirittura “di poco inferiore a Dio”, come dice la versione ebraica del salmo 8 sopra citato”.
Rispetto alle altre grandi civiltà e tradizioni della stessa epoca (dagli Egizi ai Greci, da Omero a Socrate), che pure si muovono entro un contesto religioso, qual è l’originalità della Bibbia?
“La Bibbia è molto acuta nell’indicare alcuni principi fondamentali che magari sono anche intuìti in altre religioni, ma mai in maniera così netta e radicale; si può dire che la Sacra Scrittura è unica anche dal punto di vista della riflessione storica e filosofica sull’uomo. Anzitutto delineando il tema della sua libertà, presentato in maniera folgorante nei primi capitoli della Genesi: l’uomo è solo sotto l’albero della conoscenza del bene e del male, con la possibilità di ricevere il frutto da Dio oppure di arraffare lui la sua morale. Questa solitudine però non è assoluta, perché Dio non lascerà mai mancare all’uomo il suo sostegno, così che non abbia a precipitare nel male; la libertà dell’uomo è reale ma non abbandonata a se stessa” .
E poi?
“Una seconda verità presente nella Bibbia rispetto – per esempio – al pensiero greco è la profonda compattezza tra carne e spirito: l’uomo intreccia in sé l’anima e il corpo, mentre il mondo greco tendeva a separare. La terza componente (quasi assente nelle altre culture orientali) è il rapporto di Dio con l’umanità: sono molte infatti le culture che tentano di collegare Dio con la storia dell’uomo, lo fanno i greci e gli egizi per esempio, o i babilonesi quando affermano che l’uomo possiede sangue divino (ma di quale Dio? Quello del male…); la visione biblica però è l’unica a descrivere un Dio onnipotente che scende a impolverarsi nella vita degli uomini”.
Nella Bibbia c’è anche Caino, il peccatore; c’è Giobbe, il perseguitato da Dio; c’è Abramo, la fede fatta persona. Nei grandi miti classici troviamo invece Ercole vincitore di ogni fatica, Prometeo che sfida il cielo, Icaro che vuole innalzarsi da terra con le sue sole forze… Visioni profondamente diverse della vita e del ruolo dell’uomo in essa. Un diverso senso del dolore, forse soprattutto, e della morte.
“È vero. In alcuni dei personaggi del mito è presentata la sfida a Dio, come in Prometeo o Icaro. Anche Giobbe lotta con Dio, ma sempre in un contesto di fede, tant’è che arriva ad affermare: “Anche se mi uccidesse, io continuerò a credere in lui”: una cosa che Prometeo non avrebbe mai detto. Per quanto riguarda il dolore, invece, nel pensiero greco c’è spesso un elemento che alla fine scardina ogni possibilità di risposta: il fato, il destino, un groviglio oscuro di cui persino gli dei sono schiavi. Nella Bibbia all’opposto la sofferenza è sì una componente del limite delle creature, ma è anche parte del progetto misterioso di Dio. Il dolore cioè riesce alla fine ad avere un senso, la sofferenza non è un meccanismo cieco”.
E questo non c’è in nessun’altra cultura.
“Soprattutto il Nuovo Testamento fa attraversare il dolore e la morte da Dio stesso nel suo Figlio, e questa è un’enorme novità anche rispetto al giudaismo. Anche per gli ebrei, difatti, Dio scende nella storia, parla nei profeti, si manifesta con le vicende di Israele; però solo il cristianesimo afferma che egli decide di partecipare con suo Figlio alla condizione di creatura fino alla frontiera estrema, cioè il dolore e la morte”.
L’incarnazione di Cristo, insomma, sposta la riflessione sull’uomo a livelli impensabili prima: è Dio stesso che si fa come noi. Ed è qui il cuore del messaggio antropologico cristiano.
“Tutte le religioni cercano in qualche modo di stabilire un ponte di comunicazione tra Dio e l’umanità. Solo il cristianesimo riesce, con un’elaborazione straordinaria, a mostrare Dio che si fa veramente carne conservandosi però pienamente Dio. Da allora morte e dolore sono attraversate da un Dio che le ha provate davvero su di sé e non si limita adarne una consolazione esterna dall’alto dei suoi cieli dorati. Si tratta di una grande intuizione liberante, che non umilia né cancella la dignità dell’uomo”.
E oggi che l’idea di un uomo “naturalmente religioso” non sembra funzionare più, che cosa può dire di inedito la Bibbia ai nostri contemporanei su loro stessi?
“La Bibbia dice all’uomo moderno in crisi che egli è pur sempre segnato da un mistero, da una ferita” religiosa”. L’uomo può arrivare con la ragione a intuire la presenza di un disegno sulla sua storia, ma la pienezza del suo destino (la figliolanza divina, l’eternità dell’anima) può essere solo comunicata per amore”.
Si tratta comunque di un messaggio molto attuale, in un mondo senza padri e con poche speranze.
“Senza dubbio. Il fatto di appartenere a un disegno d’amore, anche quando non si riesce a comprenderne i confini, è un altro dei grandi messaggi cristiani sull’uomo”.
L’UOMO
“Questa unione del cristo con l’uomo è in se stessa un mistero, dal quale nasce “l’uomo nuovo”, chiamato a partecipare alla vita di Dio, creato nuovamente in Cristo alla pienezza della grazia e della verità”.
(Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, n. 18).
Dossier: Uomo, chi sei?
IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 38 – 39