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3.12.2024

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1969. L’uomo sulla luna
31 Gennaio 2014

1969. L’uomo sulla luna

 

 

 


40 anni fa le voci di Tito Stagno e Ruggero orlando raccontarono agli italiani l’allunaggio del modulo “Eagle”. Mezzo miliardo di persone rimasero incollate davanti al televisore con il fiato sospeso.
Il rischio dell’insuccesso era molto alto. Il presidente Nixon aveva già pronto un discorso per commemorare gli astronauti.


 

Chi non c'era la sera del 20 luglio 1969, per rendersi conto di che cosa significò allora lo sbarco dei primi uomini sulla Luna, deve almeno moltiplicare per mille l'indimenticabile "Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!
Campioni del Mondo!" con cui Nando Martellini annunciò la vittoria italiana ai mondiali di Spagna del 1982.
Tito Stagno, dallo Studio 3 di via Teulada, raccontando l'allunaggio fu persino più epico e, bisogna dirlo, anche più scomposto. Alle 22,17 ora italiana, ebbe pure un vivace contenzioso con il povero Ruggero Orlando che stava a Huston, ma non riusciva a comprendere le comunicazioni della sala di comando. E, intanto, il modulo Eagle, staccatosi dalla navicella Columbia della missione Apollo 11 , stava per allunare.
«Ha toccato… ha toccato il suolo lunare». I 500 invitati e i 250 tra tecnici, impiegati e giornalisti di via Teulada esplosero in un applauso liberatorio. Nel corso della serata iniziata alle 19,28 avevano fatto fuori 8.000 sigarette e 3.000 caffè e bisognava pur smaltire nicotina e caffeina.
«No, non ha toccato» gracchiò di sottofondo Ruggero dall'altra parte dell'oceano. Ma Stagno non se ne accorse e continuò: «Signori, sono le 22,17 in Italia, sono le 15,17 a Huston, sono le 14,17 a New York, un veicolo pilotato dall'uomo ha toccato un altro corpo celeste. Questo è frutto dell'intelligenza, del lavoro, della preparazione scientifica… è frutto della fede dell'uomo. A voi Huston».
E da Huston il vecchio Ruggero: «Qui ci pare che manchino ancora dieci metri».
«No Ruggero, no Ruggero».
«Ha toccato in questo momento».
Nuovo applauso lanciato da Tito Stagno, che però puntualizzò: «Hanno fermato i motori in questo momento. L'errore è comprensibile perché era atterrato effettivamente quando io l'ho detto, alle 22,17 precise, ma il motore, così come si fa per gli elicotteri, è stato spento un pochino più tardi».
Chi non c'era deve sapere che l'amichevole alterco tra Tito Stagno e Ruggero Orlando, col tempo, ha assunto forma e proporzioni della borraccia passata di mano tra Coppi e Bartali. Chi fu a passarla? Non c'era intervista in cui i due corridori riuscissero a scampare la domanda. Lo stesso è stato per quell'«Ha toccato», «No, non ha toccato»: chi aveva ragione? Quando un dettaglio diventa così ammaliante, quasi ipnotico, significa che la vicenda a cui appartiene ha superato i confini della cronaca ed è andata a posarsi sul limitare tra la storia e l'epica. E si fa presto a dire che quelli erano tempi semplici e ingenui in cui ci si stupiva con poco. Che il 1969 era l'anno di "Lisa dagli occhi blu" e di "Zingara", l'anno del "Prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue" e di "Un maggiolino tutto matto", l'anno di "Nero Wolfe", della "Freccia nera" e di "Doppia coppia", l'anno in cui Lelio Luttazzi presentava in radio "Hit Parade" e la gente pensava che il titolo fosse "Iiiiiiiit Pareeeid". Si fa presto a dirlo, ma il 1969 era anche l'anno della strage di Piazza Fontana, l'anno dell'uccidere un fascista non è reato, l'anno del sacrificio di Jan Palach in piazza San Venceslao a Praga, l'anno del festival di Woodstock destinato a entrare nella leggenda come "Tre giorni di pace, amore e musica", l'anno della cosiddetta Conferenza di pace per il Vietnam, l'anno che portò ovunque il Maggio francese.
Non erano tempi semplici e c'era chi temeva che la conquista della Luna fosse la certificazione della perdita dell'innocenza. «Povera disgraziata Luna, ebete, senza amor proprio, senza fantasia» scriveva Dino Buzzati sul Corriere della Sera il 17 luglio, il giorno dopo la partenza della missione Apollo 11 dal Centro Spaziale di Cape Kennedy, in Florida. «E gli uomini non ci troveranno niente. Constateranno che non è fatta neppure di formaggio, come ci dicevano da bambini, di emmenthal, coi buchi, Non un segno di vita, una traccia di remota civiltà, uno spillo, un fiammifero spento, un microbo fossile, un biglietto del tram. Niente di niente».
In effetti, durante la loro passeggiata sulla crosta lunare Nei! Armstrong ed Edwin Aldrin non videro gran che. Non il mitologico Endimione rapito da Selene. Nemmeno Astolfo in cerca del senno di Orlando secondo il racconto di Ludovico Ariosto. E neppure il demone di Socrate del "Cyrano de Bergerac". Niente di niente.
Ma non era sulla Luna che bisognava cercare. Bisognava guardare sulla Terra per capire che cosa stesse accadendo. La gente era rimasta incollata ai televisori in bianco e nero già il giorno del lancio.
«Che Dio vi benedica» era affiorato alle labbra di tanti adulti quando il missile si staccò dalla Terra per andare fin lassù. E i bambini erano come incantati davanti allo spettacolo che avevano letto in un libro di Jules Verne. «Una detonazione spaventosa, inaudita, sovrumana, di cui né gli scoppi della folgore, né il frastuono delle eruzioni potrebbero rendere l'idea, si udì istantaneamente. Un immenso fascio di fuoco sorse dalle viscere della terra come da un cratere. Il suolo ebbe un sussulto terribile e qualche persona soltanto riuscì a vedere per un istante il proiettile che vittoriosamente fendeva l'aria tra i vapori fiammeggianti». Adesso, dopo aver rivisto tutto per filo e per segno in televisione, capivano perché Dalla Terra alla Luna li aveva stregati così tanto: ciò che meravigliava loro meravigliava anche i loro padri. Perché erano i padri a benedire quei tre uomini che andavano a bucare lo spazio.
Le donne, allora, avevano ancora il coraggio di diffidare di tutto ciò che non fosse domestico.
La meraviglia, la capacità di provare stupore. Somma Teologica, Parte Seconda, Sezione Seconda, Questione 46: alla sapienza si oppone la stoltezza, che è di chi non si commuove neppure per ciò che fa stupire, e che consiste nell'ottusità del cuore e del senso.
Chissà quanti padri, con il naso incollato a quelle immagini in bianco e nero, hanno insegnato San Tommaso ai loro figli senza neanche sospettare di conoscerlo.
È davvero una grande virtù quella di stupirsi per la grandezza di un altro uomo, per la grandezza di un'impresa altrui, e dimostrarlo davanti a proprio figlio senza timore di esserne sminuito. È così che si allevano uomini che un giorno potranno compiere qualcosa di grande perché si saranno innamorati della bellezza di un gesto e non perché ne avranno preventivato un guadagno.
L'Italia del 1969 era ancora capace di queste cose. E non servono dei predicozzi da baciapile per scoprirlo. Basta riascoltare la cronaca di Tito Stagno: «Questo è frutto dell'intelligenza, del lavoro, della preparazione scientifica…
è frutto della fede dell'uomo». Sarebbe fin troppo facile calcare la mano su quel "frutto della fede". E allora conviene puntare l'attenzione sulla "preparazione scientifica".
L'Italia del 1969 non aveva ancora elaborato la cultura degli scienziati in talare che celebrano i riti della "ricerca scientifica". Si limitava 'a riconoscere i meriti della "preparazione scientifica", che è tutt' altra cosa: è lo sforzo di un uomo che si sente sotto esame davanti al creato, e non di quello che se ne sente il signore. Tanto che i primi a scoprirsi sollevati e sorpresi dalla riuscita dell'impresa furono i membri dello staff che l'aveva preparata. Non a caso, negli Archivi Nazionali di Washington è conservato il comunicato stampa che il presidente americano Richard Nixon avrebbe dovuto leggere in tv se gli astronauti fossero rimasti bloccati sulla Luna: «Il destino ha voluto che gli uomini che sono andati sulla Luna per esplorarla in pace, rimarranno sulla Luna per riposare in pace.
Questi uomini impavidi, Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, sanno che non c'è speranza per il loro recupero. Ma sanno che c'è speranza per l'umanità nel loro sacrificio. Questi due uomini stanno donando le loro vite per l'obiettivo più nobile dell'umanità: la ricerca della verità e della conoscenza. Si addoloreranno le loro famiglie ed i loro amici; si addolorerà la loro nazione; si addolorerà tutta la gente del mondo; si addolorerà la Madre Terra per avere mandato due dei suoi figli verso l'ignoto. (…) Ogni uomo che guarderà la Luna nella notte, saprà che c'è da qualche parte un piccolo angolo che sarà per sempre l'umanità». Dal cinismo di routine degli uomini di potere all'ingenuità di 500 milioni di persone qualunque ipnotizzate dalla lentezza con cui il modulo Eagle scendeva verso la Luna, quel 20 luglio 1969 ogni pensiero era dominato da una paura molto semplice: che Armstrong e Aldrin non potessero farcela.
Mezzo miliardo di esseri umani davanti al televisore, tutti insieme, sentivano che la vita è rischio. "Perché, papà?", "Perché sì". Non c'è altra spiegazione e i bambini lo compresero benissimo.
Non ci sono due perché per rispondere a una domanda, tanto meno a quelle fondamentali.
Perché l'uomo è andato sulla Luna? Perché ha scoperto l'America? Perché ha scalato l'Everest? Perché la vita è rischio, e il contrario non è la tranquillità, ma l'assenza di fede. Ecco perché quel famoso 20 luglio 1969 non bisognava scrutare la Luna, ma la Terra, il luogo della fede.

 

 

 

 

 

 

Dossier: Spazio. Ultima frontiera

 

IL TIMONE  N. 85 – ANNO XI – Luglio/Agosto 2009 – pag. 36 – 38

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