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di AA. VV.
il Timone N. 175 di Luglio 2018

Quando manca un pezzo

Il 25 luglio 1978, a 10 anni esatti dalla firma dell’enciclica Humanae Vitae da parte di Paolo VI nella quale il beato papa Montini confermava l’inscindibilità dei significati unitivo e procreativo dell’atto coniugale, vedeva la luce Louise Brown, la prima bambina concepita in provetta. La nascita era stata preceduta tre anni prima dalla fecondazione in vitro e il trasferimento in utero di un embrione che aveva prodotto un esito infausto a causa del suo impianto ectopico (gravidanza extrauterina). Ancora prima, nel 1969 la fecondazione in provetta aveva dato un embrione che era riuscito a sopravvivere solo poche ore, dopo che 10 anni prima la tecnica aveva avuto successo nel coniglio.

Molta strada era stata compiuta da quando nel 1677 Antonie van Leeuwenhoek e l’assistente Johan Ham avevano osservato al microscopio per la prima volta gli spermatozoi che apparvero loro come piccoli animali ispirandone il nome latino di animalcula. Negli stessi anni l’olandese Reinier De Graaf descriveva i follicoli ovarici, mentre per l’individuazione della cellula uovo si dovette attendere la descrizione dell’embriologo Karl Ernst von Baer nel 1827. Dopo Louise Brown la tecnoscienza riproduttiva ha proseguito la sua corsa: nel 1983 nasce il primo bambino concepito in provetta e crioconservato. Prende il via la fecondazione eterologa; nel 1988 Linda Kirkman dà alla luce la figlia Alice, la prima bambina concepita in provetta dall’ovocita della nonna e dallo spermatozoo di un donatore anonimo. Appena due anni dopo si inaugura la tecnica della biopsia embrionale che consente d’individuare il sesso dell’embrione e successivamente di procedere alla diagnostica pre-impianto, mentre nel 1992 nasce la prima bambina concepita con tecnica ICSI (iniezione spermatica intracitoplasmatica)….

Primo piano a cura di Benedetta Frigerio, Renzo Puccetti e Giorgio Carbone.

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