Nel quarto vangelo non si legge mai il nome della Madre di Dio. Eppure, l’evangelista richiama con forza il suo ruolo decisivo nell’opera della redenzione
Il quarto vangelo è una composizione del tutto originale, che volutamente si stacca dallo schema della catechesi sinottica per operare una scelta inedita di detti e di fatti, al servizio di una profonda riflessione teologica. È però anch’esso una catechesi: ogni episodio, pur nel rispetto della verità degli accadimenti che è spesso puntigliosamente richiamata, è scelto soprattutto per offrire una luce. Ancor più che nelle altre pagine neo testamentarie, in quelle giovannee si individuano spesso come diversi livelli: l’esposizione – restando narrazione storica di ciò che è avvenuto – è al tempo stesso e volutamente “mistagogia” (cioè introduzione esistenziale al mistero salvifico) e “teologia” (cioè comprensione dell’eterno disegno del Padre).
La reticenza mariologica del quarto vangelo…
A differenza degli altri, il quarto evangelista assegna spazi rilevanti alla Madonna nella vicenda pubblica di Gesù. Eppure anche per lui si deve parlare di reticenza.
Il primo silenzio è nel prologo, là dove si dice che «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14), senza ricordare affatto la partecipazione di una donna a questo evento. La professione di fede niceno- costantinopolitana – che pure desume dal linguaggio giovanneo il termine che esprime la venuta del Logos tra noi – non si dimenticherà di citare i due protagonisti (lo Spirito Santo e Maria Vergine), che qui non vengono nominati: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine».
Il secondo silenzio riguarda il nome di Maria, che non compare mai nel “corpus giovanneo”.
Giovanni è tutt’altro che restio a indicare i nomi delle persone. Oltre a quelli noti anche agli altri vangeli, ricorda lui solo Natanaele, Nicodemo, Lazzaro, Malco (il servo cui Pietro mozza l’orecchio), Maria di Cleofa. Cita anche «Giuseppe di Nazaret » (cf Gv 1,45), e non cita Maria.
L’omissione del nome della madre di Gesù non può che essere intenzionale.
…e l’enfasi mariologica giovannea
Il quarto vangelo parla due volte della Madre di Gesù, puntando esplicitamente l’attenzione su di lei. E i due contesti sono tutt’altro che secondari nell’economia generale del racconto.
Il primo (Gv 2,1-12) è collocato al termine della “prima settimana”, dalla quale Giovanni con allusione alla Genesi fa partire la nuova creazione del mondo. Questo, del banchetto nuziale a Cana di Galilea, è l’episodio da cui prende il via l’azione salvifica di Cristo e il rinnovamento dell’umanità mediante la fede: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv 2,11).
Il secondo (Gv 19,25-27) è addirittura il momento più alto e decisivo dell’azione redentrice: quello della morte in croce, che il quarto vangelo presenta come una esaltazione che conquista l’universo (cf Gv 12,32: «lo, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti [tutto] a me»).
Quindi, se da un lato Giovanni non vuol proporre alla nostra considerazione la personalità per così dire privata di Maria, al punto che ne tace anche il nome, dall’altro è evidente la sua intenzione di additarla come la creatura che nel disegno di Dio ha il posto più vicino a quello dell’Unigenito del Padre, tanto da esserne la collaboratrice più attiva e determinante nell’opera di salvezza.
Maria a Cana
Nell’episodio delle nozze di Cana, Maria media tra il Figlio e i convitati (soprattutto gli sposi) sprovvisti di vino. È attenta all’umanità bisognosa, tanto che si accorge delle necessità prima degli interessati stessi, e interviene a loro favore senza neppure esserne stata richiesta. È evidente la volontà dello scrittore di presentarla come la migliore e la più intelligente di quanti possono intercedere per noi presso il Signore.
Sul figlio agisce non con l’autorità di chi comanda ma con l’autorevolezza di chi viene sempre ascoltato. La sua efficacia ci rivela quale sia la potenza “femminile” nel disegno del Padre. Non dice: «Fate quello che io vi dirò»; dice: «Fate quello che egli vi dirà» (Gv 2,5). E lo dice come colei che sa di capire il cuore di Cristo e di conoscerne la mentalità, anche quando sulle prime sembra che il Signore pensi diversamente da lei: è consapevole della sua piena e sostanziale consonanza con i progetti di Dio. Gesù pare avanzare un’obiezione insuperabile alla domanda della madre: «Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4).
Maria sembra non curarsi dell’obiezione di Gesù e riesce a superarla senza discuterne la validità. Semplicemente fa anticipare in figura – nel matrimonio rallegrato dal vino della Nuova Alleanza – la realtà che per l’eternità sarà il frutto dell’«ora», l’ora della immolazione e della gloria: e cioè la festa nuziale di Cristo e della Chiesa.
Maria sul Calvario
Nell’episodio del Calvario (Gv 19,25-27), l’evangelista vuole enunciare valori teologici sostanziali. L’atteggiamento di Maria non è affatto quello angosciato dei nostri “compianti”: prevale in lei il coraggio di una presenza affettuosa, che non ha bisogno di lacrime e di lamenti per manifestare la condivisione alla sofferenza. È ancora una volta una energia “femminile”, che non si esprime in interventi operativi esteriori, ma proprio per questo ha un’efficacia più intensa e più sostanziale.
«Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,26-27). Qui viene insegnata la funzione materna di Maria nei riguardi di tutti i credenti, rappresentati dal «discepolo che Gesù amava».
Gesù dice prima: «Ecco tuo figlio», e poi: «Ecco tua madre». Prima ancora di affidare Maria a Giovanni, affida Giovanni a Maria: il primo pensiero non è per la madre che da questo momento resta sola, ma è per l’umanità che ha bisogno di una protezione materna. L’umanità, non la persona di Giovanni, il quale ha già una madre; e anzi ha una madre che, secondo la testimonianza del vangelo di Matteo, è lì anche lei tra le donne che con Maria assistono alla crocifissione (cf Mt 27,56; è probabilmente la stessa che con il nome di Salome è ricordata in Mc 15,40).
La «donna» e la «madre»
Nel considerare i due passi giovannei abbiamo finora trascurato il dato teologicamente più interessante. In ambedue queste pagine l’evangelista parlando di Maria la chiama sempre «la madre di Gesù» (cf Gv 2,3) o «sua madre» (cf Gv 2,12; 19,25) o semplicemente «la madre» (cf Gv 19,26).
Gesù invece, quando si rivolge a lei, usa l’appellativo di «donna» (cf Gv 2,4; 19,26). “Donna”: in bocca a un figlio questo modo di esprimersi è del tutto inconsueto; è inconsueto per noi, ma lo era anche negli usi di quel tempo. Adoperandolo, l’evangelista ci fa capire che vuol evocare una tematica più universale di quanto non sia il rapporto di parentela con il Redentore. Maria è per eccellenza «la donna», così come lo era Eva nel racconto genesiaco del primo peccato. Allo stesso modo viene messa sulle labbra di Pilato, a proposito di Cristo, una parola insolita e allusiva: «E Pilato disse: “Ecco l’uomo”» (Gv 19,5).
La «Nuova Eva»
Tutto allora si chiarisce, anche la collocazione dei due episodi nell’economia generale della narrazione.
Maria è «la donna», cioè la Nuova Eva che aiuta Gesù, il Nuovo Adamo, a cominciare l’opera di redenzione (episodio di Cana) e a condurla a compimento (episodio del Golgota).
È l’“antitipo” perfetto della prima donna, che aveva iniziato e aveva spinto alla consumazione l’opera di rovina. Al tempo stesso Maria è presentata come l’avveramento della profezia genesiaca. Al serpente Dio dice: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno » (Gn 3,15).
Si capisce allora perché l’estensore del quarto vangelo la presenta sempre come «la madre». È un altro elemento di simmetria e di contrapposizione con Eva, di cui l’antica Scrittura dice: «Fu la madre di tutti i viventi» (Gn 3,20), cioè di tutti gli uomini che nascono sotto il segno della prima colpa. Maria è la madre di tutti i “nuovi viventi”: da lei la nuova vita – scaturita dal sacrificio di Cristo che ha effuso sul mondo lo Spirito e ha donato l’acqua e il sangue dei divini misteri (cf Gv 19,30-34) – arriva a tutti gli uomini riscattati e rinnovati.
IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 48 – 49
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