Di fronte al caos mediorientale c’è chi propone la suddivisione in piccoli Stati confessionali, a garanzia soprattutto dei cristiani. Soluzione che i vescovi cristiani respingono, e a ragione. Storicamente, la suddivisione degli Stati su base religiosa o etnica si è sempre risolta in bagni di sangue
Nel 1947 la Gran Bretagna avviò la più grande operazione di decolonizzazione della storia, che coinvolgeva un miliardo di persone: il ritiro dello Stato britannico dalla parte più significativa e preziosa del suo sistema coloniale, l'India. Gli inglesi sapevano tutto dell'India, e sapevano che nella sua storia indù e musulmani si erano spesso massacrati tra loro, per non parlare dei buddhisti, spazzati via e confinati quasi esclusivamente nello Sri Lanka. Decisero allora non di unire, ma di separare. Inventarono tre Stati: Ceylon – che si sarebbe poi chiamato Sri Lanka -, un'isola a maggioranza buddhista; l'India a maggioranza induista; e il Pakistan a maggioranza musulmana, uno strano Stato diviso in due parti non confinanti, il Pakistan occidentale a Ovest e il Pakistan orientale (oggi Bangladesh, dal 1971 indipendente) a Est. Fu la più grande operazione d'ingegneria sociale che la storia ricordi. La geografia e le persone reali di rado favoriscono questi disegni progettati a tavolino, e gli inglesi si resero ben presto conto che la parte "indù" era piena di musulmani e la parte "musulmana" conteneva un buon numero d'induisti. Perfino nell'isola di Ceylon, che sembrava più tranquilla, buddhisti e induisti cominciarono a uccidersi tra loro, e non hanno smesso neppure oggi.
La "partition" indo-pakistana
Gli inglesi decisero la "partition", lo spostamento di massa dei musulmani residenti in India verso i due Pakistan e degli induisti residenti in Pakistan verso l'India. Spostarono quattordici milioni di persone, la più grande migrazione di massa della storia umana. Ma neppure questa enorme ciambella riuscì con il buco. Alcuni – soprattutto musulmani – rifiutarono di spostarsi. Dopo avere perso molti soldati nel tentativo di convincerli con le cattive, la Gran Bretagna rinunciò, e oggi in India ci sono centocinquanta milioni di musulmani. Mentre si spostavano, scoppiarono tumulti e scontri, con cinquecentomila morti.
La "partition" indo-pakistana costituisce un monito per chi pensa che sia facile risolvere i conflitti sedendosi nella sede di qualche ministero degli Esteri o all'ONU, prendendo una cartina geografica e tirando delle righe, possibilmente diritte, dividendo gli Stati e creandone di nuovi sulla base dell'etnia o della religione.
Stati artificiali
Certamente ci sono esempi di separazioni consensuali che hanno dato buon esito, come quella tra la Repubblica Ceca e la Siovacchia. Così pure, l'Unione Sovietica si era costruita sulla base dell'annessione brutale di Paesi che volevano rimanere indipendenti e che in molti casi lo erano stati per secoli, e venuta meno la pressione militare era inevitabile che le repubbliche ex-sovietiche riconquistassero la loro identità separata. Ma già in questo caso la divisione si è rivelata difficile e dolorosa, perché il comunismo aveva spostato popolazioni e confini proprio nel tentativo di smorzare le spinte separatiste. In Paesi non russi ci sono forti minoranze russe, come dimostrano le vicende dell'Ucraina. Tagliare l'Ucraina in due sarebbe molto difficile, perché l'economia e i processi di urbanizzazione hanno spostato popolazioni verso le grandi città e le zone più industrializzate, così che sarebbe per esempio difficile decidere a quale delle due ipotetiche Ucraine attribuire la capitale Kiev. E lo stesso, cambiando scenario, vale per Bruxelles, capitale di un Belgio dove la difficile coesistenza fra fiamminghi e valloni paralizza spesso la vita politica e spinge verso la separazione. Ci sono certo Stati completamente artificiali, inventati a tavolino dagli apprendisti stregoni del colonialismo. L'Iraq fu creato dagli inglesi mettendo insieme tre province dell'Impero Ottomano che avevano pochissimo in comune. Noi italiani abbiamo inventato la Libia, dando un nome che per gli antichi romani indicava semplicemente l'Africa ad altre tre province ottomane che si odiavano tra loro. A parte il Fezzan a Sud, che vive di vita propria e vorrebbe essere coinvolto il meno possibile in quanto succede sulla costa del Mediterraneo, tutto quanto avviene in Libia si spiega con l'odio feroce tra Tripolitania e Cirenaica, fra Tripoli e Bengasi, che vivono anche lo stesso islam
sunnita in modo molto diverso. Anche qui molti ipotizzano la "partition": ma anche qui è difficile, perché l'economia e il petrolio hanno mescolato le tribù e i confini. Spostiamoci a Sud per un altro caso che riguarda direttamente i cristiani: la Nigeria. Lo Stato federale nigeriano mette insieme un Nord a maggioranza musulmana e un Sud a maggioranza cristiana. Di fronte alle stragi di cristiani nel Nord molti invocano la separazione. Ma ci sono appunto molti cristiani al Nord e un buon numero di musulmani al Sud. Gli specialisti ritengono che una "partition" della Nigeria dovrebbe prevedere almeno quattro Stati, con un esodo di massa che ricorderebbe quello indo-pakistano, con gli stessi rischi e probabilmente le stesse stragi.
Le ragioni dei vescovi
Vescovi e patriarchi del Medio Oriente continuano a spiegarci che staterelli cristiani in quell'area non sono né possibili né auspicabili. Perché i cristiani, che sono non dimentichiamolo – i più antichi abitatori dell'area, sono sparsi dovunque. In Siria, mentre i drusi – parte di un'altra minoranza religiosa – hanno la loro montagna, i cristiani sono distribuiti quasi uniformemente su tutto il territorio nazionale. Se li si concentrasse in uno staterello cristiano da questo dovrebbero essere espulsi i musulmani, che si troverebbero nella stessa condizione dei palestinesi espulsi da Israele nel 1948. Comincerebbero a sognare la distruzione armata dello Stato cristiano come i palestinesi sognano quella dello Stato ebraico: con la differenza che i cristiani presumibilmente non avrebbero né il potente esercito né i non meno potenti appoggi internazionali degli israeliani.
Ma c'è anche una ragione morale per opporsi alla creazione di Stati-ghetto per i cristiani. Come ha ricordato Papa Francesco in Albania, la Chiesa insegna che la coesistenza in pace e rispetto fra seguaci di religioni diverse è possibile. Talora è molto difficile, ma i cristiani si ostinano a proporla. E qualche volta ottengono risultati, non solo in Albania. Il Senegal, con la sua antica cultura islamica e una vivace minoranza cattolica, è un altro esempio di coesistenza possibile.
Vivere insieme si può
Benedetto XVI, con il suo ricco Magistero sull'islam che sarebbe del tutto sbagliato ridurre a una citazione in un discorso a Ratisbona, ci ha invitato a diffidare di ogni facile ottimismo e buonismo e a riconoscere che nella storia islamica ci sono problemi irrisolti e difficili quanto ai rapporti fra ragione e fede e fra religione e violenza. Nel viaggio in Libano del 2012, Benedetto XVI ha lamentato le rovine e le distruzioni causate in Medio Oriente dalle persecuzioni promosse da una parte, non minore, del mondo islamico, ma ha anche rilevato che ancora esistono in quella regione cristiani e musulmani che vivono insieme in pace, il che prova che, per quanto questo non sia facile, «i musulmani e i cristiani, l'islam e il cristianesimo, possono vivere insieme senza odio, nel rispetto del credo di ciascuno, per costruire insieme una società libera e umana»,
Le comunità cristiane del Medio Oriente sono chiamate dal Magistero del Papa e dei loro vescovi certo a resistere anzitutto a chi vuole sterminarle, ma in una prospettiva che non contempla come orizzonte ultimo la fuga verso gli Stati Uniti, l'Australia o l'Europa e neppure la costituzione di micro-stati cristiani. No, i cristiani d'Oriente sono chiamati a sperimentare – anche a futura memoria, per un'Europa dove la demografia rischia di creare in futuro aree a forte percentuale e forse a maggioranza islamica – forme di coesistenza pacifica nell'ambito dello stesso Stato, isolando gli ultra-fondamentalisti e i tagliagole e scoprendo come convivere con gli altri musulmani. Senza buonismo e illusioni. Ma anche senza crociate di cartapesta proclamate da qualcuno che in Occidente trova facile fare il martire con il sangue degli altri. •
Il Timone – Novembre 2014