Nella Bibbia, per qualche verso c’è tutto. La Provvidenza di Dio ha fatto in modo che la verità per la nostra salvezza ci giungesse mediante la predicazione ininterrotta degli apostoli e dei loro successori. Questa predicazione è garantita nella sua unità dal suo iniziatore e permanente autore che è Cristo Gesù, perché, come il collegio degli apostoli aveva un capo, Pietro, così il collegio dei loro successori, i vescovi, hanno un capo, il successore di Pietro che è il vescovo di Roma. Si potrebbe pensare che questo è sufficiente, ma Dio ha voluto raggiungerci anche con un altro strumento, in perfetta consonanza con il suo disegno sapiente. Avendo infatti deciso – in modo assolutamente non necessario, in piena libertà – di farsi uomo, ha voluto procedere con questa stessa logica. Infatti, come la sua Parola eterna si è fatta carne in quell’uomo concreto che fu Gesù di Nazaret, figlio di Maria sempre vergine, ha voluto che il suo messaggio si facesse anche scrittura. Una Scrittura che di per sé sola non è sufficiente, perché le parole per quanto vere e divine hanno bisogno, per essere vive, della persona che ne è all’origine, ma che contengono in esse tutto quello che di più importante ed essenziale ha voluto comunicarci. Esse sono affidate alla Chiesa che continua ad annunciarle, a spiegarle e a conservarle nel loro senso autentico in modo tale che – attraverso di esse – possiamo sempre sentire risuonare in noi la Parola di Dio. «Avete il novo e ’l vecchio Testamento, e ’l pastor de la Chiesa che vi guida: questo vi basti a vostro salvamento» (Dante Alighieri, Paradiso, canto V).
Gli episodi della Bibbia hanno dunque un senso che va oltre il fatto stesso che raccontano. Diventano come dei modelli ai quali dobbiamo guardare per ritrovare in essi il modo giusto di porci davanti a Dio e al nostro prossimo.
L’episodio di Antiochia che san Paolo racconta nella lettera ai Galati ci pone di fronte a un fatto “scandaloso”: due apostoli che si trovano in disaccordo. Il comportamento di Pietro non è coerente con i principi da lui stesso ammessi e insegnati: i precetti cerimoniali della legge non sono necessari per la salvezza, perché questa avviene solo mediante la fede viva in Cristo Gesù. Paolo con coraggio e schiettezza lo rimprovera pubblicamente, perché pubblico era stato il suo atteggiamento scandaloso. San Paolo non ci racconta il seguito dell’episodio, ma da tutto il contesto, così come emerge dagli altri scritti del Nuovo Testamento e dalla Tradizione della Chiesa, sappiamo che non ci fu una divisione tra loro. Di lì non nacquero due Chiese, ma si svilupparono tutt’al più due modi o stili diversi di apostolato. Non così diversi da giustificare una separazione, perché lo stesso san Paolo, in altri contesti, si comportò come san Pietro: cfr. At 16,3; 21,26; 1Cor 8,13; Rm 14,21; 1Cor 9,20.
Diverso è stato il comportamento di Martin Lutero: questo passo della lettera ai Galati è stato come il punto di partenza e la giustificazione del suo modo di agire. “Se Pietro in un caso ha sbagliato, allora possono sbagliare anche i suoi successori ed io sono autorizzato dalla Scrittura a ribellarmi a loro, così come ha fatto san Paolo”. Ma è Lutero che ha sbagliato a leggere la Bibbia. Da nessuna parparte infatti san Paolo dice che san Pietro ha insegnato il falso. Dice solo – anche se con grande coraggio e franchezza – che Pietro non è coerente con quanto da lui stesso insegnato: «Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo» (At 10,28). Rispetta e riconosce in pieno la sua autorità: è proprio per questa ragione – per la sua grande e indiscussa autorità che “costringe” chi la riconosce a comportarsi come lui – che interviene pubblicamente.
Dallo “scontro” di Antiochia non sono nate due Chiese. «La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza: così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina» (2 Pt 3,15-16). Dalla ribellione di Lutero, al di là delle sue intenzioni di riforma, nacque invece una spaccatura che divise la Chiesa e pose le fondamenta di una frantumazione che dura ancora. La Chiesa in se stessa non può perdere l’unità, ma questa può essere oscurata e ferita nella coscienza di tanti suoi figli e lei continua a pregare e ad operare perché le ferite vengano sanate e la pace ritrovata.
IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 60
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