In un libro, il vescovo guaritore si racconta a cuore aperto. Al di là di giudizi sommari e facili moralismi, la vicenda rivela la capacità di accoglienza e perdono della gerarchia e, nel monsignore africano, una fedeltà a Cristo che ha resistito allo scandalo e al peccato.
“Io, arcivescovo Emmanuel Milingo, ho voluto concedere questa intervista perché sia chiara la verità, senza zone d’ombra, e perché si sappia che l’unico movente della mia vita è l’amore per Dio, per la Chiesa e per l’umanità.” Sono le parole di apertura di un libro che ha ridato voce, dopo un anno di silenzio e di banali congetture sulla sua sorte, al 72enne monsignor Milingo, arcivescovo emerito di Lusaka, nello Zambia, uno dei personaggi più in vista negli ultimi anni della Chiesa cattolica, ma anche fra i più discussi, soprattutto in seguito alle rocambolesche vicende che l’hanno visto, nel giro di sedici mesi, sposare Maria Sung, lasciarla per tornare in Italia, farsi ricevere dal Papa per chiedere e ottenere perdono, sparire dalla circolazione per un anno e ritirarsi in preghiera e meditazione in una località segreta dell’America meridionale, e poi riapparire da noi per riprendere la sua attività pastorale al servizio dei malati e dei sofferenti. Ma questa volta, rispetto al passato, con l’impegno di una più piena e fraterna comunione con il Magistero e con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Se c’è una lezione da trarre dalla complessa vicenda del vescovo nero guaritore, al di là di giudizi sommari e di facili moralismi, si può riassumere in due punti: la straordinaria capacità dì accoglienza e di rigenerazione mostrata dalla Chiesa, che ha scongiurato così il pericolo concreto di traumatiche divisioni, e la grande e semplice fede di un uomo come Milingo, che ha sbagliato, certamente, ma ha anche riconosciuto la sua inadeguatezza, abbandonandosi fiducioso all’abbraccio di Cristo e all’amore a Dio. Somigliando così a tutti quei figli della Chiesa e santi che, nel corso dei secoli, pur peccatori, rozzi e inadeguati, hanno tuttavia sempre avuto ben chiara la coscienza del proprio destino e, grazie alla loro fede in Dio, hanno sempre affrontato con forza e determinazione le drammatiche vicissitudini e circostanze della vita.
Dal libro in questione, “Il pesce ripescato dal fango”, riprendiamo alcune significative domande, con le risposte di monsignor Milingo.
Avevano dei progetti su di lei i moonies?
Certamente… Ma più: avevano addirittura l’idea di sviluppare la loro presenza in Africa grazie al mio nome e alle mie capacità, fondando una Chiesa cattolica parallela, autonoma da Roma, con una propria gerarchia. C’era un progetto ben preciso che aveva dei cospicui finanziamenti, a quanto mi era dato di sapere piuttosto grave. Io sarei stato a capo della nuova Chiesa.
Questa è un’affermazione piuttosto grave, non le sembra? Si sarebbe trattato di uno scisma.
Sì. Ma a questo progetto – uno scritto su di esso è sparito dalla mia valigia in maniera misteriosa al mio arrivo in Italia – non mi sarei prestato facilmente. Era veramente troppo.
Come uscì dal colloquio , con il Papa?
Dopo i primi venti minuti dell’incontro ero felice per il semplice fatto di sentirmi a casa,, di nuovo, di essere ricevuto dal papa stesso, che aveva avuto la delicatezza, lo ripeto, di non moltiplicare i rimproveri contro di me: “Tu sei cattivo, tutto lo scandalo che hai dato, tutti i peccati che hai commesso”. Niente di tutto questo. Mi ha solo detto: “Ritorna alla hiesa cattolica”. E io sono tornato. In quel momento ho capito tutti i miei errori, le assurdità che avevo commesso, il perdono che devo chiedere. Volevo lo choc, lo avevo avuto. È come se delle scaglie mi fossero cadute dagli occhi.
Perché è rimasto fedele alla chiesa cattolica, nonostante le accuse pesanti di cui è stato fatto oggetto a più riprese?
Nel cuore mi è sempre rimasto il sentimento della maternità della Chiesa, forse per via del rapporto privilegiato che ho avuto con mia madre. Che cosa significa che la Chiesa mi è madre? Vuol dire che ha sentimenti, affetto, amore per i suoi figli. Ha persino dei gesti che paragonerei alla carezza. Io più volte ho avvertito la mancanza nella mia vita della Chiesa-madre. Ma, passati i momenti di prova, ho sempre avvertito di nuovo questa carezza della Chiesa. Non riesco a spiegarmelo diversamente, la fedeltà a questa madre è sempre stata più forte di tutto quello che mi è capitato.
Formato normale. Copertina con il primo piano del vescovo guaritore, su sfondo lattiginoso. La scritta “Milingo” in rosso, grande. Sotto, sulla sinistra, in caratteri più piccoli, il titolo: “il pesce ripescato dal fango”. Più sotto: Conversazioni con Michele Zanzucchi. La casa editrice è la San Paolo (la stessa di “Famiglia Cristiana”). Prezzo: 9 euro. Le pagine sono 160, divise in 13 capitoli, preceduti da una “Dichiarazione autografa” e seguiti da una “Confessione”. Il primo capitolo, introduttivo, è sugli avvenimenti dell’agosto 2001. Il testo, circa 200 domande e risposte, è stato raccolto nel corso di una lunga chiacchierata (più di tre ore), intercorsa tra Milingo e Michele Zanzucchi, 45 anni, caporedattore del quindicinale “Città Nuova”, voce del movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich. L’intervista è stata effettuata ai primi di luglio del 2002, in Argentina, in una località chiamata O’Higgins, nei pressi della cittadina di Juanin, a 300 chilometri dalla capitale Buenos Aires, dove il vescovo esorcista ha trascorso tutto il tempo intercorso da ottobre del 2001 fino a fine settembre 2002, prima del suo ritorno in Italia. Per la precisione, l’intervista, blindatissima e al riparo da occhi e orecchi indiscreti, è avvenuta nel coro della cappella di un vecchio monastero cappuccino del XVIII secolo, nel cuore della pampa, all’interno di una struttura di accoglienza del movimento dei Focolari.
IL TIMONE N. 22 – ANNO IV – Novembre/Dicembre 2002 – pag. 14 -15