L’invasione di uno Stato in pace senza dichiarazione di guerra, agevolata da fenomeni di corruzione e dalla connivenza della Massoneria.
Questo fu lo sbarco dei Mille.
L’epopea dei Mille è nota in tutto il mondo. Mille uomini, e per di più ‘civili’, che conquistano un regno vecchio di oltre settecento anni. Un regno ricco, che vanta la seconda marina del continente dopo quella inglese. Episodio tanto incredibile da essere definito miracoloso da Ippolito Nievo, garibaldino della prima ora. Miracolo? Nulla di più lontano dalla realtà. L’impresa dei Mille è frutto di una preparazione meticolosa.
Per tre anni, tutti i giorni, Giuseppe La Farina (il siciliano massone divenuto segretario della Società Nazionale) ed il presidente del Consiglio del Regno di Sardegna Camillo di Cavour, si incontrano in camera da letto del conte per pianificare l’intervento armato in Italia meridionale. Lo fanno in gran segreto.
Al punto che La Farina deve passare per una scala di servizio che comunica direttamente con l’appartamento di Cavour e deve farlo prima dell’alba.
Che le cose stiano così è provato nel modo più inconfutabile dalle lettere e dagli articoli dello stesso La Farina.
Della minuziosa organizzazione dell’impresa dei Mille nessuno sa e nessuno deve sapere niente.
Ufficialmente il Regno di Sardegna e quello di Napoli sono in pace. Il re Francesco II per di più è cugino di Vittorio Emanuele II.
Ufficialmente si sa solo – come è stato sbandierato al Congresso di Parigi davanti a tutto il mondo, ricorrendo alle calunnie più spudorate e senza la presenza della controparte – che gli abitanti dell’Italia meridionale “gemono” oppressi dal malgoverno borbonico.
La geniale trovata di Cavour consiste nel preparare un’invasione, e cioè una guerra, senza dichiarazione di guerra~ facendo leva sulla potenza della corruzione e sulla connivenza dei massoni meridionali con quelli settentrionali ed europei. Ne sa qualcosa l’ammiraglio Persano che tallona Garibaldi – di cui Cavour si fida poco – per organizzare lo sbarco di armi e di uomini e per ultimare l’opera di corruzione capillare. A documentare con puntigliosa precisione la condotta davvero poco onorevole del regno sardo sono i diari di Persano.
Dopo la sconfitta di Lissa (nel 1866 la flotta sarda è sbaragliata da quella austriaca significativamente più debole) la successiva incriminazione, l’ammiraglio per difendersi ricorre all’inaudita pubblicazione di veri e propri segreti di stato.
Arrivati a Palermo e Napoli, i Mille cosa fanno? Per saperlo basta leggere oltre alle lettere della Farina, qualche pagina di quanto scrive il deputato Pier Cesare Boggio, autorevole massone torinese. Il conquistatore Garibaldi, una volta arrivato in Sicilia, sembra essersi scordato di chi l’ha mandato e sembra aver preso gusto alla conquista-passeggiata: dando retta a Mazzini si scorda dei patti con Cavour e medita di marciare su Roma. Così l’intervento di Napoleone III in difesa del Papa è sicuro, per il regno di Sardegna è la bancarotta. Indebitato fino al collo per organizzare la rivoluzione italiana, senza la possibilità di ricorrere alle finanze e alle ricchezze del Regno delle Due Sicilie, per il regno sardo è la fine.
E così Soggio, nell’intento evidente di ricattare Garibaldi, mette nero su bianco le gesta davvero poco eroiche del generale. Cavour o Garibaldi? si intitola il prezioso libretto di cui oggi – come ovvio – nessuno sa nulla. Garibaldi pensa di poter fare a meno di Cavour?
Il deputato incalza il generale con una batteria di domande retoriche. Eccone qualcuna: che fine hanno fatto le “somme di pubblica ragione trovate in Palermo, e delle altre della stessa natura, ma anche più considerevoli trovate in Napoli?”.
“Volete un saggio di quel poco che moltissimo giunge insino a noi? La dittatura è fatta sinonimo di anarchia; di qua e di là del Faro non sono più leggi, non è più amministrazione regolare, non tutela delle persone e delle proprietà, non tribunali, non ordine, nulla insomma di ciò che costituisce il vivere civile di uno Stato”; ai cittadini “è venuta meno la tutela delle leggi antiche, senzachè siasi introdotta la protezione delle leggi nuove; suppliscono alla lacuna il capriccio e l’arbitrio”. I pro-dittatori si fanno e si disfanno: “Pro-dittatore scelto con molta solennità fu il Depretis”; dopo una settimana si cambia e pro-dittatore diventa Mordini “senza che pur una parola, !Jna sillaba accenni che egli surroga Depretis. Che pensare di tanta instabilità di persone e d’offici?”.
Soggio prosegue: l’ufficio di pro-dittatore “è nominale e illusorio; dietro e sopra il govèrno officiale, sta un governo segreto, che è il solo padrone vero di tutto e di tutti. Il Principe di Torrearsa legge nel foglio ufficiale la propria nomina a Presidente il Consiglio dei Ministri, della quale è affatto inconsapevole: attende l’annunzio diretto del Capo dello Stato: passa un giorno, passano due, nulla riceve; e intanto escono sulla Gazzetta decreti e provvisioni che appaiono da lui emanate.
Si presenta per tre volte al Dittatore per chiedere una spiegazione: gli dicono che non ha tempo di riceverlo; a gran fatica riesce il terzo giorno a farsi sentire, per protestare contro lo indegno abuso del nome”. “Voi dovete ricordarvi che non siete in un paese di conquista”, conclude Soggio. Conquista: la parola è esatta. Conquista, e per di più negata. Conquista in nome della libertà. Conquista senza pietà e senza vergogna. Ecco cosa scrive la Civiltà Cattolica il 14 settembre del 1861: “Negli Stati sardi esiste la tratta dei Napoletani. Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in gran quantità, si stipano ne’ bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova” .
L’autore della corrispondenza dal capoluogo ligure racconta: “Ho dovuto assistere ad uno di questi spettacoli che lacerano l’anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato”.
Per quanto tempo ancora ripeteremo giulivi la favola di Giuseppe Garibaldi ‘eroe dei due mondi’ e di Vittorio Emanuele Il ‘liberatore’?
Cronologia dell’invasione della Sicilia
5 maggio 1860. Garibaldi e i suoi Mille partono da Quarto (Genova) imbarcati sui piroscafi “Piemonte” e “Lombardo” alla volta del regno delle Due Sicilie. A Garibaldi era stata segretamente versata dal governo inglese l’immensa somma di tre milioni di franchi francesi in piastre d’oro (molti milioni di dollari odierni) che sarebbe servita a corrompere i dignitari borbonici e comperare il loro tradimento.
11 maggio. Dopo una sosta a Porto Talamona, i Mille sbarcano a Marsala, protetti dalle navi inglesi ivi ancorate.
13 maggio. Con il proclama di Salemi, Garibaldi si nomina dittatore della Sicilia.
15 maggio. Vittoria dei garibaldini a calatafimi.
30 maggio. Garibaldi occupa Palermo. La resa della città, inspiegabile dal punto di vista militare, essendo difesa da 25.000 uomini tutti ben equipaggiati, si spiega non con le gesta delle camicie rosse, ma con il denaro versato per corrompere il generale napoletano Lanza.
20 luglio. Inizia la vittoriosa battaglia di Milazzo. Impadronitosi della Sicilia, Garibaldi varcherà in agosto lo stretto di Messina.
RICORDA
“Chi sono i Mille che salpano accompagnati dalle benedizioni dei liberali di tutti i continenti? Garibaldi li descrive così: ‘Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto’ “.
(Angela Pellicciari, L’altro risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, Casale Mon.to (AL) 2000, p. 232).
BIBLIOGRAFIA
Angela Pellicciari, L’altro risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, Casale Mon.to (AL) 2000.
Lorenzo del Boca, maledetti Savoia, Piemme, Casale Mon.to (AL) 1998.
AAVV, La storia proibita. Quando i piemontesi invasero il Sud, controcorrente, Napoli 2001.
Gerlando lentini, La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano visto dalla parte degli sconfitti, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 1999.
Antonio Nicoletta, “E furon detti briganti…”. Mito e realtà della “Conquista del Sud”, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2001.
Massimo Viglione [a cura di], La Rivoluzione italiana. Storia critica del Risorgimento, Il Minotauro, Roma 2001.
TIMONE N. 20 – ANNO IV – Luglio/Agosto 2002 – pag. 22 – 23