La riuscita nell’apostolato non è anzitutto frutto dei nostri sforzi, ma dono di Dio. L’esempio dei santi lo testimonia.
Sono ormai sotto gli occhi di tutti le difficoltà in cui si dibatte il cristianesimo, soprattutto nella sua forma cattolica. Difficoltà di incontro e di confronto con le altre religioni. Ma anche difficoltà all'interno di quella che fino a tempi recenti era una cultura occidentale che, almeno a livello popolare, si identificava con la cristianità. Quelli che infatti, fino a quel momento, erano stati atteggiamenti propri di una certa intellighenzia – agnosticismo, relativismo teorico e morale, un generico spiritualismo – sono diventati sempre più patrimonio comune, creando seri ostacoli alla penetrazione del messaggio cristiano. Da qui, la necessità di riflettere sulle forme e i modi della "missione", su quella "nuova evangelizzazione" di cui tanto spesso si parla, il moltiplicarsi di sempre più raffinati piani pastorali, con l'intento di rendere più comprensibile oggi quel lieto annuncio – il Vangelo – che sembra non aver più presa su uomini sempre più distratti e orientati al mondo.
Nessuno nega la necessità e l'utilità di questo sforzo di riflessione e di rinnovamento, nei modi e nelle forme, della presentazione del cuore del cristianesimo – la Parola di Dio va incarnata nel tempo e nello spazio – a patto, naturalmente, che non diventi un impoverimento del messaggio evangelico. Sono tuttavia convinta che una sola sia la vera arma vincente, che consentirà al cristianesimo di superare questi frangenti difficili e lo porterà, come è accaduto molte volte nella storia, a nuove risurrezioni. È un'arma che, credo, può essere riassunta ed espressa in modo efficace in una sola frase; un motto che ha attraversato i secoli e che giunge a noi fin dalle origini cristiane, da quei Padri che, in mezzo a difficoltà non certo minori delle nostre, hanno saputo mantenere viva e consolidare la Chiesa, amandola talvolta fino al punto di donare la vita per essa. Eccola: «Trova la pace e moltitudini ti seguiranno». Cioè, trova davvero Gesù, ràdicati in Lui, seguilo sulla via della santità, fino ad immergerti nella pace profonda che nasce da una fede piena nel Figlio di Dio e diventerai al contempo, in modo naturale e spontaneo, anche un apostolo efficacissimo che porterà nella sua scia una schiera innumerevole di fratelli.
Credo che anche nel nostro tempo travagliato non manchino gli esempi della verità di questa affermazione. Basterebbe un nome tra tutti: quello di padre Pio da Petralcina. Credo, infatti, che pochi come lui abbiano contribuito nel corso dell'ultimo secolo a convertire davvero tanta gente a Dio quanto questo "alter Christus", questo umile cappuccino, spesso perseguitato e inviso a superiori e gerarchia, che se ne stava nel suo remoto convento di S. Giovanni Rotondo. Aveva scelto il nascondi mento e la preghiera, l'imitazione silenziosa della donazione del Maestro e invece, proprio per questo, fu posto dalla volontà di Dio su un monte glorioso al quale si recavano, e tuttora si recano, innumerevoli schiere di fratelli che ritornavano e ritornano alle loro case profondamente trasformati. Non solo: ancor più numerosi sono stati in tutto il mondo i malati, i sofferenti nello spirito, coloro che andavano cercando un senso alla loro vita e che l'hanno trovato incontrando Dio dietro il corpo piagato di quel figlio di S. Francesco. Così, mentre nella Chiesa postconciliare molto ci si agitava alla ricerca di un "nuovo stile", mentre cresceva di continuo il numero di sacerdoti e religiosi che lasciavano una vocazione che sembrava essere diventata inutile di fronte alla chiamata del mondo, mentre molti rischiavano di perdere, insieme alle forme tradizionali, anche la fede, un povero frate ricolmo di Spirito Santo, ogni giorno, per molte ore, ascoltava le confessioni dei fedeli, spargeva la misericordia di Dio, consacrava e donava alle folle il Corpo del Signore, accoglieva i figli prodighi, rudemente ma efficacemente invitava le persone a ritrovare la fede e la virtù.
Un solo esempio, abbiamo detto, al quale potrebbero seguirne molti altri. Persone eccezionali, si dirà. Per certi versi è vero. Vette di santità che quasi fanno paura, che sembrano irraggiungibili. Ma non è così, perché sappiamo bene che un santo non è frutto delle proprie capacità ma della Grazia, della disponibilità, questo sì, a lasciarsi lavorare, a lasciarsi trasformare dallo Spirito che purifica e santifica. Così come sappiamo bene che una vera santità non sempre richiede e comporta manifestazioni straordinarie. Essa si può celare anche dietro una vita ordinaria, simile alla nostra, sotto le apparenze di una normalità che però nasconda grande fiducia in Dio e grande amore a Lui e ai fratelli. "Se avrete fede anche solo come un granello di senape… sposterete le montagne». Ma, evidentemente, la nostra fede e, dunque, anche la nostra santità, è ancor più piccola di quel granello già così minuscolo se procediamo in mezzo a tante difficoltà, se abbiamo così paura del futuro, se siamo testimoni spesso poco credibili ed efficaci. Perché, ciò che converte in un santo, non è solo la sua testimonianza di amore e di virtù. Certo è anch'essa assai importante, perché predispone bene il cuore di chi assiste verso il messaggio che rappresenta, perché ne dimostra la verità incarnata. Ma colui che è ricco di grazia divina, colui nel quale lo Spirito sovrabbonda, colui che è vuoto di sé perché è ricco di Dio, è di per sé un trasmettitore di grazia, uno strumento docile e potente nelle mani del Signore, un uomo ricco di sapienza, che in-tuirà i bisogni profondi di chi gli sta di fronte e saprà trovare le parole giuste per parlare al suo cuore e aprire la via a Dio. E questo anche se saprà poco o niente di teologia o di psicologia o di quant'altro. Non si tratta evidentemente di fare l'elogio dell'ignoranza, sempre pericolosa, ma di un modo di guardare alla realtà da un'ottica soprannaturale: la fede, e dunque anche l'apostolato, non è frutto dei nostri sforzi se non in minima parte. È anzitutto dono di Dio, da meritare con una vita santa fatta di amoroso abbandono a Colui che ha detto di essere Lui – e non noi – Via, Verità e Vita.
lo credo che tutto questo sia molto consolante. È il conforto vero di cui abbiamo bisogno in questi tempi duri. Potremo incontrare difficoltà anche grandi, magari la persecuzione – e forse un po' ci farebbe bene -, ma sappiamo dove aggrapparci per non disperare: continuare con serenità la nostra strada verso la santità, verso un Dio che ci ama e ci vuole immagine del Figlio suo. Tutto il resto seguirà. «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia. Tutto il resto vi verrà dato in sovrappiù». E di questo fa parte anche il successo che vorremmo coronasse il nostro personale apostolato e quello della Chiesa intera.
RICORDA
«Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. lo sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv15,4-5).
IL TIMONE – N. 40 – ANNO VII – Febbraio 2005 – pag. 54-55