L’utilizzo di contraccettivi toglie all’atto sessuale la dimensione di dono. Così si genera distacco e rifiuto dell’altro. Pochi sanno che anche autori non cristiani condannavano la contraccezione
Premesse
Quando si tratta l’argomento contraccezione il rischio è quello di focalizzarsi su una sola tessera di uno stupendo mosaico, mancando di coglierne la bellezza. Il grandioso mosaico è qui l’alleanza e la comunione profonda tra l’uomo e la donna, che si realizzano in quella scuola dell’amore che è la vita vissuta insieme giorno per giorno, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, sul fondamento di un impegno solenne che è il matrimonio, valorizzato già prima o al di fuori del cristianesimo (ovviamente le sue forme sono a volte differenti nelle varie culture e nelle varie epoche).
Tra i tanti esempi, citiamo perlomeno Musonio Rufo (un filosofo non cristiano del I secolo d.C.): «bisogna che nel matrimonio abbia luogo una completa comunanza di vita e una reciproca sollecitudine dell’uomo e della donna, sia nella salute, sia nella malattia, sia in qualsiasi circostanza. A questa sollecitudine, come pure alla procreazione dei figli, entrambi [i coniugi] tendono con il matrimonio» (Diatribe, XIII, A). La seconda parte della citazione aggiunge un altro aspetto al discorso che qui ci interessa, quello della generazione. Infatti, per Musonio i fini del matrimonio sono essenzialmente due: la comunione-donazione dei coniugi e la generazione di nuovi esseri umani. Fatte salve alcune lievi differenze, nella sostanza questo filosofo e altri autori non cristiani (per esempio Aristotele) convergono con il cristianesimo: il che vuol dire che il discorso cristiano sul matrimonio non richiede la fede, bensì si innesta su ragionamenti laici e li arricchisce (per es. parlando del matrimonio come sacramento).
Purtroppo, manca qui lo spazio per parlare della grandezza della generazione. Si può solo accennare al fatto che la cultura odierna spesso la svalorizza, quando invece si tratta di qualcosa di inconcepibilmente straordinario. Infatti (possiamo qui solo enunciare la tesi, non dimostrarla), ogni nuovo essere umano è unico e irripetibile (non c’è mai stato e mai ci sarà una copia del suo io) e per la sua dignità è più prezioso di tutte le opere d’arte messe insieme.
Autori non cristiani contro la contraccezione
Con tali premesse, qui accennate solo in breve, può essere più facile ragionare sulla contraccezione (non svolgerò l’argomento classico sull’inscindibilità dell’aspetto unitivo e generativo della sessualità, perché richiederebbe un ragionamento molto lungo: al riguardo cfr. i testi citati in bibliografia).
Anche su questa pratica ci sono valutazioni negative già tra gli autori non cristiani, dunque non influenzati dalla fede. Qualcuna non è condivisibile, o non è sufficientemente argomentata, ma esse confermano che il giudizio negativo sulla contraccezione non è solo cattolico.
A titolo di esempio, vediamone qualcuna. Il già citato Musonio scrive (nella Diatriba XII) che gli unici rapporti sessuali giusti sono quelli «finalizzati alla procreazione di bambini […] mentre quelli che perseguono il mero piacere sono ingiusti». Anche Seneca (I secolo d.C.) ed Epitteto (di poco successivo) affermano la liceità morale delle sole unioni sponsali finalizzate alla procreazione (il primo nel De matrimonio, il secondo nelle Diatribe, III 7, 21; II 18, 15-18; III 21, 13). E il filosofo pitagorico Sesto (I-II secolo d.C.) dice (in Sentenze, 231-232) che è intemperante colui che nell’unione sessuale esclude l’intento di procreare e si prefigge solo il piacere (per altre citazioni cfr. I. Ramelli, De matrimonio nello Stoicismo romano: alcune osservazioni, «‘Ilu», 5 [2000], pp. 145-162).
L’identità dell’atto contraccettivo
Il punto è che l’atto sessuale può avvenire fondamentalmente in due modi:
– o come donazione reciproca, come unione fisica, psichica, affettiva e spirituale (durante la quale giustamente si cerca anche il piacere proprio ed altrui), la quale impegna tutte le dimensioni della persona e dunque realizza un dono totale;
– o come mero uso dell’altro, per ottenere solo il piacere.
In questo secondo caso, fermo restando che il piacere in sé è buono, non è però sempre buona l’azione con cui lo si ottiene e usare una persona vuol dire calpestarne-insultarne la preziosissima dignità poc’anzi menzionata. Che l’altro sia consenziente diminuisce la malvagità dell’insulto, ma non la toglie (sono azioni molto diverse ma, fatte le debite differenze, l’omicidio del consenziente è anch’esso un insulto alla dignità dell’ucciso, ancorché quest’ultimo sia d’accordo).
Ora, un atto contraccettivo è un atto che: a) si prefigge di rimuovere la dimensione generativa di un atto sessuale e b) vuole togliere ad un atto sessuale potenzialmente generativo la sua dimensione di dono totale di sé (dono che include anche la propria fecondità) e di accoglienza totale dell’altro (accoglienza che include anche la sua fecondità).
Alcuni atti non contraccettivi
Già questa definizione dice (per quanto possa sembrare una contraddizione) che usare un contraccettivo non vuol dire per forza commettere un atto contraccettivo.
Ad esempio, una donna che, in un contesto di guerra, temendo di essere abusata da un soldato, prende la pillola anticoncezionale, con ciò non realizza un atto contraccettivo. Infatti, è vero che tale donna si prefigge di rimuovere la dimensione generativa di un atto sessuale, ma non è l’assunzione della pillola ciò che toglie all’atto sessuale la dimensione di dono e accoglienza, perché tale atto sessuale sarebbe evidentemente una violenza, in cui da subito (e non certo per colpa della pillola) non ci sarebbe donazione né accoglienza (per un approfondimento si veda M. Rhonheimer, Legge naturale e ragion pratica, Armando 2001, pp. 451-452).
Ancora, se una donna prende la pillola per motivi medici, se poi esercita degli atti sessuali è vero che non dona la sua dimensione generativa, ma questa non donazione non è lo scopo che si è prefissa (lo scopo è medico, quale che sia), bensì è un effetto collaterale, che è previsto benissimo ma non è voluto (per la nozione di conseguenza collaterale devo rimandare a G. Samek Lodovici, L’utilità del bene, Vita e Pensiero 2004, capitolo 6; ma almeno un esempio può aiutare: se sono un medico e sottopongo un malato alla chemioterapia, prevedo benissimo le sue vertigini, la spossatezza, ecc., ma non me li prefiggo, bensì miro alla sua guarigione dal tumore; del resto, quasi tutti i medicinali hanno conseguenze collaterali che, a volte, sono inevitabili e previste con certezza, ma non volute). Bisogna però fare attenzione ad un possibile effetto abortivo di un uso prolungato della pillola.
Valutazione morale della contraccezione
Invece, compio un atto contraccettivo quando uso un contraccettivo perché nel rapporto sessuale cerco solo il piacere. In tal caso, sto utilizzando l’altra persona (consenziente o meno), la sto strumentalizzando calpestandone la dignità e dunque compio un atto moralmente ingiusto.
Quando poi un atto contraccettivo viene compiuto perché in un certo momento non ci sono oggettivamente le condizioni per mantenere e crescere i figli, il giudizio negativo si attenua, ma resta.
Intanto, l’uomo che si abitua alla contraccezione rischia piuttosto facilmente, presto o tardi, di trattare la donna come mero oggetto di godimento. Inoltre, se si tiene presente (è una premessa fondamentale) la preziosità e la grandiosità della generazione umana accennata poc’anzi, si chiarisce che sbarazzarsene equivale a rimuovere qualcosa di grandioso, vuol dire escludere sia l’accoglienza della fecondità altrui sia la donazione della fecondità propria. È un po’ come dare ad un amico un libro strappando prima alcune parti centrali: il mio gesto non è di donazione; similmente, se ricevo da un mio amico un libro e ne strappo alcune parti centrali il mio atto non è di accoglienza, bensì di rifiuto.
Similmente, se d’estate incontro un amico che sta per abbracciarmi e mi metto la giacca a vento prima di abbracciarlo, o se mi infilo un guanto prima di stringergli la mano, il mio gesto è di distacco-difesa (ovviamente le presenti metafore non vanno prese alla lettera, ciò che conta è il loro senso).
Differenza coi metodi di monitoraggio della fertilità femminile
Certo, possono sussistere valide e importanti ragioni (psicologiche, di salute, economiche, ecc.) che rendono giusto in un certo momento escludere dagli atti sessuali la generazione di un figlio. In questi casi, è eticamente giusto esercitare atti sessuali infecondi, cioè quelli che avvengono nel periodo del ciclo femminile in cui la donna non è fertile (se gli obsoleti metodi di Ogino e di Knaus erano non di rado poco affidabili, ci sono altri metodi che, come spiega l’articolo di M. Dedè in questo dossier, hanno un tasso di efficacia superiore al 99%; si parla al riguardo di «metodi naturali», ma il termine «natura» ha talmente tante accezioni che bisogna necessariamente chiarirlo, come fa l’articolo appena citato).
Qual è la differenza tra l’atto sessuale esercitato quando la donna non è fertile e l’atto sessuale contraccettivo? Dal punto di vista dei risultati nessuno, perché si tratta in entrambe i casi di atti che hanno come risultato quello di evitare la generazione. Del resto, dal punto di vista degli effetti non c’è differenza se rubo un libro a Tizio o se Tizio me lo regala (in entrambi i casi, l’effetto dei due atti è che io ho un libro e Tizio non ce l’ha più). Ma, dal punto di vista dell’identità degli atti che producono questo effetto ci sono almeno due profonde differenze (come c’è differenza tra rubare il libro e riceverlo in dono).
1) Infatti, come detto, la contraccezione non è una donazione/accoglienza propria e dell’altro. Viceversa, l’atto sessuale esercitato quando la donna non è fertile è un atto di accoglienza/donazione della persona propria e dell’altro, persona che in quel momento è infeconda e non lo è a causa di un intervento umano. Per riutilizzare le metafore di prima, qui il libro che dono/ricevo è integro, non ne ho strappata una parte centrale. Similmente, se incontro una persona e ho già addosso la giacca a vento o il guanto, o se questi fossero definitivamente saldati al mio corpo (pensiamo a chi ha rapporti quando la donna è in menopausa), se fanno parte in quel momento o definitivamente della mia natura, il mio gesto resta un gesto di amicizia. È vero che i giorni infecondi vengono calcolati, ma ciò non è sbagliato, come non c’è niente di male, per avere un libro, ad aspettare che qualcuno me lo regali. Al riguardo, torniamo alla definizione di atto contraccettivo: calcolare i giorni ha sì lo scopo di evitare la generazione, ma non rimuove da un singolo atto sessuale l’aspetto di donazione e di accoglienza della fecondità, perché non è l’uomo che toglie la fecondità a quell’atto sessuale.
Certo, se uso di continuo questo metodo, rimuovo l’apertura alla vita dal matrimonio e allora contraddico uno dei suoi fini: in questo caso sì, è l’uomo che toglie la fecondità e l’uso di questo metodo diventa eticamente sbagliato.
2) Inoltre, compiendo un atto contraccettivo abdico all’impulso sessuale e mi limito ad eliminare la dimensione generativa degli atti sessuali; invece, esercitando la continenza nei giorni in cui la donna è feconda, esercito una profonda padronanza di me stesso.
Ciò detto, se queste considerazioni (necessariamente brevi; qualche altra considerazione nel citato articolo di M. Dedè e nei testi ivi citati in bibliografia) su ciò che distingue l’atto contraccettivo dai metodi che monitorano i giorni fertili non risultassero convincenti, non se ne potrebbe dedurre che l’atto contraccettivo è giusto quando ci sono validi motivi per evitare la generazione: in tal caso, si dovrebbe dire che anche questi metodi sono moralmente ingiusti, pertanto l’unico modo giusto per evitare la generazione sarebbe la castità.
Con tutte queste argomentazioni non pretendo di aver fornito argomentiesaurienti sulla contraccezione (il tema è estremamente delicato e difficile), ma qualche spunto di riflessione per chi vi fa ricorso.
Per saperne di più…
AA.VV., «Humanae vitae»: 20 anni dopo, Ares 1989.
Lino Ciccone, Etica sessuale. Persona, matrimonio, vita verginale, Ares, 2004.
Yves Semen, La sessualità secondo Giovanni Paolo II, San Paolo 2005.
Il coraggio di procreare. Lettera pastorale del vescovo di Imola S.E. Mons. Tommaso Ghirelli per la Quaresima 2012.
Dossier: LA CONTRACCEZIONE. GIUDIZIO ETICO E ALTERNATIVE
IL TIMONE N. 112 – ANNO XIV – Aprile 2012 – pag. 39 – 41
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