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13.12.2024

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Nella storia
31 Gennaio 2014

Nella storia

 

 

Il sacramento della riconciliazione ha un fondamento nella dottrina bimillenaria della Chiesa. Fonti storiche ne attestano la pratica fin dai primi secoli. In Irlanda le origini della confessione auricolare e segreta.

 

Il tribunale di Dio, che si esplica nel sacramento della riconciliazione, è unico nel suo genere. Infatti, quanto più il reo ammette le sue colpe, tanto più viene perdonato e assolto dalla misericordia divina. Tuttavia, il sacramento non ha sempre ricevuto questa consolante presentazione. Quando Lutero, all’inizio del XVI secolo, eliminò cinque sacramenti su sette, compresa la Confessione, dicendo che essi non possedevano una sufficiente fondazione nella Sacra Scrittura, cancellava come ininfluente una pratica ecclesiale vissuta da quindici secoli e abbastanza chiara nelle sue linee generali.
La Chiesa, perciò, nel corso del Concilio di Trento, elaborò una teologia completa e dettagliata anche per il sacramento della Penitenza. In primo luogo il penitente doveva prepararsi mediante un serio esame di coscienza; doveva provare autentico dolore per le colpe commesse; esporle con precisione secondo la loro specie e numero; fare il proposito di non ricadere nello stesso peccato; accettare la pena che gli veniva inflitta dal sacerdote. Alla fine riceveva l’assoluzione delle sue colpe. Nella Confessione, perciò, sono implicati un penitente che abbia chiara consapevolezza delle sue colpe e ben deciso a liberarsene; un sacerdote in qualità di giudice che rappresenta la Chiesa; e Dio che perdona su intercessione della Chiesa. Lutero cancellò questa dottrina lasciando solo il peccatore davanti a Dio, giudice terribile e implacabile che l’ha giustamente condannato, ma che per grazia, ossia per un atto gratuito extragiudiziale, può sospendere una condanna che il peccatore merita in tutta la sua gravità.

Il metodo storico-critico ci ha abituato a sottoporre tutti i documenti del passato a un vaglio severo, accettando solamente le notizie riportate da fonti tra loro indipendenti. Perciò, le testimonianze che possiamo considerare sicure circa questo sacramento cominciano nel IV secolo. Tra le prime fonti ci sono due Sermoni (351 e 352) di sant’Agostino. Da lui veniamo a sapere che il Battesimo era chiamato anche «prima penitenza» perché, ricevuto da adulti, cancella anche le altre colpe del battezzato. Negli stessi sermoni Agostino parla anche della «penitenza quotidiana, nella quale l’esercizio ininterrotto della supplice umiltà accompagna tutta la nostra esistenza». Si tratta dell’atto penitenziale che ancora compare all’inizio della Santa Messa: «Non è forse per questo che ogni giorno ci battiamo il petto?».

Tuttavia nella Chiesa antica è sempre esistita una «seconda penitenza» richiesta per colpe gravi e notorie compiute dopo il Battesimo. Il caso più noto vede come protagonisti sant’Ambrogio e l’imperatore Teodosio. A Tessalonica Teodosio ha ordinato per rappresaglia l’uccisione di alcune migliaia di abitanti. Ambrogio abbandona Milano e si reca a Bologna e poi a Firenze, deciso a rimanervi finché l’im-peratore non avrà compiuto una pubblica penitenza. Dunque, per colpe gravi e notorie esisteva la penitenza pubblica, comprendente un gruppo di scomunicati che chiedevano la riammissione nella Chiesa. Costoro ascoltavano le letture e l’omelia della Messa e poi venivano congedati perché indegni di assistere ai sacri misteri fino al termine della loro pena.

San Paolo, in 1 Cor 5, affronta il caso di un peccatore notorio, allontanato dalla comunità dei credenti di Corinto finché non si fosse ravveduto. Possiamo concludere ricordando l’estremo rigorismo delle Chiese cristiane fino all’inizio del IV secolo. Dopo il Battesimo, c’era solamente una volta la possibilità di venire assolti da una colpa grave. Per questo motivo molti cristiani rimandavano il Battesimo fin quasi al termine della vita. Il problema era come rendere possibile una precoce ricezione del Battesimo e la protrazione della «seconda penitenza» fin verso la fine della vita.
 
In qualche modo la soluzione del problema venne dalla comunità cristiana più remota, dall’Irlanda. Quella comunità, fondata da san Patrizio verso il 432, visse per secoli in isolamento. Poiché non esistevano né città né diocesi, ogni Chiesa locale era formata dai membri di un clan, il cui capo era anche abate del monastero locale, con uno dei monaci che era consacrato vescovo, ma senza potere di giurisdizione che apparteneva al capo clan. Questi monaci praticanti un rude ascetismo migrarono per tutta l’Europa, senza preoccuparsi dei confini delle diocesi e fondarono monasteri famosi come Luxeuil e San Gallo, Bobbio e Nonantola. Ebbene, nei monasteri irlandesi si praticava con frequenza la Confessione auricolare e segreta, intesa anche come possibilità di praticare la direzione spirituale delle ani-me, senza dare alcuna pubblicità alle colpe. Il rude ascetismo era praticato non solo come espiazione delle proprie colpe, ma anche come impetrazione vicaria della grazia di Dio per tutti i peccatori. Dopo il VII secolo la Confessione auricolare e segreta per monaci e fedeli divenne un fatto abituale.

Con lo sviluppo della teologia scolastica nel XIII secolo si sentì il bisogno di spiegare meglio la dottrina del sacramento della Penitenza. Purtroppo, una certa rudezza di costumi e un eccesso di giuridicismo suggerì di evitare che la gravità della colpa fosse espiata da una pena altrettanto grave. Perciò furono frequenti le “indulgenze” ossia la remissione della pena da liquidare con denaro o con la partecipazione alla crociata o, addirittura, con la penitenza di un famigliare o di un servo. Sarà precisamente il ritardo con cui fu completata la teologia delle indulgenze a provocare la ribellione di Lutero. Come si è accennato, al Concilio di Trento fu apprestata una completa giustificazione teologica di questo sacramento e da allora sono stati numerosi i santi che l’han-no amministrato in modo eroico, per esempio Giovanni Maria Vianney o padre Pio, che trascorsero nel confessionale la maggior parte della loro vita.

LA DOTTRINA CRISTIANA. DAL CATECHISMO DI SAN PIO X 

135. Che cos’è il peccato?

Il peccato é un’offesa fatta a Dio disobbedendo alla sua legge.
142. Di quante specie è il peccato attuale?
Il peccato attuale è di due specie: mortale e veniale.

143. Che cos’è il peccato mortale?

Il peccato mortale è una disubbidienza alla legge di Dio in cosa grave, fatta con piena avvertenza e deliberato consenso.

144. Perchè il peccato grave si chiama mortale?

Il peccato grave si chiama mortale, perchè priva l’anima della grazia divina che è la sua vita, le toglie i meriti e la capacità di farsene dei nuovi, e la rende degna di pena o morte eterna nell’inferno.

148. Che cos’è il peccato veniale?

Il peccato veniale è una disubbidienza alla legge di Dio in cosa leggera, o anche in cosa di per sé grave, ma senza tutta l’av-vertenza e il consenso.

149. Perché il peccato non grave si chiama veniale?

Il peccato non grave si chiama veniale, cioè perdonabile, perchè non toglie la grazia, e può aversene il perdono col pentimento e con buone opere, anche senza la confessione sacramentale.

150. Il peccato veniale è dannoso all’anima?

Il peccato veniale è dannoso all’anima, perchè la raffredda nell’amore di Dio, la dispone al peccato mortale, e la rende degna di pene temporanee in questa vita e nell’altra.

Bibliografia

A. Piolanti (a cura di), I Sacramenti, Coletti, 1959.
A. Torresani, Storia della Chiesa, Ares, 2006.

Dossier: La Confessione

IL TIMONE – N.61 – ANNO IX – Marzo 2007 pag. 44-45

 

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