Morta a soli sei anni, Antonietta Meo (per tutti Nennolina) potrebbe diventare santa. Una storia toccante e straordinaria, che mostra a quali vertici può giungere la fede dei piccoli
È il 3 luglio del 1937, una tipica bella giornata estiva a Roma. I venti di guerra ancora non sono così violenti, la gente ha voglia di pensare alle gite, al mare, cammina in abiti leggeri per le strade della capitale, anche se l’angoscia e i problemi di un Paese che vive sotto dittatura non si possono spazzare via con un colpo di ponentino. In una stanza di una clinica si sta spegnendo Antonietta Meo, chiamata da tutti Nennolina. Ha solo sei anni e mezzo e ha cominciato il suo personale Calvario da quasi due anni, per via di un tumore al ginocchio: dolori devastanti, l’amputazione di una gamba, altri dolori, nuova operazione… E in questo giorno d’estate, la fine: Antonietta muore, ma da questo momento comincia la sua esistenza in Dio e nel cuore degli uomini. Perché lei non è stata una bambina qualunque, nonostante quella sua apparenza tenera e amabile di piccina con grandi occhioni neri, una frangetta di capelli scuri e i vestitini con le gale, i grembiuli, i giochi, persino i capricci. Ma lei, da subito, impara che esiste un Amico più intimo, più vicino di chiunque altro, un Amico che l’ha creata e che la ama, nonostante il suo sia un destino terreno brevissimo e doloroso.
Antonietta Meo, infatti, potrebbe diventare la santa più giovane della storia. Proclamata “serva di Dio” – praticamente il primo gradino della scala che porta verso la santità –, la causa di beatificazione è avanzata piuttosto lentamente: la sua età giovanissima, infatti, poteva essere considerata un motivo di difficoltà, nel delicato processo canonico.
Nel dicembre del 2007, però, Papa Benedetto XVI ha decretato il riconoscimento delle sue virtù eroiche. «Spero che la sua causa di beatificazione possa presto concludersi felicemente», aveva dichiarato il Papa, incontrando il 20 dicembre di cinque anni fa i ragazzi dell’Azione Cattolica e il suo discorso è stato per buona parte dedicato proprio ad Antonietta – che era stata iscritta all’Ac –: «In pochi anni», aveva sottolineato il Pontefice, «Nennolina ha raggiunto la vetta della perfezione cristiana che tutti siamo chiamati a scalare, ha percorso velocemente la “superstrada” che conduce a Gesù». Una vera e propria conferma del fatto che, proprio a partire da Papa Ratzinger, esiste la volontà di “accelerare” i tempi del processo di beatificazione della bimba.
La storia di questa bambina è davvero straordinaria. Nasce il 15 dicembre 1930 a Roma, in un palazzo molto vicino alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme: un luogo simbolico e centrale, perché all’ombra della chiesa si svolge la sua breve vita e in una cappella ora riposano le sue spoglie mortali. La famiglia di Nennolina è una normale famiglia della Roma anni Trenta, in cui si partecipa intensamente alla vita parrocchiale e si recita il rosario insieme la sera.
Antonietta è una bambina molto vivace, con un carattere forte, ma sempre serena e tranquilla. Lo si capisce guardando le foto che la ritraggono. «Amava molto cantare, tanto che ancora oggi mi sembra di sentire la sua voce aleggiare da una stanza all’altra di casa…», ricorda la sorella Margherita. Un giorno cade per terra sbattendo il ginocchio su un sasso, nel giardino dell’asilo. Sembra una cosa da nulla, una caduta come tante altre. Ma Nennolina si lamenta, il dolore non si decide a passare. I medici dapprima non comprendono che cosa sia realmente accaduto, poi sarà troppo tardi: la diagnosi è “osteosarcoma”. Si deve amputare la gamba; tutti sono sconvolti, tranne lei. È la primavera del 1936. Nennolina, dopo l’intervento, è costretta a portare una pesante protesi ortopedica, ma continua la sua solita vita di bimba.
Ogni sera ha ormai l’abitudine di scrivere una lettera che poi ripone sotto il crocefisso. Queste lettere verranno poi definite da teologi e studiosi come un autentico “itinerario mistico”. Le indirizza a Maria Vergine: «Cara Madonnina, tu sei tanto buona, prendi il mio cuore e portalo a Gesù» o a Gesù: «Caro Gesù […], Tu che hai sofferto tanto sulla croce, io voglio fare tanti fioretti e voglio restare sempre sul Calvario vicino a Te e alla Tua Mammina». Alla mamma dice: «Quando soffro, io penso subito a Gesù e allora non soffro più! Per non soffrire, è tanto semplice: invece di pensare ai tuoi dolori, pensa a quelli di Gesù, che ha tanto sofferto per noi e vedrai che non sentirai più nulla».
Ci sono altri esempi di quanto Antonietta ha scritto che stupiscono. In una lettera, scritta proprio di suo pugno, il 15 gennaio del 1937, si rivolge alla Santa Trinità, già questo un fatto insolito per i credenti in generale (non sono molti i fedeli che pregano direttamente la Santa Trinità) ed esprime, sia pure in modo ingenuo ma con commovente abbandono e familiarità, il concetto del sacrificio in riparazione dei peccati: «Carissima Santa Trinità, Santa Trinità io vi voglio tanto bene, tanto tanto! Caro Dio Padre! Che bel nome Padre! Padre di divinità infinita, Padre creatore del mondo!». E a Gesù si rivolge dicendo: «Quanto hai sofferto a portare la croce caro Gesù, tu sei morto per salvare tutti e tu vedi come siamo cattivi e io caro Gesù voglio fare tanti piccoli sacrifici per riparare questi peccati che ti vengono fatti». Invoca che siano “liberate” «tante anime dal Purgatorio ». Infine la preghiera allo Spirito Santo, perché illumini «la mia anima e il mio corpo e santificami», alla «cara Madonnina». E la letterina termina con «tanti baci» a tutti i suoi altissimi Destinatari.
Intanto la malattia avanza e si fa sempre più grave. Durante i suoi frequenti ricoveri ospedalieri, Nennolina si fa portare ogni giorno davanti ad una statua della Madonna. A sei anni domanda incessantemente di poter ricevere la Prima Comunione. Il male si fa sempre più violento, ma lei non si lamenta mai e continua a scrivere le sue lettere. Il 3 luglio Antonietta muore, accanto alla madre e al padre, a cui raccomanda di non soffrire troppo, perché comunque per lei si apre una nuova vita e perché tutto il suo dolore è offerto per i peccatori e per chi è lontano da Dio.
Nonostante la riservatezza e l’estrema prudenza della famiglia, della cerchia di amici e parenti, dei sacerdoti della parrocchia, la fama della “straordinarietà” della bimba si diffonde non solo a Roma, ma in tutta Italia e anche all’estero. Si moltiplicano testimonianze di grazie e conversioni ottenute per sua intercessione. Già nel 1940 appaiono sue biografie in diverse lingue, compreso l’armeno. Il processo di beatificazione si è aperto nel 1942, promosso dalla Gioventù Femminile dell’Azione Cattolica e per espresso volere dell’allora presidente nazionale Armida Barelli, e la fase diocesana si è conclusa positivamente nel 1972. Il tre maggio 1999, con una commovente cerimonia, sono stati traslati i suoi resti in una cripta ricavata appositamente in Santa Croce in Gerusalemme e sempre qui è stata creata una fondazione dedicata a promuovere la devozione di Antonietta. È possibile vedere anche gli oggetti della bimba, i vestitini, i giocattoli, le pagine di quaderno coperte con la sua grafia stentata, che compiva i primi passi scrivendo parole d’amore per Gesù, Maria e lo Spirito Santo.
Le perplessità e gli ostacoli sulla strada della canonizzazione – lo si accennava – sono stati e continuano ad essere legati soprattutto alla questione dell’età: è possibile che un bambino così piccolo possa avere coscienza della propria fede e la forza necessaria per esercitarla anche in condizioni estreme? Ma con il riconoscimento delle virtù eroiche di Nennolina queste perplessità potrebbero essere state superate. E occorre ricordare che nel 1981 la Congregazione per le Cause dei Santi ha emesso una dichiarazione nella quale la Chiesa ha riconosciuto esplicitamente e pienamente che i bambini possono realizzare azioni eroiche di fede, speranza e carità e, di conseguenza, possono essere elevati agli onori degli altari. Ma certo molti fedeli, a Roma e nel mondo intero, non hanno dubbi: Nennolina è già santa. Lo testimonia anche l’incessante pellegrinaggio quotidiano alla sua tomba di marmo bianco a Santa Croce.
IL TIMONE N. 109 – ANNO XIV – Gennaio 2012 – pag. 54 – 55
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