Asili cattolici a rischio
Sebbene il costo medio di un alunno iscritto in una struttura non statale si aggiri intorno ai 2.500 euro l’anno, che diventano 7.500 se frequenta quella statale, i contributi pubblici per le scuole materne paritarie ritardano, tanto che alcuni parroci sono costretti ad accendere mutui. L’ha rilevato il vescovo di Treviso, monsignor Andrea Bruno Mazzocato, ripreso dal quotidiano della CEI, Avvenire, il 7 settembre scorso. Con gli stipendi del personale da pagare, ma con le scuole dell’infanzia in tanti casi chiuse durante l’estate, numerose parrocchie si trovano nelle condizioni di impegnare su questo versante le poche risorse a disposizione, magari previste per altri lavori urgenti. «I ritardi a livello statale – insiste il presule – pongono numerose scuole sulla soglia dell’insosteni-bilità e rendono pertanto necessaria un’assunzione di responsabilità più seria da parte delle autorità». Ma se nel Veneto nessuna materna ha chiuso, nel Centro e nel Sud d’Italia addirittura cinquecento. «E questo perché – spiega l’on. Lino Armellin (Lega Nord), presidente regionale della Fism, la Federazione italiana scuole materne – stiamo dando luogo a uno sforzo immane, ormai da qualche anno». Dunque, lo Stato spende 7.454 euro l’anno a bambino solo per il personale, negli asili pubblici; le altre spese devono essere coperte dai Comuni. «Nel caso, invece, delle scuole d’infanzia paritarie, nel nostro caso parrocchiale – puntualizza Armellin – l’allievo costa 2.470 euro l’anno, quindi un terzo rispetto allo Stato. Le famiglie pagano, di media, 1.300 euro a figlio, la Regione 110 euro, i Comuni 308 euro. Il governo interviene con 532,5 euro. Ma per l’anno scolastico 2005-2006 non ha dato ancora un euro. E il contributo dell’anno 2004-2005 è arrivato solo a fine anno scolastico».
Politici cattolici; indifferenza al Papa
Ancora una volta il senatore a vita Giulio Andreotti si distingue per la propria indifferenza verso la Santa Sede. Il 19 settembre, al Senato, ha deciso di non esprimere la propria vicinanza al Papa dopo gli attacchi giunti dal mondo islamico, bocciando la proposta di mettere urgentemente all’ordine del giorno una mozione di solidarietà. Con Andreotti, anche la senatrice Paola Binetti, Luigi Bobba e altri sedicenti cattolici, oltre, ovviamente, a tutto il centrosinistra, scarsamente preoccupati per le violenze e le minacce contro il Santo Padre. Anche il presidente del Consiglio, Romano Prodi, interpellato dai giornalisti ha risposto che «non c’è nessun elemento» che comporti l’ele-vazione del livello di rischio nel nostro Paese dopo le minacce di Al Qaida contro il Pontefice e la Santa Sede. E ha ironizzato anche sulla sicurezza del Papa: «Ci penseranno le sue guardie».
Bangkok, i generali aprono ai ribelli musulmani
Anche nell’Estremo Oriente sta prendendo piede un’offensiva islamica. Il generale golpista musulmano Sondhi Boonyaratkalin, che ha guidato i soldati nella presa di Bangkok del 19 settembre scorso, ha accettato di aprire un dialogo con le forze indipendentiste slamiche che lottano per la creazione i uno Stato musulmano indipendente el sud del Paese. È la prima volta che un membro del governo thai si dice disposto ad incontrare i ribelli sin dall’inizio delle ostilità, nel 2004: il deposto primo ministro Thaksin Shinawatra, infatti, non ha mai accettato o cercato alcun compromesso con i guerriglieri, come riporta l’agenzia Asianews del 6 ottobre. L’ex primo ministro, accusato anche di corruzione ed abuso di potere, è sempre stato detestato nelle tre province a maggioranza islamica dove sono scoppiate le proteste pro-indipendenza nel gennaio del 2004. Secondo molti musulmani, il conflitto non si sarebbe mai potuto risolvere con il vecchio governo. La dura gestione del conflitto meridionale è uno dei motivi che ha convinto l’esercito a prendere il potere: appena tre settimane prima del golpe, il gen. Sondhi aveva cercato di convincere il primo ministro a cercare una strada per il dialogo, ma la proposta era stata respinta. Le tre province islamiche del Paese – Yala, Pattani e Narathiwat – sono state annesse dalla Thailandia un secolo fa: in precedenza formavano un sultanato islamico indipendente. Qui vive la maggior parte dei 5 milioni di musulmani del Paese, che conta 64 milioni di abitanti in prevalenza buddisti.
Il cardinale Zen verso il Vaticano
Il cardinale Joseph Zen-Ze Kiun, vescovo di Hong Kong, potrebbe lasciare la guida della diocesi per ricoprire un incarico in Vaticano dedicandosi a tempo pieno ai rapporti fra Roma e Pechino. Lo ha affermato egli stesso al giornale South China morning post. Zen si è trattenuto a Roma alla fine di settembre per una visita in Vaticano e per incontrare il Papa. «Il Santo Padre – ha detto il porporato – ha affermato che prenderà in considerazione la cosa e che mi darà una risposta la prossima volta». «Il Santo Padre – ha detto inoltre Zen al giornale cinese – ci ha sempre ricordato il suo grande affetto nei confronti dei cattolici di Hong Kong». La posizione del cardinale è particolarmente delicata; infatti, da parte delle autorità di Pechino la sua forte denuncia delle persecuzioni contro i cattolici in Cina – resa più forte dalla porpora cardinalizia – non è vista di buon occhio, e anzi si preferirebbe un suo allontanamento nella prospettiva dell’apertura di nuovi rapporti diplomatici fra Roma e Pechino. Allo stesso tempo, tuttavia, la presenza in Vaticano di Zen con un incarico di rilievo orienterebbe la strategia vaticana in Estremo Oriente secondo l’approccio combattivo del porporato.
I cattolici maroniti: “Hezbollah vada in Iran o in Siria”
Dopo la fine della guerra in Libano, non è ancora giuntala pace per gli abitanti del villaggio cattolico maronita di Rmaich, che raccontano al quotidiano messicano El Universal i loro timori che Hezbollah trasformi il Paese in uno Stato islamico. Sebbene il 40 per cento della popolazione libanese si dichiari cristiano, l’attività dei terroristi sciiti ne condiziona la vita quotidiana, soprattutto al Sud. Perciò, anche se Rmaich, che dista all’incirca due chilometri dal confine israeliano, non è stato distrutto, i disagi della controffensiva israeliana iniziata il 12 luglio e terminata 34 giorni dopo, si sono avvertiti, lasciando alcune famiglie per due mesi senza gas e praticamente senz’acqua. Per evitare che si ripeta ancora, Elias Sumani, un cattolico maronita, spera che gli Hezbollah «vadano in Iran o in Siria, non sono libanesi e stanno distruggendo il nostro Paese». Li conosce, perché circa 30mila sfollati sciiti si sono rifugiati proprio a Rmaich durante il conflitto, dove sono stati accolti cristianamente ricevendo tutta l’assistenza possibile in quelle condizioni precarie, nonostante il villaggio non conti più di 8mila abitanti. Ma, avverte Sumani, «li temiamo. Gli sciiti sono pericolosi. Se vogliono instaurare uno Stato islamico che non lo facciano in Libano utilizzando il pretesto che sono libanesi. Bisogna iniziare a parlare chiaro». La chiarezza non è mancata al cardinale Nasrallah Pierre Sfeir, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, quando ha denunciato che «Hezbollah si è trasformato in uno Stato dentro l’altro con l’appoggio dell’Iran. Questo è inaccettabile dopo la guerra». Intanto, alcuni esponenti politici cristiani, come il generale Michel Aoun con il suo alleato Souleiman Frangie e il leader della Bekaa Elie Skaff, depuliana, tato greco-cattolico, appoggiano il generale Emile Lahhoud, l’attuale presidente della Repubblica, che sostiene la necessità di formare un nuovo governo «più rappresentativo», proprio come chiede Hezbollah. Ma i vescovi maroniti si oppongono: «Il dibattito in corso su un cambiamento del governo in carica e la formazione di un esecutivo di unità nazionale non deve essere motivato dall’obiettivo nascosto che mira ad impedire la creazione di un tribunale internazionale per giudicare la vicenda dell’assassinio dell’ex primo ministro Rafic Hariri e tutti gli omicidi commessi successivamente. Con ciò si servirebbero gli obiettivi di certe parti internazionali e faziose».
Sui passi di Santa Teresa
Venerdì 4 novembre 1887 la piccola Teresa con il papà e la sorella Celina inizia un pellegrinaggio in Italia, diretta a Roma. È sul punto di entrare nel Carmelo, ma le difficoltà sono tante. L’incontro con papa Leone XIII risulterà decisivo nella definizione della sua vocazione. La prima sosta del viaggio è Parigi, a Nostra Signora delle Vittorie: «supplicai Nostra Signora delle Vittorie di allontanare da me tutto ciò che avrebbe potuto offuscare la mia purezza», poi al Sacro Cuore di Montmartre. La prima tappa italiana è Milano, il Duomo e la tomba di S. Carlo. Poi Venezia e Padova alla basilica di S.Antonio, Bologna e Loreto. Il 13 novembre è a Roma, dal Papa. Infine, Napoli, Firenze, Pisa e Genova. Quasi centoventi anni dopo S. Teresa torna in Italia, le sue reliquie ripercorrono quell’antico tragitto. Dalla tarda estate di quest’anno le sue spoglie si trovano nel nostro Paese. Dal 21 al 27 agosto erano a Rimini, poi a Pesaro, a Bari (16 settembre) e a Siracusa (23 settembre). A Roma sostano dal 30 settembre al 10 ottobre. Quindi a Verona e a Napoli (1 novenbre). Saranno a Bologna dal 25 al 28 novembre, a Milano dal 3 al 6 dicembre, a Firenze (9 -12/12), San Marino (13-17/12). Il pellegrinaggio si concluderà di nuovo a Rimini nel periodo di Natale, poi il ritorno a Lisieux. (Claudio Damioli)
IL TIMONE – N. 57 – ANNO VIII – Novembre 2006 – pag. 8 – 9