IL TIMONE n. 117 – anno 2012 –
IL PAPA E IL CONCILIO
Nella Prefazione ai due volumi che raccolgono i suoi scritti relativi al Concilio Vaticano II, Benedetto XVI ripercorre la sua partecipazione come giovane teologo. Un concilio che «Giovanni XXIII aveva convocato senza indicargli problemi concreti o programmi», e fu questa la sua «grandezza e al tempo stesso la difficoltà».
C’era per Benedetto XVI un’aspettativa generale: «La Chiesa, che ancora in epoca barocca aveva, in senso lato, plasmato il mondo, a partire dal XIX secolo era entrata in modo sempre più evidente in un rapporto negativo con l’età moderna, solo allora pienamente iniziata. Le cose dovevano rimanere così? La Chiesa non poteva compiere un passo positivo nei tempi nuovi? Dietro l’espressione vaga “mondo di oggi” vi è la questione del rapporto con l’età moderna. Per chiarirla sarebbe stato necessario definire meglio ciò che era essenziale e costitutivo dell’età moderna. Questo non è riuscito nello “Schema XIII”. Sebbene la costituzione pastorale esprima molte cose importanti per la comprensione del “mondo” e dia rilevanti contributi sulla questione dell’etica cristiana, su questo punto non è riuscita a offrire un chiarimento sostanziale».
Dopo questa nota critica sulla Gaudium et spes, aggiunge: «Inaspettatamente, l’incontro con i grandi temi dell’età moderna non avvenne nella grande costituzione pastorale, bensì in due documenti minori, la cui importanza è emersa solo poco a poco con la ricezione del concilio: la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa e la dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni con le religioni non cristiane».
Del secondo, Benedetto XVI scrive che ha «inaugurato un tema la cui importanza all’epoca non era ancora prevedibile». Ma ne evidenzia anche il limite: «Quale compito esso implichi, quanta fatica occorra ancora compiere per distinguere, chiarire e comprendere, appaiono sempre più evidenti. Nel processo di ricezione attiva è via via emersa anche una debolezza di questo testo di per sé straordinario: esso parla della religione solo in modo positivo e ignora le forme malate e disturbate di religione, che dal punto di vista storico e teologico hanno un’ampia portata; per questo sin dall’inizio la fede cristiana è stata molto critica, sia verso l’interno sia verso l’esterno, nei confronti della religione». (Sandro Magister, blog Settimo cielo, 10/10/2012)
CROAZIA: SUORE ATTENDONO GIUSTIZIA
Il postcomunismo è duro a morire in Croazia. Nell’isola Rab/Arbe, c’è un monastero del XII secolo, dove vivono nove monache benedettine. La foresteria fu requisita dal regime di Tito. Dopo l’indipendenza, negli Anni Novanta la Croazia riprende una vita politica “normale” e lo Stato restituisce alla Chiesa i luoghi di culto sottratti durante gli anni del comunismo. Il primo sindaco dopo la fine del regime si impegna a restituire al monastero la foresteria, dove le monache vorrebbero accogliere le novizie. Ma il successore, Slavko Antevic, ex-comunista e membro del partito socialdemocratico, svende gli appartamenti della foresteria alle famiglie che li avevano indebitamente occupati per la cifra simbolica di mille euro. Le monache scrivono al delegato apostolico mons. Francesco Casari. Chiedono protezione e aiuto, soprattutto per permettere a cinque novizie di cominciare l’iter per diventare monache. Dopo otto anni la causa legale è ancora in corso presso il Tribunale di Fiume. Ma la foresteria non è ancora agibile.
AFRICA: CRESCONO I CRISTIANI
I numeri attestano che il cristianesimo nel continente africano è diventato la prima religione, superando in maniera netta l’islam. È ciò che emerge da una ricerca presentata lo scorso settembre nel corso di un convegno organizzato dal CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) all’università di El Jadida in Marocco. Secondo i dati diffusi al convegno, i cristiani rappresentano oggi il 46,53% della popolazione africana rispetto al 40,46% dei musulmani e all’11,8% degli aderenti alle religioni africane tradizionali. Tra i Paesi africani, 31 hanno una maggioranza cristiana, 21 una maggioranza musulmana, e 6 vedono la presenza maggioritaria delle religioni tradizionali. Nel 1900 i cristiani in Africa erano dieci milioni, nel 2012 hanno raggiunto i cinquecento milioni. Nel 1900 gli africani erano il 2% dei cristiani del mondo, oggi sono il 20%. E fra dieci anni saranno il maggiore blocco continentale all’interno del cristianesimo, superando sia l’Europa che le Americhe. «Questi dati sono ancora troppo poco conosciuti – ha dichiarato il sociologo Massimo Introvigne fondatore del CESNUR – ma hanno un grande significato storico, culturale e politico. Ormai ci sono più cristiani praticanti in Africa che in Europa. (A. Tornielli, Vatican Insider, 23/9/2012)
CINA: PRETI SUBISCONO IL “LAVAGGIO DEL CERVELLO”
Almeno 160 fra sacerdoti e suore della diocesi di Shanghai sono stati sottoposti a un periodo di “lavaggio del cervello”, costretti a partecipare a tre giornate di corsi presso l’Istituto per il socialismo di Shanghai, per 12 ore al giorno di lezioni sul dovere verso la nazione, sui regolamenti religiosi e sui principi di indipendenza della Chiesa cinese. La “rieducazione” si è resa necessaria dopo lo “schiaffo” di mons. Ma Daqin, che il giorno stesso della sua ordinazione episcopale ha dichiarato di non voler più appartenere all’Associazione patriottica (Ap), per meglio rispondere alle sue responsabilità pastorali. Il coraggioso gesto di Ma Daqin rompe una “ambigua tradizione” secondo cui per “servire la nazione” occorre sottomettersi all’Ap, il cui ideale è far crescere una Chiesa nazionale, indipendente dal Papa. Quando mons. Ma Daqin ha dichiarato la sua personale uscita dall’Ap, tutta l’assemblea, meno i governativi, ha applaudito in modo fragoroso. Dal giorno della sua ordinazione, mons. Ma è in pratica agli arresti domiciliari nel seminario di Sheshan, impossibilitato a svolgere il suo lavoro pastorale e si è aperta un’inchiesta contro di lui. Seminaristi e suore che avevano preparato la sua ordinazione, cercando di allontanare i vescovi illeciti dalla celebrazione, hanno subito la vendetta dell’Ap: il seminario non ha ancora aperto i battenti per questo anno accademico e la superiora delle suore di Nostra Signora della Presentazione è stata dimessa. (AsiaNews/Ucan, 5/10/2012)
PAKISTAN. SE QUESTO È L’ISLAM
Il 24 settembre scorso, Shumaila Bibi, operaia in un’azienda tessile, terminato il proprio turno si accingeva a rientrare a casa. Sulla via ha incrociato il 26enne musulmano Muhammad Javed Iqbal, che negli ultimi tempi aveva frequentato la famiglia con l’intenzione di instaurare un legame sentimentale (anche se «io ho rifiutato e l’ho più volte scoraggiato» precisa la giovane ad AsiaNews). Nonostante tutto, con l’aiuto della madre, di due fratelli, alcuni zii e la minaccia di una pistola, Muhammad preleva a forza la ragazza e la rinchiude in un veicolo. Il giorno dopo Muhammad Javed Iqbal, assieme a 25 parenti, ha condotto Shumaila da un avvocato, Muhammad Tanveer Aslam, e l’ha costretta a firmare una dichiarazione di intenti, in base alla quale prendeva in sposo il giovane musulmano e si convertiva all’islam. Per giorni la ragazza ha subito abusi sessuali, vessazioni ed è stata costretta a studiare il Corano e i precetti dell’islam. Durante una lezione, ha chiesto all’insegnante musulmana di poter tornare a casa in anticipo rispetto all’orario previsto. Libera di muoversi, Shumaila ne ha approfittato per fuggire e tornare a casa dei genitori. La mossa ha fatto infuriare lo sposo, che ha denunciato [proprio lui] alla polizia i genitori della ragazza per… “sequestro di persona”. Gli agenti hanno accolto l’istanza perché la giovane si sarebbe convertita e concessa in matrimonio “di sua spontanea volontà”.
Gli attivisti cattolici della Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica pakistana (Ncjp) hanno assunto le difese di Mansha Masih, 68enne padre della ragazza, che rischia ora il carcere per rapimento. Gli avvocati hanno presentato una controdenuncia e ora sarà la giustizia, sebbene in più occasioni succube della volontà della maggioranza islamica a dispetto del diritto e della legalità, a decidere sulla vicenda. Il suo futuro è appeso a un filo e vi è il timore concreto che venga restituita ai suoi aguzzini. Intervistata da AsiaNews, Shumaila conferma di voler «vivere con i miei genitori e praticare la fede cristiana». (AsiaNews, 9/10/2012)
JUSTIN BEBIER. NATO DOPO FALLITO ABORTO
La madre del cantante e attore canadese Justin Bieber ha confessato, durante un talk-show, di aver tentato di abortirlo nei primi mesi di gravidanza e che, quindi, l’idolo di tutte le teenagers americane è nato solo a causa del fallimento del tentato aborto. Pattie Mallette l’ha dichiarato alla presentatrice Kathie Lee Gifford durante una trasmissione in onda sulla NBC, giustificando il suo gesto anche con la fragilità del percorso esistenziale vissuto fin dall’infanzia. La Mallette, infatti, ha subito abusi fin dai quattro anni, che le hanno provocato un forte senso di colpa e, nell’adolescenza, depressione, alcolismo e droga.
Dopo aver tentato il suicidio, a 17 anni è rimasta incinta e, tossicomane e sola al mondo, decise di abortire anche per una pressione ambientale e psicologica subita in tal senso un po’ da tutti quelli che gli erano attorno. Ma nel 1993 il medico che in Canada cercò di eseguirle l’aborto fallì nel suo intervento. Fu in quel momento che decise «semplicemente che non doveva più farlo, non doveva più abortire. Dovevo cercare di fare del mio meglio. E fui decisa a fare tutto quello che c’era da fare per farlo vivere». La madre lo ha quindi allevato da sola in un alloggio a basso reddito, consentendogli comunque di imparare a suonare, fin da giovanissimo, il pianoforte, la batteria, la chitarra e la tromba.
Durante il suo attuale tour negli Stati Uniti, Justin Bieber si è attirato le critiche dei media liberal quando ha espresso la sua contrarietà alla legalizzazione dell’aborto. Il cantante, oggi diciottenne, ha poi deprecato la circostanza per cui i giovani americani, fin dalla più tenera età, sono sottoposti a un “indottrinamento” insegnando loro quando ancora non è il momento che l’aborto è un «diritto». (G. Brienza, Vatican Insider, 29/9/2012)
Nell’omelia della s. Messa celebrata il 4 ottobre a Loreto, Benedetto XVI ha ricordato che «l’Incarnazione del Figlio di Dio ci dice quanto l’uomo sia importante per Dio e Dio per l’uomo» e ha aggiunto che «Senza Dio l’uomo finisce per far prevalere il proprio egoismo sulla solidarietà e sull’amore, le cose materiali sui valori, l’avere sull’essere». Così facendo, però, si finisce per “disumanizzare” l’uomo stesso, come si può vedere da tanti segnali che ci offre la nostra epoca. Urge, allora, «ritornare a Dio perché l’uomo ritorni ad essere uomo». Parole profonde, da meditare. Senza timore, però, perché «l’Incarnazione ci dice che non siamo mai soli, Dio è entrato nella nostra umanità e ci accompagna».
«La crisi che viviamo è anzitutto crisi di fede». Così l’arcivescovo Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, (L’Osservatore Romano, 3/10/2012), secondo il quale tale crisi «si fa più forte per il profondo analfabetismo riguardo i contenuti della fede» che porta inevitabilmente a «un’indifferenza generale per la vita della Chiesa». Come rimediare a una situazione di gravità estrema, visto che in palio c’è la vita eterna? Risponde Fisichella: «Non si tratta, in primo luogo, di ricercare la strategia da porre in essere per recuperare i lontani. Qui si tratta anzitutto di recuperare e la convinzione e la certezza della fede da parte dei credenti». Giusto! Purtroppo la crisi si vede anche da questo: che l’evangelizzazione deve cominciare in casa nostra!
Parole forti (Card. Donald W. Wuerl)
Intervenendo al recente Sinodo dei vescovi voluto da Benedetto XVI per riflettere sulla nuova evangelizzazione, che si è tenuto in Vaticano il mese scorso, il cardinale Donald William Wuerl ha definito un autentico «tsunami» le trasformazioni che nella nostra epoca hanno scardinato «tutto il paesaggio culturale», compreso «il matrimonio, la famiglia, il concetto di bene comune e la distinzione tra bene e male». E ha descritto come «aberrazioni» certe pratiche liturgiche che, nonostante le precise indicazioni dei Sommi Pontefici, ancora si costatano in certi ambienti del mondo cattolico. A tal punto che almeno «due generazioni di cattolici non conoscono le preghiere fondamentali della Chiesa ». «Tsunami» e «aberrazioni». Parole forti. Ma veritiere.
IL TIMONE N. 117 – ANNO XIV – Novembre 2012 – pag. 10 – 11
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