IL TIMONE n. 113 – anno 2012 –
BANGLADESCH: RIDOTTO IN FIN DI VITA EX IMAM CONVERTITO
«Io credo in Cristo, l’ho accolto. È il mio salvatore ». Vincent (nome fittizio per motivi di sicurezza) è un ex imam bengalese che si è fatto cattolico, e per questo è stato perseguitato in modo durissimo dalla sua comunità d’origine. Il suo cammino di conversione è iniziato all’estero, lontano dal Bangladesh. Una Confessione presbiteriana l’ha battezzato. Poi, l’amore per una cattolica, culminato nel matrimonio, l’ha spinto a diventare cattolico. Ma una volta tornati in Bangladesh, Vincent e sua moglie hanno trovato un’accoglienza fatta di violenza e minacce. Alcuni membri della sua comunità lo hanno picchiato e ridotto quasi in fin di vita.
Il Bangladesh considera l’islam religione di Stato, ma la sua Costituzione non riconosce la shari’a e garantisce piena libertà di culto. Questo lo rende uno dei Paesi musulmani più aperti, dove le conversioni avvengono in un clima di generale tolleranza. Eppure, il predominio sociale e culturale della religione islamica è tale da spingere la comunità d’origine a esercitare pressioni di vario genere. A volte, è il notaio che si rifiuta di firmare il documento che attesta l’avvenuta conversione. Altre, come nel caso di questo ex imam, sono violenze fisiche e psicologiche.
Dopo quasi due mesi di ospedale, Vincent esce e torna a casa. Ma proprio quei musulmani che un tempo lo seguivano e lo stimavano come imam ancora non accettano la sua nuova “condizione”. Così, dalle botte si passa ad altre forme di aggressione. Insieme alla moglie, Vincent incontra un forte ostracismo sociale, che lo costringe a cambiare più volte casa. Perde anche il lavoro e si ritrova ad arrabattarsi come può per sopravvivere. Oggi, è un uomo molto tormentato. Ma questo rifiuto totale da parte della sua comunità originaria non l’ha allontanato da Gesù, e continua ad andare in Chiesa con più forza di prima. E ripete: «Credo in Cristo, in Lui sono rinato. È il mio salvatore ». (Maria Gomes, AsiaNews, 3/4/2012).
MARCIA O CAMMINO
Su La Bussola Quotidiana (www.labussolaquotidiana. it) del 12 aprile, Francesco Agnoli informa che un gruppo molto attivo di pro life croati di Zagabria, “Vigilare”, ha preso contatto con gli organizzatori italiani della “Marcia per la Vita”, prevista a Roma il 13 maggio e preceduta da un convegno il giorno prima, per organizzare anche in Croazia un convegno e una marcia negli stessi giorni, il 12 e 13 maggio. Si tratterebbe di una sorta di “marcia gemellata” con quella italiana. Stesso motto “Chi salva una vita, salva il mondo intero”, prevista anche l’adorazione eucaristica in comunione con gli italiani, ma con una piccola, importante differenza: i croati chiameranno l’evento “cammino per la vita”, dal momento che la parola “marcia”, dalle loro parti, ricorda troppo il passato comunista.
TUTTI IN GINOCCHIO
Da quando, in ogni messa, il Papa ha deciso di dare la comunione ai fedeli inginocchiati, questo suo gesto ha raccolto poche lodi e ha trovato rari imitatori. In quasi tutte le chiese del mondo le balaustre sono state eliminate, la comunione la si prende in piedi e non si è incoraggiati a inginocchiarsi neppure durante la consacrazione. La gran parte dei liturgisti squalificano l’inginocchiarsi come un gesto devozionale tardivo, inesistente nell’eucaristia delle origini. Benedetto XVI sa di muoversi controcorrente. Nel libro intervista “Luce del mondo” si è detto consapevole di dare con ciò un “segno forte”: «Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la Presenza reale… Deve essere chiaro questo: è qualcosa di particolare! Qui c’è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio». Nell’omelia della messa del Giovedì Santo, Benedetto XVI è andato alla radice del mettersi in ginocchio, che lungi dall’essere una devozione spuria, è un gesto caratterizzante la preghiera di Gesù e della Chiesa nascente: «Dobbiamo rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli evangelisti ci riferiscono riguardo all’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che egli “cadde faccia a terra” (Mt 26,39; cfr. Mc 14,35), assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio. (…) Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in questo gesto anche la nostra fiducia che egli vinca». (Sandro Magister, www.chiesaespressonline.it 11/4/2012).
IRLANDA: SACERDOTE INGIUSTAMENTE ACCUSATO
Ritirarsi dal ministero sacerdotale in caso di una denuncia «non vuol dire che ciò che viene indagato è vero o falso. Si tratta di un passo di precauzione necessaria poiché la sicurezza e il benessere dei bambini devono essere la preoccupazione preminente quando un’accusa è fatta. Il ritirarsi comporta un sacrificio personale profondo da parte di una persona innocente». Lo afferma mons. Dermot Clifford, arcivescovo di Cashel ed Emly, nel comunicare ai fedeli il ritorno al ministero sacerdotale di don Tadgh Furlong che per 36 anni ha servito la parrocchia di Cappawhite. Nel maggio 2010, il sacerdote ha accettato di farsi temporaneamente da parte dall’esercizio del suo ministero per consentire l’indagine su una denuncia a suo carico. È stato così possibile fare un esame approfondito del caso. I risultati dell’indagine sono stati esaminati dal Consiglio consultivo istituito dal Consiglio nazionale per la tutela dei bambini nella Chiesa cattolica confermando che “la denuncia non era motivata”. L’arcivescovo scrive: «Don Tadgh ha sopportato la prolungata prova con eccezionale coraggio e onore». Nel ringraziare il sacerdote e quanti lo hanno sostenuto, l’arcivescovo assicura: «L’arcidiocesi di Cashel ed Emly continuerà a sottolineare e incoraggiare una cultura di vigilanza in materia di salvaguardia. Spetta a tutti noi, come individui, come comunità parrocchiali e come società, garantire che le nostre pratiche di protezione dei bambini e dei giovani siano ai più elevati standard». (SIR; Servizio Informazione Religiosa, 2/4/2012).
NORD COREA: GULAG COMUNISTI
Le Nazioni Unite aiutino la Corea del Nord a chiudere per sempre il vasto sistema di gulag esistente nel Paese: è quanto chiedono, in una petizione presentata al Consiglio Onu per i Diritti umani, oltre 40 Organizzazioni non governative, alcune di ispirazione cristiana, riunite nella “Coalizione internazionale per fermare i crimini contro l’umanità in Corea del Nord”. Come riferito a Fides dalla Ong “Christian Solidarity Worldwide”, che fa parte della Coalizione, la Corea del Nord tiene prigioniere nei “campi di rieducazione” oltre 200.000 persone, ritenute “dissidenti o oppositori”. Fra loro anziani e bambini, e oltre 40mila cristiani, detenuti solo a causa della loro fede. «La vita nei gulag nordcoreani è uno dei disastri più gravi dei diritti umani nel mondo di oggi», spiega Jared Genser, della Coalizione. I prigionieri, bambini compresi, sono sottoposti ad un lavoro massacrante, sette giorni su sette, per dodici o più ore al giorno. Il 25% della popolazione carceraria muore ogni anno a causa delle terribili condizioni di lavoro. Si stima che negli ultimi decenni più di 400.000 prigionieri siano morti.
Ha Tae-keung, attivista di “Open North Korea”, una delle Ong della Coalizione, rimarca: «I detenuti muoiono di fame: hanno solo 20 chicchi di grano per ogni razione di cibo. Polmonite e tubercolosi dilagano, ma non vi sono cure mediche per i prigionieri. Sono costretti a lavorare ammalati e, se non sono più in grado di lavorare, vengono inviati nei sanatori ad aspettare la morte. Sono frequenti anche torture, stupri e uccisioni extragiudiziarie». La petizione chiede alle Nazioni Unite di svolgere un’indagine e una relazione sul sistema dei gulag in Nord Corea, a prendere nota dei crimini contro l’umanità e avviare, in collaborazione con il governo nordcoreano, un processo per fornire adeguati risarcimenti alle vittime e alle loro famiglie. (Agenzia Fides, 3/4/2012).
PAKISTAN: TESTI SCOLASTICI E FANATISMO
No al fanatismo nelle scuole, no all’imposizione degli studi islamici agli studenti non musulmani: è l’appello lanciato dalla Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza Episcopale del Pakstan. In un messaggio inviato all’Agenzia Fides, il Direttore della Commissione, il laico cattolico Peter Jacob, nota che, per garantire realmente il diritto all’istruzione sancito nella Costituzione del Pakistan, il Paese deve estirpare odio, fanatismo, pregiudizi dai curricula di istruzione e garantire il rispetto dei diritti umani nelle politiche educative.
La Commissione ricorda che l’articolo 20 della Costituzione garantisce libertà di religione e l’articolo 22 rimarca che «nessuno è tenuto a ricevere istruzione religiosa di un credo diverso dal suo». Questo articolo, afferma Jacob, viene ignorato nel caso di centinaia di migliaia di studenti non musulmani che frequentano le scuole della provincia del Punjab: gli studi islamici sono materia obbligatoria in scuole e università e gli studenti non musulmani sono costretti a seguirli per paura di essere discriminati o per non incontrare altre difficoltà o ostacoli nello studio. Inoltre, «le religioni diverse dall’islam sono trattate con disprezzo e pregiudizi»: organizzazioni della società civile hanno censito lezioni e passi di testi scolastici che riflettono l’odio religioso e distorcono la storia. La Commissione afferma che l’istruzione pubblica deve essere separata dall’educazione religiosa, nel rispetto della Costituzione. Si chiede al governo «la sospensione di lezioni e pratiche che contraddicono i diritti umani universali, che sono discriminatorie e diffamatorie verso le minoranze religiose», e di non imporre gli studi islamici ai non musulmani, proponendo altre opzioni a studenti cristiani, indù e sikh. (Agenzia Fides 3/4/2012).
Nella splendida omelia della Messa celebrata il Giovedì santo, Benedetto XVI ha ricordato che lo zelo per le anime è oggi una «espressione fuori moda», aggiungendo: «In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita». Non è difficile immaginare a quali ambienti – evidentemente del mondo cattolico – il Papa si riferisse: chi oggi ci parla ancora della salvezza dell’anima? Eppure, ha concluso Benedetto XVI, i sacerdoti devono occuparsi non solo dei bisogni materiali, ma «delle necessità dell’anima dell’uomo». Per essere chiari: «della salvezza degli uomini in corpo e anima». Verità elementare e fondamentale. Eppure, la sentiamo proclamare così poche volte…
Su La Bussola Quotidiana dell’11 aprile (www.labussolaquotidiana.it ), Marco Respinti riflette sull’attuale crisi che colpisce il mondo occidentale che «ha fallito». Come uscirne? Si deve riprendere la via indicata da papa Benedetto XVI, il quale consiglia di ripartire dalla questione morale e antropologica. «Che di suo – spiega Respinti – non risana l’economia, ma che imposta correttamente come nient’altro può fare il problema vero, una cosa che, in questo mondo di ciechi guidati da orbi, è già una manna». E cioè: «L’ideale di una società autenticamente a misura di uomo, e possibilmente secondo il piano di Dio, per utilizzare parole famose e felici del beato Giovanni Paolo II». Ha perfettamente ragione, ma lo capiranno mai i signori che stanno distruggendo la nostra civiltà?
Banda di briganti (Roberto De Mattei)
Nell’editoriale di Radici Cristiane (marzo 2012), Roberto de Mattei ricorda una frase di s. Agostino. «Togli il diritto e allora cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?» per commentare certe iniziative dell’Unione Europea e delle principali istituzioni internazionali. Le quali intendono sostituire i diritti dell’uomo, radicati su di una legge oggettiva e immutabile, con nuovi pseudo “diritti” soggettivi, dall’aborto al “matrimonio” omosessuale. Chi non si adegua – come l’Ungheria – viene colpito con lo strangolamento economico, le minacce giuridiche, le violente campagne di stampa denigratoria sul piano internazionale e da manifestazioni di protesta. Lecito chiedersi «che cosa distingua l’Unione Europea da una grossa banda di briganti», conclude – con ragione – de Mattei.
IL TIMONE N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 10 – 11
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