Primo messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace.
Bisogna rispettare l’ordine impresso da Dio nella società umana.
Solo così si avrà pace. Ai cristiani il compito di testimoniare il comandamento dell’amore.
«Nella verità, la pace»: è questo il titolo del primo messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace. Un testo che fin dal titolo vuole mettere in luce come la «pace non possa essere ridotta a semplice assenza di conflitti armati», ma vada compresa «come il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore», un ordine «che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più perfetta».
Papa Ratzinger ricorda innanzitutto il magistero dei Pontefici che l’hanno preceduto e conferma «la ferma volontà della Santa Sede di continuare a servire la causa della pace». Spiega inoltre che proprio il nome scelto il giorno dell’elezione, avvenuta lo scorso 19 aprile, «sta ad indicare il mio convinto impegno a favore della pace». Papa Ratzinger ha infatti inteso richiamarsi sia al grande santo «ispiratore di una civilizzazione pacificatrice» nell’intero continente europeo, sia a Benedetto XV, che condannò la Grande Guerra definendola un’«inutile strage» e si adoperò «perché da tutti venissero riconosciute le superiori ragioni della pace».
Benedetto XVI scrive che la pace, «quale risultato di un ordine disegnato e voluto dall’amore di Dio», possiede una «sua intrinseca e invincibile verità». Così delineata, la pace «si configura come dono celeste e grazia divina» e richiede l’esercizio della responsabilità a conformare «la storia umana all’ordine divino». «Quando viene a mancare l’adesione all’ordine trascendente delle cose, come pure il rispetto di quella “grammatica” del dialogo che è la legge morale universale, scritta nel cuore dell’uomo, – afferma il Papa – quando viene ostacolato e impedito lo sviluppo integrale della persona e la tutela dei suoi diritti fondamentali, quando tanti popoli sono costretti a subire ingiustizie e disuguaglianze intollerabili, come si può sperare nella realizzazione del bene della pace?».
Papa Ratzinger spiega che è la menzogna a impedire la realizzazione della pace. La menzogna pronunciata «all’inizio della storia dall’essere dalla lingua biforcuta». «Alla menzogna – scrive Benedetto XVI – è legato il dramma del peccato con le sue conseguenze perverse, che hanno causato e continuano a causare effetti devastanti nella vita degli individui e delle nazioni. Basti pensare a quanto è successo nel secolo scorso – ricorda il Papa citando nazismo e comunismo – quando aberranti sistemi ideologici e politici hanno mistificato in modo programmato la verità ed hanno condotto allo sfruttamento ed alla soppressione di un numero impressionante
di uomini e di donne, sterminando addirittura intere famiglie e comunità. Come non restare seriamente preoccupati, dopo tali esperienze, di fronte alle menzogne del nostro tempo, che fanno da cornice a minacciosi scenari di morte in non poche regioni del mondo?». L’autentica ricerca della pace, afferma Benedetto XVI, «deve partire dalla consapevolezza che il problema della verità e della menzogna riguarda ogni uomo e ogni donna, e risulta essere decisivo per un futuro pacifico del nostro pianeta».
Ratzinger ricorda inoltre che «tutti gli uomini appartengono ad un’unica e medesima famiglia» e che «l’esaltazione esasperata della proprie differenze contrasta con questa verità di fondo», invitando a «recuperare la consapevolezza di essere accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente, per poter valorizzare al meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza contrapporsi ma coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture».
Per quanto riguarda i conflitti già cominciati, anche in quel caso, secondo Benedetto XVI, è necessario che la «verità della pace» faccia riverberare la sua luce: il Papa ricorda quanto affermato dal Concilio, che sottolineava come non diventa «tutto lecito tra le parti in conflitto quando la guerra è ormai disgraziatamente scoppiata» e cita il diritto internazionale umanitario «per limitare al massimo, soprattutto per le popolazioni civili, le conseguenze devastanti della guerra». Ratzinger esprime quindi un pensiero e un apprezzamento per le organizzazioni internazionali e per quanti operano per l’applicazione del diritto internazionale umanitario.
«Come potrei qui dimenticare – scrive – i tanti soldati impegnati in delicate operazioni di composizione dei conflitti e di ripristino delle condizioni necessarie alla realizzazione della pace? Anche ad essi desidero ricordare le parole del Concilio Vaticano II: “Coloro che, al servizio della patria, sono reclutati nell’esercito, si considerino anch’essi ministri della sicurezza e della libertà dei popoli. Se adempiono rettamente a questo dovere, concorrono anch’essi veramente a stabilire la pace”».
Due paragrafi del messaggio sono dedicati al terrorismo, che «con le sue minacce e i suoi atti criminali, è in grado di tenere il mondo in stato di ansia e insicurezza». Benedetto XVI cita le condanne dei suoi predecessori contro «la tremenda responsabilità dei terroristi » e «l’insensatezza dei loro disegni di morte». All’origine di questi atti c’è «un nichilismo tragico e sconvolgente», ma anche «il fanatismo religioso, oggi spesso denominato fondamentalismo», che pretende di imporre con la violenza «la propria convinzione circa la verità». Papa Ratzinger scrive che i nichilisti, i quali «negano qualsiasi verità», e i fondamentalisti, «si trovano accomunati da un pericoloso disprezzo per l’uomo e la sua vita e, in ultima analisi, per Dio stesso». Significativa è pure un’altra sottolineatura: il Papa, nell’analizzare le cause del terrorismo, auspica che «oltre alle ragioni di carattere politico e sociale, si tengano presenti anche le più profonde motivazioni culturali, religiose e ideologiche». Come a dire che non bastano povertà ed emarginazione a spiegare la
barbarie dei terroristi.
Nel panorama internazionale, Benedetto XVI registra «alcuni promettenti segnali»: il calo numerico dei conflitti armati e i passi verso la pace «ancora assai timidi» ma già significativi, in particolare per «le popolazioni martoriate della Palestina, la terra di Gesù» e per gli abitanti di talune regioni dell’Africa e dell’Asia. Un accenno, quello alla Terrasanta, che può essere letto come un riconoscimento dei tentativi messi in atto dal governo di Ariel Sharon.
Accanto ai segnali positivi, il Papa afferma che non si possono dimenticare i «sanguinosi conflitti fratricidi» e le «guerra devastanti che seminano in varie zone della terra lacrime e morte». Mette in guardia dai conflitti che covano «sotto la cenere» e fa un esempio che sembra riferito alle più recenti dichiarazioni dei governanti dell’Iran: «Le autorità che, invece di porre in atto quanto è in loro potere per promuovere efficacemente la pace, fomentano nei cittadini sentimenti di ostilità verso altre nazioni, si caricano di una gravissima responsabilità», mettono a repentaglio «i delicati equilibri raggiunti a prezzo di faticosi negoziati» e rendono «più insicuro e nebuloso il futuro dell’umanità».
Ma la vera novità «politica» del messaggio è l’appello per il disarmo nucleare, contenuto nel paragrafo 13. Un appello che Ratzinger rivolge a tutti. Il Papa scrive che «in una guerra nucleare non vi sarebbero dei vincitori ma solo delle vittime». E chiede, in nome della «verità della pace», che sia «i governi che in modo dichiarato o occulto possiedono armi nucleari, sia quelli che intendono procurarsele » invertano insieme la rotta «con scelte chiare e ferme» orientandosi verso «un progressivo e concordato disarmo nucleare», invitando a impiegare le risorse risparmiate «in progetti di sviluppo» a vantaggio di tutti e specialmente «dei più poveri». Registra quindi «con rammarico i dati di un aumento preoccupante delle spese militari».
Infine, il Papa, dopo aver riaffermato la sua fiducia nell’Onu, ne auspica «un rinnovamento istituzionale e operativo che la metta in grado di rispondere alle mutate esigenze» del mondo globalizzato. Al termine del messaggio, Benedetto XVI si rivolge ai cristiani, invitandoli a farsi «attenti e disponibili discepoli del Signore». «Impariamo – conclude – a fondare la pace sulla verità di un’esperienza quotidiana ispirata al comandamento dell’amore».
IL TIMONE – N.49 – ANNO VIII – Gennaio 2006 – pag. 10-11