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14.12.2024

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Nobiltà del ‘mestiere’ di storico. Ricordo di Marco Tangheroni
31 Gennaio 2014

Nobiltà del ‘mestiere’ di storico. Ricordo di Marco Tangheroni

 

 

 

Insigne maestro e autentico cristiano. Una vita segnata dalla passione per la storia e dalla presenza del dolore, sopportato eroicamente. Un esempio per quei giovani che vogliono formarsi per la buona battaglia culturale.
L’Università Europea di Roma offre una possibilità importante.

 

 

Nel febbraio di tre anni fa si spegneva, a nemmeno sessant’anni, un caro amico, docente e storico di grande prestigio, Marco Tangheroni.
Era un uomo che aveva fatto della storia la passione e il perno della sua esistenza. Nato a Pisa, si era laureato in quella grande fucina di intelletti che è stata ed è tuttora l’ateneo pisano. Amava la letteratura, l’arte, non lesinava scorribande nella filosofia e nelle questioni poste dal pensiero scientifico, ma ave-va finito per coagulare e incanalare questa sua multiforme curiosità per il reale nella storia, in particolare in quella del Medioevo, che Pisa illustrò in modo insigne. Non si trattava di una passione smodata e fine a sé stessa, come tante passioni, anche nobili, che oggi dominano il cuore dell’uomo moderno e sono frutto ed emblema di quella “perdita del centro” che ha subito la nostra cultura.
In lui l’amore era per quanto attraverso la storia si rivelava di bello, di vero, di retto, cioè per quella civiltà italiana dei secoli post-romani, intrisa di cristianesimo e ricca di splendori artistici e civili, che Pisa aveva irradiato in tutto il Mediterraneo occidentale.
La sua propensione per la storia si orientò fin da subito verso la ricerca e Marco imboccò la via della docenza e della carriera accademica, che percorse, con livelli di responsabilità sempre più ampi, a Pisa e, per un breve periodo, anche a Sassari. Ma l’amore per le bellezze che l’arte di Clio gli spalancava davanti spingeva Tangheroni, oltre che all’insegnamento, anche verso altre forme di impegno, di cui la storia era la portante.
Di storia Marco parlava non solo in università ma sempre e con tanti, con tutti, uti singulus – il suo tratto dolce e umano lo portava a creare più amicizie che inimicizie, anche se queste non gli mancarono –, ma anche, spesso, volentieri e con gioia, all’interno della rete di amicizie che un’“agenzia” di apostolato culturale come Alleanza Cattolica, in cui Marco militava, gli offriva.
Il suo enorme bagaglio di erudizione e la sua acuta intelligenza della storia si posero così al servizio di una intensa attività, fatta di conferenze, di saggi e articoli, di relazioni a convegni, di interventi a ritiri formativi: in essi forse doveva rinunciare alla “punta di fioretto” di cui era capace, ma la consapevolezza di propiziare il ricupero della prospettiva cristiana in molti lo ripagava di questa “riduzione”. Senza dimenticare l’amore per la famiglia e per il suo habitat umano e civile, la storia era per lui il “pane quotidiano”.
Tutto ciò tuttavia sarebbe ancora sotto il segno dell’ordinarietà, anche se di una ordinarietà elevata. Per capire meglio chi fu Marco è d’obbligo aggiungere che a soli 28 anni fu assalito da una grave e inarrestabile malattia renale che in breve tempo lo costrinse a sempre più frequenti emodialisi, logorò in maniera subdola e progressiva il suo fisico, portandolo più volte in punto di morte e infliggendogli una moltitudine di sofferenze, di ogni tipo e intensità, accentuate dai ripetuti interventi chirurgici subiti per continuare a vivere.
Ebbene, nonostante questo drammatico e invasivo background della sua quotidianità, il suo amore per la disciplina che aveva scelto non conobbe flessioni, anche se ta-lora la sua applicazione dovette farsi più tenue e rada. A prezzo di dolori indicibili – di cui parlava con cristiana rassegnazione –, leggeva di continuo e si sforzava di mantenere un’attività esterna assidua, in cui arrivò non di rado a mettere a repentaglio la sua precaria salute. Credo che definire “eroico” questo suo sforzo non sia temerarietà, ma solo doveroso omaggio, da storico, alla realtà.

Perché mi sono dilungato su Marco Tangheroni? Senz’altro perché merita di essere conosciuto non solo dai colleghi e dagli amici. Ma anche perché mi offre la possibilità di introdurre qualche breve nota sul rapporto fra storia – il “mestiere di storico”, per dirla con Marc Bloch – e vita. Per Marco, con le sue doti, la via alla storia fu immediatamente quella accademica e seppe percorrerla magnificamente. Ma non siamo tutti uguali e sarebbe fuorviante associare un’opzione di vita al successo accademico e alla fama. La storia, in realtà, come disciplina, può interessare a vario titolo molti.
Essa serve ad aprire una finestra sul passato per meglio comprendere e vivere il presente. Sul nostro passato di individui singoli, ma anche sul passato della collettività in cui viviamo immersi per mettere a fuoco la nostra identità: familiare, di città, di popolo, di nazione. E il ricupero di questa nozione si rivela essenziale soprattutto oggi, quando tutta una tradizione si è interrotta, quando il profilo culturale del nostro popolo si è sfuocato e appiattito, quando si entra in contatto con individui nuovi, dal portato culturale assai diverso dal nostro.
Si tratta di un’operazione di coltivazione della memoria che si esprime in diverse forme e prevede più di un ruolo. La storia si produce nella ricerca; si insegna nelle scuole; vi è chi la divulga attraverso i mass media; c’è chi vi attinge per fare politica.

La storia – lo stesso Tangheroni lo scriveva – è una disciplina a cavallo fra rigore scientifico e sana artigianalità. Però, vi si arriva comunque attraverso una formazione, in primo luogo nelle università e nelle scuole specializzate. Se oggi l’offerta in questo campo è amplissima, non sempre alla quantità corrisponde la qualità. In molti atenei imperversa ancora la cultura ideologica di matrice storicistica; altrove la post-modernità “debole” ha fatto dubitare della capacità della storia di conoscere il reale. Si tende sempre più a preparare persone tecnicamente ben attrezzate, ma spesso prive di una visione d’insieme. Soprattutto vi è difficoltà a insegnare la storia integrandola in una visione culturale più ampia e a vederne il senso anche all’interno della prospettiva religiosa.

Vi sono tuttavia eccezioni. Un luogo di formazione professionistica in controcorrente, dove si ha fiducia – e anche speranza – nella storia, è l’Università Europea di Roma, ateneo cattolico dove da due anni è attivo un corso di laurea in Scienze Storiche. L’insegnamento che vi si riceve, oltre a essere esente dalle carenze cui ho accennato, viene calato in una dimensione trasversale a tutti i percorsi di studio, di “formazione integrale” del credente, dell’uomo, del cittadino, dello studioso e in un contesto di cultura intellettuale non succube dei “complessi” della modernità. Scegliere la storia come professione non significa dunque coltivare solo un hobby, ma acquisire un equipaggiamento teorico e pratico che permette di contribuire in prima linea al bene comune delle nuove generazioni e del paese, dando altresì uno scopo ben concreto alla propria vita professionale e individuale.
Una scelta, la storia, e una realtà nuova dove studiarla, l’Università Europea, che l’amico e maestro, se ne aves-se avuto il tempo, avrebbe di certo consigliato caldamente a chi gli avesse chiesto che cosa fare nella vita.

(Per informazioni: http://www.unier.it/articulos/articulo.phtml?se=34&id=1470)

IL TIMONE – N.62 – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 50-51

 

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