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11.12.2024

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Non c’è pace senza perdono
31 Gennaio 2014

Non c’è pace senza perdono

Una sintetica mappa dei nemici della famiglia, che hanno il sostegno del potere dominante, che vuole un uomo senza rapporti solidi, indifeso e manipolabile.
È un messaggio importante, del quale i mezzi di comunicazione hanno parlato poco perché nel corso della conferenza stampa di presentazione, avvenuta quarantott’ore dopo la cattura di Saddam Hussein, sono state alcune dichiarazioni del cardinale Renato Raffaele Martino su questo argomento ad attirare l’attenzione, facendo passare in secondo piano i contenuti del testo papale. Come ha fatto ogni anno, proseguendo la tradizione iniziata da Paolo VI, Giovanni Paolo II ha voluto celebrare la Giornata mondiale della pace, il 1° gennaio 2004, dedicandole un messaggio pubblicato tre settimane prima.
Il titolo di quest’anno è «Un impegno sempre attuale: educare alla pace», che insiste sull’impegno educativo della Chiesa. Papa Wojtyla si rivolge ai «capi delle nazioni» che hanno «il dovere di promuovere la pace», ai giuristi «impegnati a tracciare cammini di pacifica intesa» e a predisporre «convenzioni e trattati che rafforzano la legalità internazionale», agli «educatori della gioventù». Ma il Pontefice aggiunge: «Anche a voi mi rivolgo, uomini e donne che siete tentati di ricorrere all’inaccettabile strumento del terrorismo, compromettendo così alla radice la causa per la quale combattete! Ascoltate tutti l’umile appello del successore di Pietro che grida: oggi ancora, all’inizio del nuovo anno 2004, la pace resta possibile. E se possibile, la pace è doverosa».
Il Papa ritiene urgente oggi più che mai, «di fronte alle tragedie che continuano ad affliggere l’umanità», non cedere «al fatalismo, quasi che la pace sia un ideale irraggiungibile». E proprio per esercitare questo compito educativo della Chiesa, Giovanni Paolo II indica nel rispetto dell’ordine internazionale e nell’osservazione degli impegni assunti dalle legittime autorità uno dei fulcri per la costruzione della pace. Il messaggio contiene un appello contro l’affermazione della «legge del più forte», un no deciso all’uso delle armi al di fuori della legalità internazionale sancita dall’Onu, un invito pressante a combattere il terrorismo in modo intelligente, cercando anche di rimuoverne le cause. Infine, un richiamo alla conversione, alla giustizia e soprattutto all’amore e al perdono, che solo può permettere di ricostruire i rapporti di convivenza.
Giovanni Paolo II ricorda che gli accordi «liberamente sottoscritti» dagli Stati «devono essere onorati» e che la violazione di questo presupposto «non può che avviare una situazione di illegalità» con «durevoli ripercussioni negative». Questa regola va richiamata – spiega il Papa – «soprattutto nei momenti in cui si avverte la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto». Anche se non esplicitato, il richiamo alla guerra in Irak, che il Papa ha condannato in modo chiaro, ripetuto e inequivocabile, appare qui evidentissimo. Giovanni Paolo II ribadisce il «divieto del ricorso alla forza» per la soluzione delle crisi internazionali e ricorda che la Carta dell’Onu prevede al riguardo «due sole eccezioni», subito dopo menzionate nel messaggio: «il diritto alla legittima difesa, da esercitarsi secondo le modalità previste e nell’ambito delle Nazioni Unite: di conseguenza, anche dentro i tradizionali limiti della necessità e della proporzionalità». La seconda eccezione è rappresentata dal «sistema di sicurezza collettiva, che assegna al Consiglio di Sicurezza la competenza e la responsabilità in materia di mantenimento della pace, con potere di decisione e ampia discrezionalità».
Questo sistema che dopo la fine dell’ultimo tremendo conflitto mondiale avrebbe dovuto preservare i popoli dalla guerra, fa notare il Pontefice, non è riuscito nel suo scopo a causa della divisione del mondo in due blocchi, della guerra fredda, dei conflitti regionali e ora a causa del terrorismo. Pur riconoscendo i limiti dell’Onu e le «inadempienze dei suoi membri», il Papa afferma che esso «ha contribuito allo sviluppo dei popoli e alla pace» e che i suoi ideali – diffusi anche grazie ai concreti gesti di solidarietà e di pace «delle tante persone che operano anche nelle organizzazioni non governative e nei movimenti per i diritti dell’uomo» – offrono «un significativo stimolo per una riforma che metta le Nazioni Unite in grado di funzionare efficacemente». Giovanni Paolo II rende conto che l’Onu ha bisogno di una riforma per essere in grado di rispondere alle sfide contemporanee, ma lo ritiene comunque il migliore antidoto all’affermazione della «legge del più forte», in un modo che da bipolare qual’era fino al 1990 è diventato oggi unipolare, con un un’unica grande superpotenza planetaria rappresentata dall’America.
Molto importante, nel messaggio papale, è poi la parte dedicata al terrorismo. Di fronte all’insorgere di questo fenomeno che produce «massacri efferati», Giovanni Paolo II spiega che la lotta ad esso «non può esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive» ma che «il pur necessario ricorso alla forza» va accompagnato da una «lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici». Sul piano «politico e pedagogico», il Papa chiede di rimuovere «le cause che stanno all’origine di situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono le spinte agli atti più disperati e sanguinosi» e di insistere soprattutto «su un’educazione ispirata al rispetto per la vita umana». Nel reprimere il terrorismo, «i governi democratici ben sanno che l’uso della forza contro i terroristi non può giustificare la rinuncia ai principi di uno Stato di diritto». Il diritto internazionale scrive Wojtyla deve dunque «evitare che prevalga la legge del più forte» e prevedere «appropriate sanzioni per i trasgressori, nonché adeguate riparazioni per le vittime». «Ciò deve valere – spiega in modo chiaro il Papa – anche per quei governanti i quali violano impunemente la dignità e i diritti dell’uomo, celandosi dietro il pretesto inaccettabile che si tratterebbe di questioni interne al loro Stato». Un riferimento alle tante situazioni di grave ingiustizia in tanti Paesi del mondo.
In conclusione, il messaggio decisivo: Giovanni Paolo II ribadisce che «da sola la giustizia non basta» ma deve «trovare il suo completamento nella carità». C’è «la necessità del perdono per risolvere i problemi sia dei singoli che dei popoli. Non c’è pace senza perdono!». Anche «la crisi in Palestina e Medio Oriente», conclude il Papa non risolverà se non sarà superata «la logica della semplice giustizia per aprirsi anche a quella del perdono».
RICORDA

«I vari aspetti del prisma della pace sono stati ormai abbondantemente illustrati. Ora non rimane che operare, affinché l’ideale della pacifica convivenza, con le sue precise esigenze, entri nella coscienza degli individui e dei popoli. Noi cristiani, l’impegno di educare noi stessi e gli altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra religione. Per il cristiano, infatti, proclamare la pace è annunziare Cristo che è “la nostra pace” (Ef 2,14), è annunziare il suo Vangelo, che è “Vangelo della pace” (Ef 6,15), è chiamare tutti alla beatitudine di essere “artefici di pace” (cfr Mt 5,9)».
(Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2004)

IL TIMONE – N. 30 – ANNO VI – Febbraio 2004 – pag. 48 – 49

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