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12.12.2024

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Non nominare il nome di Dio invano
31 Gennaio 2014

Non nominare il nome di Dio invano

 

 

 

Qual è il nome di Dio? Dio si è rivelato all’umanità progressivamente e sotto diversi nomi, ma “la rivelazione del Nome divino fatta a Mosè nella teofania del roveto ardente, alle soglie dell’Esodo e dell’Alleanza del Sinai, si è mostrata come la rivelazione fondamentale per l’Antica e la Nuova Alleanza” (CCC, n. 204). Dio ha un nome, non è una forza anonima. Il nome esprime l’essenza, l’identità della persona, il senso della sua vita. Svelare il proprio nome è farsi conoscere agli altri, è consegnare se stesso rendendosi in qualche modo accessibile, disponibile ad essere conosciuto più intimamente e di essere chiamato personalmente.
Rivelando il suo nome misterioso di YHWH, “Io sono colui che E'”, oppure “Io sono colui che Sono”, o anche “Io sono chi Io sono”, Dio fa capire con quale nome lo si deve chiamare: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi…Questo è il mio nome per sempre, questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione” (Es 3,13-15; CCC, nn. 203-206). Questo Nome divino è misterioso come Dio è Mistero, è al tempo stesso un nome ma anche rifiuto di un nome, perché Dio è al di sopra di tutto e non è racchiudibile in una parola. E’ appunto questa la Rivelazione: Dio non è una delle tante divinità che la mente umana può partorire, né un elemento della natura, né panteisticamente il cosmo stesso; Dio è l’Assoluto, l’Essere per eccellenza, in quanto increato e sussistente di per sé, senza origine e senza fine, da cui deriva l’essere di tutte le cose. Se gli uomini possono dire anch’essi io sono, è perché hanno ricevuto l’essere dal loro creatore, mentre Dio è da se stesso tutto ciò che Egli è. YHWH è la pienezza dell’Essere, mentre noi creature pur dicendo io sono non abbiamo nemmeno consapevolezza di ciò che siamo. Però l’acquistiamo man mano che collochiamo il nostro buio io sono nella luce della totalità dell’Io Sono divino, pronunciando il nostro essere come lo pronuncia Lui.
Il popolo d’Israele aveva un tale timore e rispetto del Nome di Dio che quando leggeva le scritture sostituiva il tetragramma sacro YHWH con il titolo divino “Signore” (Adonai, in greco Kyrios). Ed è con questo titolo che i cristiani proclameranno la divinità di Gesù, indicandolo come il Kyrios, il Signore. Dopo la teofania del roveto ardente e la rivelazione del nome di Dio, Mosè riceve sul Sinai anche la rivelazione dei comandamenti: uno di questi, il secondo, riguardava quello stesso nome: “Non pronuncerai invano il nome del Signore tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncerà il suo nome invano” (Es 20,7). Non è un divieto a pronunciare il nome di Dio, ma ad abusarne. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci indica alcuni esempi d’abuso: la bestemmia, l’imprecazione, il falso giuramento chiamando Dio a testimone (Gesù consigliava di non giurare affatto), la promessa fatta in nome di Dio e poi non mantenuta, perché così facendo s’impegna ignominiosamente la Verità di Dio (CCC, nn. 2146-2155). Anche abusare del nome del Signore per ordinare una guerra o un’esecuzione significa coinvolgere irresponsabilmente la sua Autorità con la pretesa, fosse anche in buona fede, di conoscere la volontà di Dio. Ma il secondo comandamento, come del resto avviene per tutti gli altri, non va visto solo in funzione del divieto che esprime, ma come rivelazione positiva mirante a educare il cuore dell’uomo alla santità, acquisibile solo se vi è rispetto del sacro, piena avvertenza della diversità di Dio rispetto alla nostra realtà creaturale, maturata consapevolezza della sua autorità e signoria che solo per grazia ha deciso di donarsi a chi con umiltà sa pronunciare il suo Nome.
Il credente, pieno d’amorosa adorazione, non lo inserirà fra le sue parole se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo.

 

 

 

IL TIMONE – N. 29 – ANNO VI – Gennaio 2004 – pag. 61
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