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11.12.2024

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Non tutti sanno che…
31 Gennaio 2014

Non tutti sanno che…

Il Timone n. 57 – anno 2006 – 

 

BUDAPEST 1956 E IL PCI
Gli eventi d’Ungheria del 1956 determinarono una forte crisi all’interno del Partito Comunista Italiano. Trenta deputati, guidati da Antonio Giolitti, si dissociarono dalla posizione filosovietica di Togliatti e una ventina di giornalisti de l’Unità  e di Paese Sera si dimisero e restituirono la tessera del Pci. Tra i socialisti, mentre Pietro Nenni si era pronunciato a favore dei rivoltosi e contro l’invasione sovietica, Sandro Pertini prese una posizione diametralmente opposta. Dal Meridiano d’Italia dell’11 novembre 1956: «Pertini ha invocato ferro e fuoco su Budapest e si è rammaricato di non aver potuto egli stesso guidare un carro armato russo contro i giovani fascisti delle Università magiare».
Ed ecco alcune delle frasi scritte da Palmiro Togliatti su l’Unità: «Si tratta di una controrivoluzione bianca! Militanti! Non lasciatevi sorprendere né ingannare e sopraffare dall’ondata reazionaria anticomunista e antisocialista. Siamo di fronte ad una sommossa armata manovrata dai reazionari e dai fascisti. Alla sommossa che mette a ferro e fuoco le città, non si può rispondere che con le armi perché è evidente che se ad essa non si pone fine, è tutta la nuova Ungheria che crolla. Quando il combattimento è aperto, chi preso le armi bisogna abbatterlo!».
Giorgio Napolitano, l’attuale presidente della Repubblica, dichiarò all’VIII Congresso del PCI, che si svolgeva in quei giorni infuocati: «Il compagno Antonio Giolitti ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, ma io ho quello di aspramente  combattere le sue posizioni. L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla pace nel mondo». Pietro Ingrao, all’epoca direttore de l’Unità, ha ammessodi avere sbagliato solo martedì 12 settembre di quest’anno,  quando è uscito il suo libro Volevo la Luna, dove confessa di essere stato lui l’autore di un famoso «fondo» pubblicato da l’Unità dal titolo: «Da una parte della barricata, a difesa del socialismo» nel quale poteva leggersi: «I ribelli contro rivoluzionari hanno fatto ricorso alle armi. La rivoluzione  socialista ha difeso con le armi se stessa, com’è suo diritto sacrosanto. Guai se così non fosse», e ricorda che una di  quelle sere andò a trovare Togliatti a casa: «Gli dissi subito  il mio sgomento per quella invasione. Togliatti mi rispose asciuttamente: “Oggi io invece ho bevuto un bicchiere di  vino in più”». Nel suo libro Budapest 1956: la rivoluzione calunniata, lo  storico Federigo Argentieri rivela il contenuto della let- tera spedita ai vertici del Cremlino il 30 ottobre 1956, in  cui Togliatti auspicava l’invasione dell’Ungheria («Razza di incapaci, vi volete decidere o no?», è la frase con cui Argenha tieri ne riassume il contenuto). Infine, non bisogna dimenticare l’assenso del «Migliore» alla condanna a morte di Imre Nagy, quasi due anni dopo la rivolta. (Luciano Garibaldi) 

PLEBISCITO TRUCCATO 
Tornato al Governo nel gennaio del 1860, Cavour raggiunse un accordo con l’impera-tore francese Napoleone III: in cambio della sua accettazione delle conquiste (Emilia e Granducato di Toscana) dovute alla Seconda Guerra di Indipendenza (1859), Cavour offriva alla Francia le due regioni confinanti di Nizza e della Savoia. Napoleone III accettò l’offerta. I plebisciti con cui le popolazioni espressero il loro consenso ad abbandonare il Regno di Sardegna per essere annesse all’Impero di Francia furono pilotati. Durante la campagna elettorale, per ordine di Cavour, furono vietate tutte le manifestazioni contrarie alla Francia e permesse solo quelle favorevoli; vennero sequestrati tutti i manifesti ostili e affissi solo quelli a favore; nel giorno del voto, agli elettori che recavano la coccarda francese venivano offerti vino e caffé; le schede elettorali con il “si” venivano distribuite ovunque, mentre quelle con il “no” erano introvabili o quasi. Alla fine, i voti contrari furono 160 a Nizza e 235 in Savoia!

LA PRIMA INCORONAZIONE CRISTIANA
In una battaglia decisiva a Tolbiac, vicino a Colonia, l’esercito dei Franchi, in guerra contro gli Alemanni, stava per essere messo in rotta completa. Clodoveo decise di rivolgersi al “Dio della moglie” (la cattolica Clotilde), facendo voto di battezzarsi in cambio del rovesciamento dell’esito della battaglia: «Dio di Clotilde – gridò a gran voce – dammi la vittoria e non avrò altro Dio all’infuori di te!». Pochi istanti dopo gli Alemanni, terrorizzati, fuggirono disordinatamente. La vittoria fu totale. Di fronte a tale inspiegabile cambiamento dell’esito della battaglia, Clodoveo non ebbe esitazioni. Si fece battezzare con tremila suoi ufficiali e soldati la vigilia di Natale dell’anno 496 dal vescovo san Remigio, che pronunciò la celebre frase: «Abbassa il capo, condottiero: adora quel che bruciasti e brucia quel che adorasti». Remigio lo unse con l’olio santo: fu la prima incoronazione cristiana, rito sacro, perpetuato per più di un millennio dai Re di Francia e dagli imperatori del sacro Romano Impero. La notizia è tratta dall’ottimo sussidiario di storia per la Scuola Secondaria di primo grado, Alle radici del domani. Il Medioevo (De Mattei, Nistri, Viglione). 

 

 

 

 

IL TIMONE – N. 57 – ANNO VIII – Novembre 2006 – pag. 25

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