Il Timone n. 68 – anno 2007 –
Un giorno dell’anno 1843, don Bosco entrò in un negozio di barbiere e fu servito da un garzone undicenne, un tal Carlo Gastini, che aveva da poco tempo perso il papà. Don Bosco si fece insaponare, ma quando fu il momento di procedere alla rasatura vide che il ragazzino tremava come una foglia, perché mai aveva raso qualcuno. Nonostante gli avvertimenti del padrone, don Bosco non si tirò indietro, e la rasatura andò a buon fine. Qualche mese dopo, il santo prete incontrò il giovane garzone. Lo vide piangente: era morta la madre ed era stato licenziato. Mosso da carità cristiana, don Bosco lo prese con sé, e Carlo rimase nel famoso oratorio per più di cinquant’anni. Era solito cantare un ritornello di questo genere: «lo devo vivere – per settant’anni. – Me lo ha detto – papà Giovanni». Questa era una delle tante “profezie” che tra il serio e lo scherzoso don Bosco faceva ai suoi ragazzi. E così avvenne. Carlo morì il29 gennaio 1902. Aveva settant’anni e 1 giorno.
IL ROTOLO DEI MORTI
Scriveva Leo Moulin (1906-1996), nel suo capolavoro La vita quotidiana dei monaci nel Medioevo (Mondadori), che, quando moriva un monaco, vigeva la consuetudine di destinare il cibo che sarebbe spettato al defunto per sfamare i poveri, che sant’Oddone, fondatore e abate di Cluny, chiamava “caeli janitores”, vale a dire “portinai del cielo”. Nelle abbazie di Cluny, Hirsau e Canterbury era consuetudine saziare un povero in questo modo per trenta giorni di seguito. In Germania lo si nutriva addirittura per un anno. Inoltre, l’annuncio della morte del monaco, scritto su pergamena, era trasmesso a tutte le case dell’Ordine di appartenenza. Ogni monastero scriveva sulla medesima pergamena qualche pio pensiero e le condoglianze. Queste, aggiungendosi le une alle altre, finivano per formare un rotolo, che veniva chiamato “il rotolo dei morti”, che poteva misurare più di venti metri di lunghezza.
IL CORAGGIO DI S. AMBROGIO
Correva l’anno 382. I senatori romani si erano rivolti all’imperatore per ottenere che fosse ricollocata nel Senato la statua della dea Vittoria. Ambrogio, vescovo di Milano, appena informato dell’intenzione dell’imperatore di accontentare i pagani, minacciò di scomunicarlo, scrivendo: «Non c’è nessuna sicurezza per chi non adora con sincerità il vero Dio, cioè il Dio dei cristiani, da cui l’universo è governato. […] Stai sicuro che, se tu decidi contro di noi, nessun vescovo potrà sopportare di buon animo questa tua ingiustizia. Tu potrai recarti in chiesa; ma non ci troverai neppure un sacerdote a riceverti, oppure, sì, ce lo troverai, ma per impedirti l’ingresso. Che cosa gli risponderai tu, quando egli ti dirà: “L’altare di Dio rifiuta i tuoi doni, perché con quegli stessi doni, tu adornasti l’altare degli idoli”?». Si legga il bel libro di Maurizio De Bortoli, Percorso nella storia della Chiesa (Itaca, 2003)
IL GRANDE TERRORE
Settant’anni fa, per decisione dei supremi organi del Partito Comunista, in URSS si scatenò l’ennesima sanguinosa “purga” che si protrasse per circa due anni e che è conosciuta con il nome di “grande terrore”. In realtà sia prima, sia dopo il 1937 si contarono innumerevoli repressioni politiche, ma quell’anno è rimasto nella memoria soprattutto per il sistema pianificato a tavolino di uccisioni di massa eseguite dal potere statale. Questa repressione interessò tutte le regioni e tutti gli strati sociali. In questo biennio furono arrestate oltre 1.700.000 persone con imputazioni politiche. Ma il numero dei perseguitati supera abbondantemente i due milioni se si contano anche le vittime delle deportazioni e gli “elementi socialmente dannosi”. Sbalorditiva la cifra dei condannati a morte in soli due anni: oltre 700.000. La stragrande maggioranza degli arrestati e dei fucilati erano semplici cittadini sovietici, non iscritti al partito comunista, che non avevano fatto alcun male. Ma ad ogni regione e provincia veniva dato l’ordine di arrestare un certo numero (quota) di “colpevoli”, i quali poi sarebbero stati divisi in due categorie: quelli da fucilare subito e quelli da condannare a 8-10 anni di carcere e lavori forzati. Stabilita la cifra, prima ancora di provare la colpevolezza, si procedeva all’arresto.
E poi alla fucilazione. Si legga il ricco dossier pubblicato dalla benemerita rivista La Nuova Europa (n. 5, settembre 2007).
APOLOGETICA
Il primo degli apologeti di cui abbiamo notizia si chiamava “Quadrato”, almeno così è stato tradotto il nome che, in greco, suona Kodràtos. Eusebio di Cesarea lo definisce “discepolo degli Apostoli” e, da storico quel era, ci tramanda il nucleo della sua apologia: «Le opere del nostro Salvatore erano di continuo riscontrabili, perché vere. Coloro infatti che Egli guarì, e coloro che risuscitò da morte, non furono visti soltanto quando furono guariti e risuscitati, ma erano continuamente presenti, non solo mentre il Salvatore viveva quaggiù, ma anche dopo la sua di partita, per un tempo notevole, tanto che alcuni di loro giunsero sino ai tempi nostri». Commenta Vittorio Messori, nel suo Ipotesi su Maria (Ares, 2005): «Ebbene: non è significativo che proprio i prodigi “fisici” (coloro che Egli guarì e coloro che risuscitò da morte) siano scelti subito come motivo principale di credibilità del Vangelo?».
IL TIMONE – N.68 – ANNO IX – Dicembre 2007 pag. 25