Il Timone n. 78 – anno 2008 –
COSA FA IL DEMONIO
Il temine ebraico satàn fu tradotto in greco con diaballo, che significa dividere, separare, contrapporre, mettere in contrasto, in guerra, in situazione di conflittualità e di odio. Dal greco diaballo derivò il latino diabolus, e l’italiano diavolo, sempre nel senso di colui che separa. L’azione demoniaca è innanzitutto quella di separare l’uomo da Dio. Se ci riesce, il demonio vuole poi separare l’uomo da se stesso. Una volta riuscito anche in questo, vuole separare l’uomo dagli altri e da tutta la realtà creata, isolandolo, spersonalizzandolo, distruggendo il desiderio di verità e la disponibilità all’amore, mettendolo in atteggiamento permanente di conflittualità, di guerra contro tutti e contro tutto. Insomma, il demonio vuole trascinare l’uomo all’inferno, facendolo cominciare da questa vita. Un libro davvero istruttivo sull’argomento è quello di don Gino Oliosi, Il demonio come essere personale. Una verità di fede (Fede & Cultura, 2008).
RAGAZZO DI PACE
Un giorno, due amici di san Domenico Savio (1842-1857), il giovane allievo di don Bosco, si sfidarono a duello dopo una lite cominciata con insulti nei riguardi delle rispettive famiglie. I due convennero di battersi a colpi di pietra. Venutone a conoscenza, Domenico fece di tutto per impedirlo, senza riuscirvi. Ottenne solo la promessa che, se non avesse impedito loro di battersi, i due avrebbero ascoltato una sua proposta. Giunto il momento, Domenico si presentò al luogo stabilito per il duello. I due avevano in mano cinque pietre ciascuno. Allora Domenico estrasse di tasca un piccolo crocifisso, si inginocchiò dinanzi al primo e gli disse di mantenere la parola data, chiedendogli di . colpirlo e così colpire anche il Crocifisso. Il duellante, scosso, si ritrasse, non avendone il coraggio. Così fece anche il secondo. A quel punto, Domenico invitò i due ragazzi a ragionare, facendo loro capire che avrebbero offeso Gesù se continuavano su quella strada. E i due si perdonarono a vicenda. L’episodio è tratto dal bel volume di S. Giovanni Bosco, Vita di Domenico Savio curato da Teresio Bosco (Elledici, 2002).
FENOMENO MISTICO
Uno dei fenomeni mistici ben conosciuti è chiamato “Incendio d’amore” e consiste nel fatto che in alcuni santi la forza dell’amore verso Dio si manifesta, talvolta, all’esterno sotto forma di fuoco che riscalda fino a bruciare la carne e le vesti vicine al cuore. Tali manifestazioni si producono in gradi diversi. Il più semplice è dato dal cosiddetto “calore interno”, che dal cuore si spande in tutto l’organismo. San Venceslao (907ca-935), duca di Boemia, lo sperimentò. È noto che egli visitava di notte le chiese a piedi scalzi, lasciando impronte sulla neve. Lo accompagnava un servo al quale il santo raccomandava, per ripararsi dal freddo intensissimo che sentiva, di mettere i suoi piedi nelle sue orme. In questo modo il servo non sentiva più il freddo. L’episodio, documentato insieme a molti altri, è tratto dal volume Teologia della perfezione cristiana, un classico di Antonio Royo Marin.
ANNUNCIO MISTERIOSO
Il mattino del 17 dicembre 1942, la nonna di Padre Piero Gheddo raccontò ai famigliari un fatto strano, ma non insolito: nella notte aveva sentito forte e chiara la voce di suo figlio Giovanni (papà di Piero), che si trovava sul fronte russo con l’Armir, l’Armata italiana in Russia: «Mama, mama, moiru». La donna si sedette sul letto incredula e chiamò suo figlio a gran voce: «Giuanìn, Giuanìn» e la riposta fu ancora: «Mama, mama, moiru». Poi il silenzio. La zia maestra cercò di tranquillizzare la donna, visibilmente spaventata, cercando di convincerla che si trattava solo di un sogno. Ma la nonna di padre Piero fece segnare la data sul calendario. Passarono gli anni senza che si sapesse più nulla di Giovanni. Nel 1946 l’avvocato Mino Pretti, l’ultima persona conosciuta dalla famiglia Gheddo che vide ancora in vita il papà di don Piero in Russia, andò a incontrare i famigliari e raccontò che proprio il giorno 17 dicembre 1942 Giovanni Gheddo aveva preso la decisione di non seguire le truppe italiane in ritirata, ma di rimanere accanto ai feriti intrasportabili e attendere l’arrivo dei russi. Da quel giorno, di lui non si seppe più nulla… Si legga il bel libro di Cristina Siccardi, Sposi per davvero. La vita di Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo (San Paolo, 2008).
UN EBREO RINGRAZIA PIO XII
Il 22 giugno 1944 il rabbino André Zaoui, cappellano, capitano del corpo di spedizione francese, scrisse una lettera indirizzata a Pio XII nella quale ricorda di aver potuto assistere a un’udienza pubblica del Papa «il 6 giugno 1944, alle 12.20», con «numerosi ufficiali e soldati alleati». Menziona anche la sua visita all’Istituto Pio XI, «che protesse per più di sei mesi circa sessanta bambini ebrei, tra cui alcuni piccoli rifugiati francesi». Dice di essere stato colpito dalla «sollecitudine paterna di tutti i maestri» e cita questa frase del prefetto degli studi: «Non abbiamo fatto altro che il nostro dovere». L’8 giugno 1944, il rabbino Zaoui ha partecipato alla riapertura della sinagoga di Roma, chiusa dai nazisti nell’ottobre 1943. Segnala anche la presenza di un sacerdote francese, padre Benolt, «fuggito dalla Francia», che si dedicò «al servizio delle famiglie ebraiche di Roma».
André Zaoui esprime il suo riconoscimento dicendo che «Israele non dimenticherà mai». La sua lettera è riprodotta nel catalogo dell’esposizione sulla biografia di Pio XII presentata il 3 novembre in Vaticano, pubblicato sotto l’autorità del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.
IL TIMONE – N.78 -ANNO X – Dicembre 2008 pag. 25