Il Timone n. 113 – anno 2012 –
PADRE PIO FA PAURA AL DIAVOLO
Nel suo bel libro Quando parlo col diavolo (Sugarco, 2012), Don Gianni Sini, esorcista, racconta diversi episodi capitati nel corso della sua missione, quella di liberare, con i mezzi offerti dalla Chiesa, quelle persone che sono possedute o disturbate dal demonio. Don Sini testimonia che spesso il demonio, nel corso di un esorcismo, manifesta forte avversione nei confronti dell’esorcista, chiedendogli di allontanarsi. Non solo: capita talvolta che, quando don Sini avvicina o appoggia sul corpo della persona posseduta o disturbata una reliquia di Padre Pio, che gli è stata inviata dai frati di San Giovanni Rotondo, il demonio manifesta letteralmente paura. Ciò è dovuto – secondo don Sini – alla potenza che emana dalla santità del frate di Pietrelcina, perché è stato uno dei santi che ha lungamente combattuto e riportato vittoria sul Maligno.
PERSECUZIONE COMUNISTA
Giunti al potere in Romania nel 1948, i comunisti dichiararono la Chiesa greco- cattolica fuorilegge: vescovi e sacerdoti furono arrestati, torturati, molti perirono in carcere e la Chiesa fu costretta ad una vita catacombale. Suor Pelagia Iusco era allora una novizia, arrestata per essersi rifiutata di passare alla Chiesa ortodossa e condannata a tre anni di carcere. Un bel libretto delle edizioni Mimep-Docete, intitolato Testimonianza dalle carceri comuniste (2011), raccoglie la sua testimonianza, insieme a quelle di altri eroici fedeli cattolici perseguitati. Arrestata alle due del mattino, la novizia poté indossare sulla camicia da notte solo una gonna e un pullover e venne condotta al carcere di Oradea. Per i primi nove mesi, fu rinchiusa in cella d’isolamento, da sola, senza un letto, una tavola, una sedia. Non poté mai cambiarsi d’abito, pettinarsi e lavarsi. Spesso interrogata, minacciata, percossa dai carcerieri. Al processo, le attribuirono come una colpa grave (!): anche l’aver gridato «Viva il Papa e la Chiesa cattolica». Da leggere anche le altre testimonianze: perché viva la memoria.
IL PECCATO PIÙ GRANDE
San Tommaso d’Aquino spiega, nella Somma Teologica, che Dio può essere conosciuto o “in sé” o “nei suoi effetti”. In sé, Dio non è altro che Bontà e dunque non può che essere amato. Ma nei suoi effetti, siccome ce ne sono alcuni che ripugnano alle volontà disordinate – per esempio i castighi per i peccati commessi – Dio può essere preso in odio da qualcuno. L’odio di Dio, che rappresenta la più totale ed esplicita avversione a Lui, è il più grande peccato.
GRAZIE A SAN BENEDETTO
Giustamente Gianfranco Amato, autore di I nuovi Unni. Il ruolo della Gran Bretagna nell’imbarbarimento della civiltà occidentale (Fede & Cultura, 2012) ricorda quanto noi tutti siamo debitori della Regola benedettina e del monachesimo, persino nel nostro semplice agire quotidiano. A cominciare da aspetti apparentemente banali, come, per esempio, l’orario in cui pranziamo o il numero delle portate (primo e secondo) «due pulmentaria cocta», e persino l’abitudine di mangiare frutta a fine pasto («si fuerint poma, addatur et tertium»). Lo stesso termine “colazione” deriva dalla consuetudine monastica di leggere in refettorio, come prescriveva la Regola di san Benedetto, le «collationes», ossia le note e i commenti dei Padri della Chiesa alle Sacre Scritture. Anche il termine inglese breakfast, ormai internazionalmente riconosciuto, è un termine di derivazione monacale, perché sta ad indicare l’interruzione (break) del digiuno (fast). Davvero un bel libro, questo di Amato, prefato da Mons. Luigi Negri, collaboratore del Timone, che ci aiuta a capire le ragioni storico-culurali del decadimento della società del Regno Unito. E non solo….
POST-ABORTO: QUANTI DANNI
Non tutti sanno a che cosa vanno incontro tante donne che hanno abortito. Il medico Renzo Puccetti, collaboratore del Timone, ricorda che nel settembre 2011 venne pubblicato sulla rivista degli psichiatri inglesi uno studio di Priscilla Coleman, specialista con lunga esperienza di studio ed assistenza alle donne in difficoltà psicologica dopo avere abortito. La Coleman ha analizzato i dati numerici provenienti da ben 22 studi effettuati su quasi 900.000 donne. Tra queste, quelle che hanno abortito manifestano un aumentato rischio di ansia, un raddoppio dell’abuso di alcool, un più che triplicato uso di marijuana, un rischio di suicidio aumentato di due volte e mezzo e nel complesso un aumento dell’81% di problemi psichici a carico delle donne che abortiscono. Sono dati impressionanti, confermati da altri studi. L’articolo di Puccetti è pubblicato nel bel volumetto Mamme che piangono. Il dolore che resta dopo un aborto, curato da Giovanni Corbelli (Fede & Cultura, 2012). Vi sono raccolte anche diverse e toccanti testimonianze di mamme che hanno vissuto e vivono la tragedia dell’aborto.
IL TIMONE N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 25