Il Timone n. 110 – anno 2012 –
NAZARETH E LORETO
Non deve creare difficoltà il fatto che la Grotta dell’Annunciazione si trovi a Nazareth e la Casa in muratura di Maria sia a Loreto, luoghi entrambi molto amati dai cristiani e meta di affollati pellegrinaggi. Come spiega con dovizia di particolari Maria Elisabetta Patrizi, nel suo monumentale e documentatissimo L’Eucaristia e la Madre del Signore (Città Nuova, 2011), si deve tener conto del fatto che Nazareth era una piccola borgata di montagna e le abitazioni del tempo di Gesù erano composte solitamente da due parti: una in muratura, o in pietra, dove la famiglia abitualmente viveva, ed un’altra parte, ricavata nella viva roccia, che veniva utilizzata per scopi di servizio. Si spiega così perché oggi i due venerati luoghi, attribuiti all’abitazione della Madre di Dio, non sono un semplice doppione, ma possono benissimo conciliarsi: la Grotta è a Nazareth, la Santa Casa in muratura a Loreto, ivi trasportata miracolosamente dagli angeli nel 1294.
VOLTAIRE
Nel suo avvolgente La guerra contro Gesù (Rizzoli 2011), il giornalista Antonio Socci commenta il celeberrimo motto con il quale solitamente viene sintetizzato l’afflato per la tolleranza e il rispetto altrui del filosofo Voltaire, autore del Trattato sulla tolleranza: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma sono pronto a dare la mia vita perché tu possa dirlo». Come questo eroico proposito si concili con l’invito a «écrasez l’infame», cioè a «schiacciare l’infame», che lo stesso Voltaire scriveva in una lettera del 23 giugno 1760 a D’Alembert è difficile da spiegare. Perché, con questa “gentile” qualifica, Voltaire intendeva fulminare tutti coloro che avevano convinzioni opposte alle sue, trattandoli come si fa con gi scarafaggi e con le mosche: schiacciandoli, appunto. Altro che “tolleranza”! Ma tutto diventa chiaro quando si viene a sapere, come scrive Socci, che Voltaire non ha mai pronunciato quella frase, che è stata inventata dalla scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall nel suo The Friends of Voltaire, una biografia del filosofo francese pubblicata a Londra nel 1906.
LA GRAZIA
Senza aiuto della Grazia di Dio, l’uomo non avrebbe potuto meritare la vita eterna neppure prima del peccato, cioè quando si trovava nella condizione precedente il peccato originale, commesso dai progenitori Adamo ed Eva. Ciò perché la vita eterna supera le forze naturali e per essa ci vuole quindi un moto, un impulso superiore. Ovviamente, c’è ancora più bisogno della Grazia di Dio dopo il peccato. Lo spiega con insuperabile maestria il grande san Tommaso d’Aquino nella Somma teologica.
DON BOSCO
Fin da piccolo, Giovanni Bosco (1815- 1888) si preoccupava di fare del bene. Racconta il biografo Teresio Bosco, nel suo Don Bosco, una nuova biografia (Elledici, varie edizioni) che in una cascina poco lontana dall’abitazione di Giovanni c’era un ragazzo che faceva il garzone. Si chiamava Secondo Matta. Al mattino, il padrone gli dava una fetta di pane nero e gli metteva in mano la cavezza di due mucche che doveva condurre al pascolo fino a mezzogiorno. Scendendo nella valle, incontrava il piccolo Giovanni Bosco, che portava le sue mucche al pascolo, ma, preparatagli con amorevole cura dalla mamma Margherita, aveva in mano una fetta di pane bianco. A quei tempi, non lo si dimentichi, un pane così era una raffinatezza. Un giorno Giovanni gli disse: «Mi fai un favore?» «Volentieri », rispose Secondo. «Vorrei che ci scambiassimo il pane, perché il tuo mi sembra più buono del mio». Secondo Matta ci credette e per tre stagioni di seguito – è lui che lo racconta – tutte le volte che si incontravano scambiavano il pane. Solo divenuto adulto, Secondo Matta comprese il “trucco” di Giovanni Bosco per fargli del bene.
L’unica ragion d’essere del Purgatorio – si legge nel classico Teologia della perfezione cristiana, del Royo Marin – è il castigo e la purificazione dell’anima. Ogni peccato, oltre la colpa, comporta un reato di pena che occorre soddisfare in questa vita o nell’altra, nel “Purgatorio”, appunto. Dio, infatti, non può rinunciare alla sua giustizia e l’anima dovrà scontare la sua pena per i peccati commessi. Ma molti cristiani, purtroppo, prendono alla leggera questa verità della loro fede. Invece, spiega il Royo Marin, peraltro semplicemente ripetendo la dottrina cattolica, le pene che l’anima dovrà soffrire in Purgatorio per le mancanze che adesso commette con tanta leggerezza e disinvoltura definendole “bagatelle”, “scrupoli”, “cose di poco conto”, sorpassano ogni altra pena di questo mondo. Perché le pene di questa vita, per quanto terribili possano apparire, non trascendono il carattere proprio della natura umana, mentre le pene del Purgatorio appartengono all’ordine soprannaturale della grazia e della gloria.
IL TIMONE N. 110 – ANNO XIV – Febbraio 2012 – pag. 25