Preti assassinati di cui nessuno parla. La cui storia nessuno, anche tra i cattolici, conosce. Invece, furono esempi di fedeltà a Cristo e di coraggio. Ricordarli è un dovere, anche per rimediare dopo un silenzio colpevole.
«Triangolo»? Macché: è ben più complesso il poligono degli odi di parte e della giustizia sommaria procurata dalle ideologie dopo la liberazione, in quella che è stata chiamata «guerra civile» e che ha fatto tante vittime cattoliche. Così anche il «triangolo» dei preti uccisi ha allargato il suo perimetro ben oltre l’Emilia Romagna, a comprendere una gran fetta dello Stivale. Sì, don Umberto Pessina e la ventina di sacerdoti emiliani e romagnoli trucidati tra il 1944 e il 1946 non furono i soli. Anzi, per paradosso – pur nella giustificata lamentela che i loro casi siano dimenticati, dagli storici e talvolta anche dalla Chiesa – i preti del «triangolo rosso» sono più fortunati di altri: perché di loro almeno qualcosa s’è detto, qualche libro è stato scritto e le loro vicende (anche se nelle pieghe di una pubblicistica spesso «minore») hanno ricevuto un po’ d’attenzione. Invece per molti confratelli della Toscana, delle Marche, dell’Umbria, della Liguria, del Lazio e persino del «civilissimo» e democratico Piemonte niente di tutto questo.
Si stenta a crederlo, ma è così: ci sono parroci trucidati sul finire o subito ‘dopo la guerra dei quali resiste a malapena un ricordo. Non si dice di un processo giusto o di un monumento, una lapide; ma nemmeno di un articolo di giornale sono stati ritenuti degni, di una rievocazione nell’anniversario della scomparsa, di un capitoletto o di una pagina tra i fasti della Resistenza… Niente, nulla. E chi va a cercare notizie spesso incontra a tutt’oggi paura, silenzio, omertà.
LE VITTIME DIMENTICATE
don Augusto Galli (Pesaro)
Vedi il caso di don Augusto Galli, parroco di Pereto presso Sant’Agata Feltria (PS), autentico desaparecido italiano: colpevole di aver fatto un discorso anti-comunista durante una festa, fu ucciso da una sventagliata di mitra la notte del 31 maggio 1946, mentre era alla finestra della canonica. Lo vegliò tutta la notte il suo cagnolino, ma nessuno – né i parenti, né la diocesi ebbero il coraggio di far aprire un processo per trovare gli assassini (e si era già un anno dopo la liberazione!); del resto, per la paura la chiesa di Pereto rimase senza parroco residente fino al 1952. Così il nome di don Augusto non appare nel Martirologio del clero italiano nella seconda guerra mondiale e nel periodo della Resistenza, compilato dall’Azione Cattolica nel 1963, né su alcuna lapide.
Don Francesco Pellizzari (Alessandria)
Di don Francesco Pellizzari, parroco a Tagliolo Monferrato (AL), nessuno vuoi parlare neppure adesso: poco dopo la mezzanotte del 9 maggio 1945 il sacerdote – aveva 61 anni – fu «prelevato» da due individui che lo invitarono a confessare un condannato a morte; don Francesco prese gli olii santi e non tornò più a casa (ma circa mezz’ora dopo fu udita una scarica di mitra nelle campagne), né si trovò il cadavere. Ancora oggi il suo nome non sta scritto sul monumento dei caduti del paese.
Oltre un centinaio sono i sacerdoti italiani uccisi da mano partigiana; escludendo i gruppi maggiori nel «triangolo rosso» e un’altra quarantina trucidati o infoibati dai titini in Istria, ne resta ancora un bel numero sparso negli anfratti più inattesi della Penisola. 12 casi in Piemonte, quattro in Liguria, tre in Veneto e uno in Lombardia, 15 in Toscana, 7 nelle Marche e due in Umbria. Si dirà che erano individui compromessi col regime; ma, anche accettando (senza mai giustificarlo) il criterio della «giustizia sommaria» in caso di guerra, le vere e proprie «epurazioni» di sacerdoti pesantemente collusi col fascismo si contano sulle dita di una mano. Diversi altri erano stati sì cappellani militari repubblichini, ma senza particolare enfasi mussoliniane e più per fedeltà alla patria e ai soldati che per altro; diversi ancora avevano mostrato simpatie per il Duce, ma quando il fascismo era ancora quello del Concordato con la Chiesa e comunque non più di moltissimi altri italiani.
Ma gli altri? Nell’elenco dei martiri risultano sacerdoti senza alcuna macchia «nera», anzi certamente antifascisti e che di fatto aiutarono sia gli sfollati, sia gli ebrei, sia i renitenti alla leva di Salò… Addirittura ci sono preti partigiani essi stessi, massacrati da quelli che dovevano essere «compagni d’arme», però avevano la camicia ideologica di altro colore.
Don Attilio Pavese (Pavia)
Come fu per don Attilio Pavese, parroco di montagna ad Alpe Gorreto nel pavese: dapprima cooptato nella Resistenza in qualità di vivandiere per i ribelli, che ospitava nella sua canonica; poi, quando più forte si fece il contrasto tra brigate garibaldine «bianche» e «rosse» nella zona, processato dai suoi stessi colleghi – unico caso del genere! – con l’accusa di aver praticato la borsa nera e giustiziato il 6 dicembre 1944 mentre confessava un gruppo di soldati tedeschi che s’apprestavano a essere fucilati (dissero che c’era stato un tentativo di fuga e che don Attilio era stato colpito per sbaglio…).
Padre Eugenio Squizzato ofm (Piemonte)
Idem per il francescano veneto padre Eugenio Squizzato, già cappellano degli alpini e fermatosi dopo 1’8 settembre 1943 per assistere i commilitoni che si erano dati alla macchia sulle montagne piemontesi: dopo la Pasqua 1944 lui e il suo comandante furono attirati a un appunta-mento da partigiani comunisti e massacrati.
Don Virginio Icardi (Alessandria)
Idem per don Virginio Icardi, già parroco di Squaneto (AL), che pareva avesse lasciato la veste per unirsi ai combattenti e invece il 4 dicembre 1944 fu eliminato dai suoi, forse per essersi dimostrato troppo «pietoso» verso alcuni prigionieri.
Don Giuseppe Rocco (Arezzo)
Idem per don Giuseppe Rocco, curato a S. Sofia in Marecchia (AR), che aveva ospitato per mesi dei partigiani slavi in canonica: il 4 maggio 1945 tre di essi tornarono col pretesto di salutarlo, si fecero offrire da mangiare e poi pagarono lui e il fratello a suon di pistola, perché li consideravano «traditori»…
E i torturati, i seviziati, i «sacchettati»? Il metodo era ben noto nel centro Italia: bastava riempire un sacchetto con alcune manciate di sabbia e poi usarlo come corpo contundente per menare botte sul corpo di un poveraccio con la tonaca; il sistema aveva il vantaggio di non lasciare tracce sulla pelle e di agire invece in profondità, ledendo gli organi interni e portando a morte la vittima diversi giorni dopo, e dopo molte sofferenze.
Don Pietro Maraglia (Massa)
Fu il destino di don Pietro Maraglia, parroco a Cerignano (Ms) e «sacchettato» nell’ottobre 1947 col pretesto infamante di una relazione con una donna: morì tempo dopo e ancora oggi è difficilissimo trovare notizie sul suo caso.
Don Federico Semprini (Rimini)
Oppure il riminese don Federico Semprini, un’altra delle vittime occulte della Resistenza (il suo nome non appare nei martirologi della Chiesa e nemmeno in quelli della Repubblica Sociale): passeggiava col predicatore fuori di chiesa, dopo la funzione serale della novena natalizia del 1943, e fu pestato a morte con sacchi di sabbia; sopravvisse solo pochi giorni.
Don Luigi Grandetti (Massa)
O ancora don Luigi Grandetti, generosissimo parroco di Pieve di Offiano (MS), assassinato fuori tempo massimo il 31 gennaio 1947: aveva 71 anni quando fu «sacchettato», al ritorno dalla novena di Natale; gli misero anche frantumi di vetro in bocca, per non farlo più parlare. Morì oltre un mese dopo; diagnosi ufficiale: cancro allo stomaco…
Don Giuseppe Amateis (Val di Lanzo)
Don Giuseppe Amateis invece fu trucidato il 16 marzo 1944 sul greto del torrente Tesso, presso Coassolo Torinese in Val di Lanzo, a colpi d’ascia: aveva invitato i giovani a presentarsi alla leva di Salò, in una zona controllata dai partigiani comunisti.
Don Luigi Bovo (Pordenone)
A don Luigi Bovo, parroco di Bertipaglia di Maserà (PD), bussarono alla porta e misero in mano il foglietto della condanna a morte: «Questa è la giustizia per coloro che maltrattano il popolo»; e mentre il poveretto abbassava lo sguardo per leggere, tre spari lo uccidevano. Era il 25 settembre 1944. La colpa della vittima? Aver deprecato le ruberie dei ribelli.
Don Luigi Bordet (Val d’Aosta)
Ma finiamo con don Luigi Bordet, l’unico sacerdote ucciso dai partigiani in Val d’Aosta. L’avevano avvisato di non continuare a parlare male del comunismo dal pulpito, e lui annunciò una catechesi proprio su questo tema ai fedeli di Hone (AO); due giorni dopo, il 5 marzo 1946, mentre andava a suonare le campane della prima messa, fu colto da una sventagliata di mitra sul sagrato. Nel suo cassetto fu trovata una lettera anonima: «È l’ora di finirla con un vecchio fascista come te. Hai dieci giorni di tempo per andartene, altrimenti morirai», firmato: «La popolazione», In calce il sacerdote aveva aggiunto di suo pugno la data e una nota: «Prego Dio di perdonare il miserabile che l’ha scritta».
Dossier: Il “Triangolo” dell’odio e della vergogna
IL TIMONE – N.39 – ANNO VII – Gennaio 2005 – pag. 42-44