Negli ultimi mesi è tornata alla ribalta, evocata pure da fonti insospettabili, la questione della musica liturgica quale abbellimento del rito. Repetita iuvant: la musica liturgica non è un orpello, ma parte integrante e sostanziale del rito e, pertanto, se la musica è buona ne deriva una buona liturgia, se è cattiva anche la liturgia ne soffre. Essa non è come un vestito elegante, bensì è come l’epidermide e il derma di un organismo vivente, quale è la liturgia cattolica.
Questo stabilisce la Costituzione liturgica quando afferma che il gregoriano è il canto proprio della liturgia romana e Giovanni Paolo II, richiamando il Magistero di san Pio X, ha indicato che anche le altre composizioni devono accostarsi al gregoriano nell’andamento, nell’ispirazione, nel sapore. L’organismo Liturgia, musicalmente parlando, privato negli ultimi decenni della pelle (l’organo e la polifonia) e addirittura quasi scarnificato più in profondità con l’abolizione del gregoriano, da vivente qual era, oggi ne risulta molto compromesso in salute, tanto da richiedere la continua opera dei c.d. (ri)animatori liturgici. Un tempo si parlava, invece, di servizio musicale, ma tale termine è certo apparso incompatibile con il progresso sociale del mondo contemporaneo, ove le colf hanno rimpiazzato le governanti, il catering ha preso il posto della servitù, gli animatori hanno sostituito i musicisti. Eppure in materia di liturgia non dovremmo ragionare sic et simpliciter come ragiona il mondo.
Sul punto qualcuno obietta che il Magistero è cambiato e non si può più parlare di ancillarietà della musica rispetto alla liturgia, come ai tempi di san Pio X. Posto che il Magistero, per definizione, non può cambiare ma al massimo può evolvere, tale ragionamento è solo parzialmente corretto.
È vero che nel Magistero del post-Concilio la musica è assurta lodevolmente quasi al rango di sorella della liturgia, ma questo, oltre a confermare la distinzione solo funzionale di due soggetti dotati di pari dignità, contemporaneamente ne avvalora l’identità di fini e ne sconfessa in radice l’asserita giustapposizione esornativa di canto e musica. La distinzione sussiste e oso pensare che essa derivi dal Vangelo: Marta era sorella di Maria e non sua domestica, però entrambe godevano della presenza di Gesù nella loro casa, pur svolgendo compiti diversi ma entrambi devoluti allo stesso fine. Ciò significa che dobbiamo re-imparare a svolgere ognuno il proprio compito con sapienza, in quella Betania che è la liturgia delle nostre chiese.
Allora i sacerdoti tornino a meditare e predicare la Parola di Dio, con sommo rispetto per quella Liturgia nel cui ambito il Verbo è proclamato ed accolto, e i musicisti, dal canto loro, tornino a servire con competenza artistica, con proprietà musicale, con correttezza liturgica e per questo ministero vengano giustamente remunerati (il paolino Qui altari servit… va bene anche per la cantoria).
Recuperare quest’ordine nel servizio gioverà non poco alla retta celebrazione del culto: i preti smetteranno di essere creativi e questo servirà da esempio per i musicisti che oggi, se sono di alta estrazione, spesso si rinchiudono in torri d’avorio nutrite di un mero estetismo passatista e pago – ove sia presente – della professionalità tecnica, vissuta a livello di messianismo artistico (!), se, invece, sono di bassa estrazione, si limitano ad “improvvisare”, riempiendo la liturgia di ciò che capita sotto mano, che a volte è solo ciarpame.
Servi sì, ma non sguatteri!
DA NON PERDERE
Giannicola D’Amico, Il Canto gregoriano nel Magistero della Chiesa, Conservatorio Statale di Musica “Francesco Venezze”, Rovigo 2009.
Questo libro ha idealmente battezzato il nuovo percorso di studi musicali specialistici, trattandosi della tesi per il conseguimento del primo Diploma di II livello conferito nel settembre 2005 che il Conservatorio di Rovigo, per l’eccezionalità della trattazione, ha pubblicato.
Corposo studio dell’epoca compresa fra il XV e XX sec., corredato da un imponente apparato di note e da una nutrita bibliografia, il volume passa in rassegna la normativa canonica, le pubblicazioni e gli studi, le prassi esecutive e liturgiche, nonché la storia della riforma solesmense fino alle soglie del XXI sec., dando un esauriente panorama del Canto gregoriano attraverso i secoli di corruzione musicale e di gallicanesimo rituale, tanto vicini all’attuale situazione.
IL TIMONE N. 100 – ANNO XIII – Febbraio 2011 – pag. 53