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13.12.2024

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Pacs & dintorni
31 Gennaio 2014

Pacs & dintorni

 

 

Che cosa si nasconde dietro i cambiamenti del linguaggio comune.

Parole e sigle apparentemente innocue vengono create per manipolare la realtà. George Orwell e Italo Calvino ci avevano avvisati.

Ci sono parole, caricate di una valenza negativa, che vengono usate come pietre, scagliate addosso a chi è fuori dal coro per demonizzarlo e condannarlo senza appello: è il caso di «reazionario», «conservatore», «moderato», «revisionista», «fideista», «integralista cattolico» o anche semplicemente «cattolico». Ma ormai sono considerati off limits e denotano l’essere oscurantisti (il buio Medioevo!), anche i termini «civiltà», «radici», «identità», «valori», a meno che questi ultimi quattro siano riferiti a persone di fede musulmana e alla loro cultura, perché in questo caso la musica cambia. È esecrabile addirittura «centro», dal momento che nel «bipolarismo» e nell’«alternanza» (paroline magiche che sintetizzano il migliore dei sistemi politici possibili), hanno diritto di cittadinanza solo la sinistra e la destra, con le varianti del centro sinistra e del centro destra. Ma ci sono parole ed espressioni, magari coniate ex novo, che vengono invece utilizzate come morbidi strumenti di dissimulazione, per nascondere la verità dei fatti, in modo chiaro, evidente e comprensibile. Tali parole ed espressioni, spesso semplici sigle, sono la vera insidia della lingua corrente, soprattutto scritta, sempre più «manipolata». Proviamo a fare alcuni esempi.
C’era una volta (e c’è ancora) l’Ivg. Quando la sigla fu usata per la prima volta correva l’anno 1978. E se ne fece un gran parlare.
Ventisei anni dopo, è storia recente, comparve la Pma. E ora, da qualche settimana, non si parla d’altro che di Pacs. Meno fortuna ha avuto invece un termine come Cav, emanazione peraltro del «cosiddetto» MpV. Siamo impazziti? Non proprio. Semplicemente stiamo utilizzando alcuni dei tanti acronimi che ormai fanno parte del linguaggio dei media e burocratico, anche se non sono ancora entrati del tutto, per fortuna!, nell’uso comune parlato e popolare. Sigle spesso create, come detto, per celare, più che per rivelare, la realtà a cui si riferiscono. Così, l’aborto volontario, cioè la decisione della mamma (non «donna») di sopprimere il bimbo (non «feto» o «prodotto del concepimento») che porta in grembo, è diventato una più innocua interruzione volontaria di gravidanza, appunto Ivg. E quella che a lungo si è chiamata fecondazione artificiale – perché di «naturale», cioè secondo natura, non ha proprio nulla – è diventata, in occasione del recente referendum che ha confermato la legge esistente, una più asettica procreazione medicalmente assistita, appunto Pma. Dove l’accoppiata «medicalmente» e «assistita» suggerisce un contesto rassicurante, quasi che invece una fecondazione normale, frutto della unione naturale di un uomo e una donna, assomigli invece a un atto azzardato, a rischio, retaggio di una società arretrata, istintiva e primitiva. E forse lo è, dal momento che una unione normale non consente la «diagnosi pre-impianto» (dpi?) che altro non è se non la vecchia «selezione eugenetica» di hitleriana memoria. Ma guai a dirlo.
E infine, dulcis in fundo, eccoci ai Pacs. Scoppiettante espressione flash, e bipartisan, che letteralmente sta per patti civili di solidarietà.
Con quelle due parole – «civili» e «solidarietà» – a far bella mostra di sé, ma che nasconde un’insidia: i Pacs infatti sono il cavallo di Troia per il riconoscimento della pari dignità tra famiglie tradizionali e convivenze, a scapito ovviamente della famiglia. In attesa delle nozze gay di stampo zapateriano. La sigla Pacs era praticamente sconosciuta ai più. Ha fatto prepotentemente irruzione sulla scena quando Romano Prodi, al momento di presentare la sua candidatura alle primarie per l’Unione, ha pensato bene di introdurre nel programma il tema del riconoscimento delle coppie o unioni di fatto. Quasi che fosse una priorità per il Paese. E scatenando così il putiferio.
Espressioni sintetiche, che fanno riferimento a realtà sicuramente benemerite e positive, non sono invece state accolte nel linguaggio della grande stampa con lo stesso rilievo, e per questo hanno finora avuto difficoltà a entrare nel linguaggio comune. Ci riferiamo ai Cav, Centri di aiuto alla vita, diffusi da decenni capillarmente sul territorio, e all’MpV, Movimento per la vita. Quest’ultimo, spesso e volentieri definito come il «cosiddetto» Movimento per la vita, perché il fatto che operi realmente e concretamente a favore della vita umana, in particolare dei più deboli come i nascituri, dà naturalmente fastidio ai paladini dell’ideologia abortista.
La manipolazione del linguaggio a fini ideologici e di controllo della popolazione ha almeno due riferimenti illustri. Il primo è il celeberrimo romanzo 1984 di George Orwell, in cui lo scrittore inglese, nella sua terrificante previsione della società futura ipotizza, nel 1949!, uno Stato totalitario in cui vige la Neolingua (Newspeak), da sostituire gradualmente a quella comune e corrente o Archeolingua.
Scopo della Neolingua è «soprattutto rendere impossibile ogni altra forma di pensiero». L’altro riferimento, meno noto ma forse ancor più efficace nel rappresentare ciò che sta accadendo, è un articolo scritto giusto cinquant’anni fa per il quotidiano Il Giorno da Italo Calvino, che conia il neologismo Antilingua, per indicare l’uso di parole inventate apposta per non dire quello che si ha paura di dire, o che non si vuol dire. Oggi siamo ben oltre. Impazzano espressioni come «salute sessuale e riproduttiva», un contenitore di significati nascosti che comprende tutto, dall’aborto alla contraccezione, dai rapporti precoci (purché «protetti») alla «scelta» (?!) delle proprie «preferenze» sessuali. Ma accade anche, ahimè, che una marcia per la «pace» si trasformi in incitamento all’odio, e che parole come «padre» o «madre» le si vogliono far scomparire dagli ordinamenti giuridici. Perché troppo ingombranti e fuori moda.

DA NON PERDERE
Pier Giorgio Liverani, La società multicaotica con il Dizionario dell’Antilingua, Edizioni Ares 2005.
Veronese trapiantato a Roma, laurea in Legge, oltre mezzo secolo di giornalismo militante per varie testate cattoliche, Pier Giorgio Liverani ha il pregio di scrivere cose scomode, oggi si potrebbe anche dire «politicamente non corrette», cioè sgradite alla mentalità dominante. E svolge questo prezioso lavoro di controinformazione a partire da quel pamphlet Aborto anno uno (Ares, due edizioni nel 1979 e 1981), che mise subito nero su bianco tutte le contraddizioni e le falsità dell’ideologia abortista e della legge 194. Liverani ora ci offre nuovi e stimolanti spunti di riflessione con La società multicaotica, che riprende e amplia il Dizionario dell’Antilingua (già pubblicato con successo nel 1993).
Il saggio indaga con acume e ricchezza di esempi la manipolazione del linguaggio, che ha come scopo la distruzione soft dei valori su cui si fonda la nostra società, a cominciare dalla tutela della vita sin dal momento del concepimento. Il testo è utile soprattutto per gli operatori della comunicazione e gli educatori.

IL TIMONE – N. 46 – ANNO VII – Settembre/Ottobre 2005 – pag. 16 – 17
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