Paolo IV Scelto dai cardinali riformatori più infuocati, Paolo IV sale al soglio di Pietro al motto: “È tempo che giudichi la casa del Signore”. Il tutto sulla scia del Concilio di Trento ancora in corso, ma che egli non convoca, preferendogli il proprio metro di giudizio e un’apposita congregazione che avrebbe dovuto funzionare “come un concilio, senza chiamarsi concilio”.
Resosi conto già da cardinale della pericolosità dell’eresia protestante, la combatte con energia e durezza, giudicandola nociva per l’autorità, la coesione e i fondamenti stessi della Chiesa.
Gian Pietro Carafa nasce il 28 giugno del 1476 all’interno del ramo cadetto della nobile famiglia dei Carafa. Entra nella curia romana alla Corte di Alessandro VI grazie alla mediazione dello zio cardinale, Oliviero Carafa. Nel 1504 riceve la nomina vescovile a capo della diocesi di Chieti. La carriera è brillante e ricca d’incarichi importanti: partecipa al V Concilio Lateranense del 1513 e l’anno successivo è nunzio presso la corte di Enrico VIII.
Ha una profonda preparazione culturale umanistica: conosce correttamente il latino, il greco e l’ebraico. Acquisisce fin da subito coscienza della necessità della riforma ecclesiastica che amalgami la rigenerazione spirituale con lo stimolo alla carità, risanando le istituzioni religiose anche attraverso la restaurazione di una scala gerarchica che rispetti e valorizzi i diversi gradi di responsabilità presenti nella Chiesa.
Dopo tre anni passati a capo della diocesi di Brindisi, prende parte alla commissione che nel 1520 compone la bolla Exsurge Domine per contrastare le 95 tesi di Lutero. Il 15 dicembre riceve la nomina di arcivescovo di Napoli.
È estremamente determinato e si distingue per austerità e vita ascetica, in un periodo in cui la scostumatezza e la mondanità sono apertamente accettate se non addirittura promosse. Papa Paolo III lo crea cardinale il 22 dicembre del 1536. Non muta il suo stile di vita ascetico e povero.
Il 23 maggio 1555, a 79 anni, è eletto Papa nonostante la profonda avversione nei suoi confronti del partito dei cardinali filo-imperiali; a tal proposito, il card. Carafa afferma che «l’imperatore non può impedire che se Dio vuole me come pontefice, io lo sia; così sarò più contento perché dovrò questa dignità a Dio soltanto». Anche da pontefice conserva una profonda umiltà, unita alla virtù della magnificenza: tenta di rifiutare la carica pontificia, ma una volta accettata celebra la sua incoronazione con uno sfarzo che da tempo non si vedeva.
Alto e magro, il suo aspetto nervoso ispira un senso d’imperiosa alterigia, quasi tirannica. Testa voluminosa con poca capigliatura, dal volto barbuto traspare severità e grande energia. Celebra la santa Messa ogni mattina. Cura che l’abbigliamento sia conforme alla liturgia, avendo grande considerazione dello splendore del culto e della dignità sacerdotale: secondo alcune testimonianze, mai avrebbe fatto qualcosa contraria alla dignità pontificia perché per lui sarebbe stato come offendere Dio. Osserva rigorosamente i precetti del digiuno e dell’astinenza, benché esiga che alla presenza di ospiti la tavola sia adeguatamente imbandita in sintonia al suo alto rango. Non ha nessun timore di affermare la dignità del Papa davanti ai potenti della terra, ricevendoli come suoi sudditi, e anche nelle relazioni diplomatiche agisce sulla base dei principi di superiorità del papato. Non accetta le condizioni della pace di Augusta conclusa nel 1555, che stabilisce il principio cuius regio eius religio secondo il quale i sudditi devono seguire ufficialmente la religione scelta dal proprio sovrano. Mal sopporta l’eccessiva tolleranza di Carlo V nei confronti dei protestanti, così come non approva l’elezione del re di Spagna Ferdinando I alla guida dell’Impero per non essere stato preventivamente consultato (e per questo s’incrineranno per sempre i rapporti tra il Papa e la Spagna).
Si scaglia con veemenza contro le eresie. Nel maggio del 1524, quando ancora è vescovo di Chieti, crea, insieme con il futuro San Gaetano, i “Teatini”, dal nome latino della città di Chieti (Theate), un Ordine religioso pensato come una milizia rigidamente organizzata e formata per proporre integralmente la fede cristiana. Caratteristica peculiare voluta da Carafa, primo abate della Congregazione dopo aver rinunciato a tutti i suoi benefici vescovili, è la diretta dipendenza dal pontefice. Saranno un modello per i nuovi Ordini fondati in seguito, compresi i Gesuiti.
L’attività dell’Inquisizione romana con a capo il card. Michele Ghislieri, futuro papa S. Pio V, s’intensifica divenendo il braccio esecutivo della riforma. Presto gli interventi sono indirizzati anche sull’osservanza dei giorni di astinenza quando previsti, contro la prostituzione e le bestemmie. Col titolo di commissari generali delega ai chierici, soprattutto Domenicani, esperti nella teologia e nel diritto, il compito di scovare e procedere contro tutti coloro, persino vescovi, arcivescovi e patriarchi, le cui opinioni sono sospette di eresia. In questo processo rientrano misure assai restrittive contro gli ebrei di Roma, ritenuti di simpatie protestanti, con la bolla Cum nimis absurdum del 14 luglio 1555. Gli ebrei sono relegati all’interno di ghetti e costretti a circolare nello Stato pontificio con segni distintivi: un cappello giallo per gli uomini e un velo sempre giallo per le donne. Nell’autunno dello stesso anno, Paolo IV intraprende una decisa campagna repressiva contro i marrani (gli ebrei convertiti al cattolicesimo più per convenienza che per reale conversione).
All’inizio del 1559 è emanato il primo Indice dei libri proibiti, per controllare la produzione e la circolazione della stampa che fa seguito a una prassi tradizionale e antica. Cambia il volto della città di Roma e anche all’interno della curia muta orientandolo il clima verso uno stile più rigoroso in linea con l’alta dignità della vita sacerdotale. È attento alla scelta dei cardinali più degni, e quando viene a sapere della condotta sconsiderata e immorale del proprio nipote Carlo Carafa su informazione di un frate teatino, lo caccia immediatamente. A fronte di tutto questo rigorismo e durezza nella riforma, alla sua morte, il 18 agosto 1559, il popolo reagisce duramente, distruggendo il palazzo dell’Inquisizione oltre a danneggiare la sua statua eretta sul Campidoglio e poi gettata in mare.
IL TIMONE N. 110 – ANNO XIV – Febbraio 2012 – pag. 54 – 55
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