Un primo, sommario bilancio del pontificato di Benedetto XVI.
Il cui compito – ha detto lui stesso – è quello di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo.
È passato un anno da quando, il pomeriggio del 19 aprile 2005, il decano del Sacro collegio cardinalizio, il settantottenne Joseph Ratzinger, si è affacciato dalla loggia centrale di San Pietro nelle nuove vesti di successore di Giovanni Paolo II.
Il pontificato di Karol Wojtyla, durato quasi ventissette anni, durante i quali sono avvenuti cambiamenti storici epocali (dalla caduta del Muro di Berlino all’attacco sferrato dal terrorismo fondamentalista contro gli Stati Uniti) ha lasciato un segno profondo nella Chiesa e il conclave chiamato a scegliere il suo successore si era aperto lunedì 18 aprile con non poche incognite. L’autorevolezza di Ratzinger – uno dei due unici cardinali conclavisti a non aver ricevuto la porpora da Wojtyla bensì da Paolo VI – era indiscussa, ma la maggior parte degli osservatori riteneva davvero improbabile la sua elezione per diversi fattori: innanzitutto l’età (tre anni in più dei canonici 75, la soglia delle dimissioni per i vescovi di tutto il mondo), la provenienza (Ratzinger come Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, in Curia da oltre vent’anni, veniva identificato con le scelte dottrinali di Giovanni Paolo II), il profilo di custode dell’ortodossia. Eppure era proprio a lui che guardavano molti cardinali, tanto da far sì che la sua elezione sia avvenuta in tempi di record, com’era avvenuto nell’ultimo secolo soltanto con Pio XII (1939) e Giovanni Paolo I (1978). Non ci sono state vere candidature alternative nel corso del breve conclave, se si esclude quella dell’argentino Jorge Mario Bergoglio, che ha ottenuto un significativo numero di voti: di fronte alla «valanga Ratzinger», però, molti dei suoi sostenitori (una quarantina alla terza votazione), hanno preferito confluire sul cardinal decano dando così spettacolo di unità al mondo e sconvolgendo tutte le previsioni circa la durata del conclave.
A un anno di distanza dal solenne inizio del pontificato di Benedetto XVI – che ha scelto questo nome per ricollegarsi alla figura del suo santo prediletto, «fondatore» dell’Europa, ma anche al Papa Benedetto XV che nel 1917 con solitario coraggio fece sentire la sua voce per invocare la pace definendo la guerra «un’inutile strage» – è possibile tracciare un primo bilancio. Un passaggio decisivo del primo discorso del nuovo Pontefice, pronunciato all’indomani dell’elezione nella Cappella Visitina, è quello nel quale Benedetto afferma: «Nell’intraprendere il suo ministero, il nuovo Papa sa che il suo compito è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo». Mentre due settimane dopo, in occasione della presa di possesso della cattedra papale in San Giovanni in Laterano (la basilica del vescovo di Roma), ha spiegato che «il Papa non deve proclamare la proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte a ogni opportunismo». Ecco il cuore del «programma» di Ratzinger: ricondurre tutto a Cristo, offrire alla verità che è la persona vivente di Gesù Cristo il primato, il centro dell’attenzione. Ripartire dall’annuncio di Cristo. Una «verità» che non consiste innanzitutto in un pacchetto di dogmi, in un insieme di riti, in un collage di norme morali, ma che è un avvenimento accaduto nella storia, che si è fatto incontro all’uomo.
Chi si aspettava che Benedetto XVI facesse il Papa apocalittico denunciando il malcostume dei tempi o si limitasse ad offrire astratte ma fermissime difese della verità, o ancora che sollevasse muri in difesa della cristianità minacciata, è stato deluso. Lo dimostrano gli stupendi discorsi pronunciati ai giovani di Colonia, che hanno saputo toccare il cuore di milioni di persone. Ciò che conta oggi, ciò che serve oggi, è ri-annunciare la bellezza del cristianesimo, la bellezza dell’esperienza cristiana come corrispondente alle attese del cuore.
Benedetto XVI è intenzionato a continuare nella scia del Vaticano II (il quale, ha mirabilmente spiegato, non è stato un evento di rottura con la tradizione e la lettura che propone questo è ideologica e non corrispondente ai testi conciliari) e ha riaffermato il diritto alla libertà religiosa (che non va però considerata come la «canonizzazione del relativismo»). Come ha messo in pratica, nelle prime mosse del suo pontificato, queste intenzioni originarie? Innanzitutto cercando di distogliere un po’ di attenzione dalla figura stessa del Papa, gesto molto apprezzato dai fratelli separati dell’ortodossia. È notorio quale e quanta fosse l’attenzione mediatica per Giovanni Paolo II e quanto la sua persona, dotata di qualità umane e comunicative eccezionali, sia stata esposta. Benedetto XVI, giunto sul Soglio di Pietro con vent’anni in più rispetto al predecessore, dopo aver trascorso buona parte della sua vita dedicandosi agli studi accademici, ha pensato di ridurre le sue apparizioni. La più significativa e sostanziale novità, adottata nelle prime settimane del pontificato, è stata la decisione di non presiedere più le cerimonie di beatificazione. In questo modo, Ratzinger è tornato alla prassi in vigore fino a Paolo VI, il Papa che per primo, all’inizio degli anni Settanta, presiedette una beatificazione. Con Giovanni Paolo II, questa era diventata un’abitudine.
Perché dunque il nuovo Papa ha stabilito di celebrare soltanto le canonizzazioni (che implicano l’infallibilità) e non le beatificazioni?
Innanzitutto per rendere più chiara, agli occhi dei fedeli, la distinzione tra le due cerimonie; poi, per coinvolgere di più le Chiese locali, con beatificazioni che vengono celebrate nelle diocesi originarie del nuovo beato (spesso si tratta di figure che hanno un forte legame con un territorio o con un particolare ordine, ma non sono universalmente conosciute); infine per ridurre le Messe pubbliche celebrate dal Pontefice. Anche le udienze private sono state drasticamente tagliate. Mentre cresce la folla di persone che vuole incontrare il Papa e il mercoledì Benedetto XVI è costretto a «raddoppiare» l’udienza passando prima in San Pietro a salutare i pellegrini per poi continuare nell’aula Paolo VI, sono stati invece ridotti gli incontri «privati». Papa Ratzinger vuole avere più tempo per decidere, per fare le sue scelte, per studiare i dossier delle nomine episcopali e desidera mettere a punto personalmente i suoi discorsi. Un’altra scelta interessante è stata quella di cambiare l’organizzatore dei viaggi papali, incarico che aveva il vescovo Renato Boccardo, attuale segretario del Governatorato vaticano, oggi passato ad un laico. Fedele all’insegnamento del Concilio sull’episcopato, il Papa non desidera che persone con tale dignità svolgano mansioni come quella di «tour operator».
Significative sono state inoltre alcune precise attenzioni alla liturgia: la nomina di un nuovo segretario della Congregazione del culto divino, più attento alle istante dei tradizionalisti; l’udienza concessa lo scorso agosto a monsignor Bernard Fellay, superiore della Fraternità San Pio X e la fattiva volontà del Papa di arrivare a una soluzione facendo rientrare il mini-scisma lefebvriano; la cura delle celebrazioni papali. Fondamentale è la decisione di promuovere l’adorazione eucaristica: Benedetto XVI ha voluto concludere con questo gesto la veglia della Gmg così come l’incontro con i bambini della prima comunione in Piazza San Pietro. Voler mettere al centro Cristo significa anche sfidare i pregiudizi dell’audience e cedere il posto di protagonista al vero Protagonista.
Da notare anche la decisione di nominare nunzio in Egitto il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, il vescovo inglese Michael Fitzgerald, senza nominare un successore: il Papa della «Dominus Iesus» non condivideva una certa impostazione del dialogo fra le religioni ed è probabile che la scelta preluda a un accorpamento di questo come di altri dicasteri della Curia romana. Una Curia che Benedetto XVI vorrebbe più snella. Non a caso, ha limitato a tre, vale a dire al minimo indispensabile, le porpore curiali nel suo primo concistoro per la creazione di nuovi cardinali.
Da sottolineare, infine, un passaggio importante del discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede dello scorso gennaio, nel quale il nuovo Papa ha messo in evidenza la radice nichilista di certo terrorismo la cui origine non può essere spiegata (né tantomeno giustificata) sulla base del disagio sociale in alcune aree del pianeta: «Il nichilismo e il fondamentalismo fanatico si rapportano in modo errato alla verità: i nichilisti negano l’esistenza di qualsiasi verità, i fondamentalisti accampano la pretesa di poterla imporre con la forza».
IL TIMONE – N. 52 – ANNO VIII – Aprile 2006 – pag. 10 – 11