«La Chiesa – ci diceva Benedetto XVI – non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, per testimonianza. E quando la gente, i popoli, vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno che dice il Profeta Zaccaria: “Vogliamo venire con voi!”». Con queste parole Papa Francesco, nell’omelia in Santa Marta in occasione del “Consiglio dei Cardinali” svoltosi nello scorso ottobre, ha voluto riaffermare la centralità della dimensione missionaria della Chiesa.
Non solo opere: anche l’annuncio
Ma missionarietà, per la dottrina della Chiesa e per Papa Bergoglio, non consiste solo nel compiere opere, attività, azioni, ecc. che incarnano, esprimono e realizzano in modo eminente la bontà: consiste anche nell’annuncio, lo richiede necessariamente. Quando il Papa dice che l’evangelizzazione non è “proselitismo”, impiega questo termine nel significato usato dal Magistero recente, dove esso designa forme di costrizione, di ricatto, di baratto («se ti converti io in cambio ti do…»), tipiche soprattutto di certe sette. L’evangelizzazione richiede anche la proclamazione della verità cristiana al mondo e per questo Papa Bergoglio ha scritto chiaramente (nel paragrafo 10 della Evangelii gaudium del 24 novembre): «l’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato ». Come si legge nitidamente (sempre in questo paragrafo), la proclamazione non è una opzione, bensì un dovere: «i cristiani hanno il dovere di annunciarlo [il vangelo] senza escludere nessuno». E, ancora: «non vi può essere vera evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore» (ibi, 110).
È un comando di Cristo
Del resto, il mandato missionario affidato alla Chiesa è un aspetto essenziale del cristianesimo perché non ha origine da una decisione che può essere cambiata, ma si fonda su un comando diretto di Gesù Risorto, che invia i suoi discepoli a predicare il Vangelo in ogni tempo e in ogni luogo, per diffondere la fede in Lui in ogni angolo della terra: «Andate dunque e fate fedeli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato » (Mt, 28,19-20).
Il Pontefice considera il richiamo alla missionarietà una priorità per la Chiesa di oggi, ponendosi così in una linea ideale di continuità con Benedetto XVI. Proprio dalle parole di Benedetto XVI sulla missione prende le mosse anche l’Introduzione dell’Evangelii gaudium: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus caritas est, 1).
La sorgente della missione
Proprio dall’esperienza di quest’incontro decisivo – che si colloca al cuore stesso del Vangelo e che possiede una consistenza reale perché radicato nell’incorporazione battesimale in Cristo – si sviluppa un dinamismo in cui, a Dio che si rivolge all’uomo con amore di Padre, risponde l’uomo che si volge a Dio col centro stesso della sua esistenza. Lì, dice Papa Francesco, «sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?» (Evangelii gaudium,8).
Già in occasione del messaggio per la giornata missionaria mondiale 2013, Papa Francesco aveva ricordato che spesso l’opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all’esterno, ma anche all’interno della stessa comunità ecclesiale. A volte, infatti, anche nella Chiesa c’è chi pensa che portare la verità del Vangelo «sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: “Sarebbe […] un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma – così ha continuato Bergoglio facendo sue le parole di Paolo VI – proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà […] è un omaggio a questa libertà» (Evangelii nuntiandi, 80).
Non solo dunque l’annuncio della salvezza, ma anche l’insegnamento della verità trasmessa da Cristo sulla dignità della persona, e il conseguente atteggiamento verso la famiglia, la contraccezione, l’aborto e l’omosessualità, è un omaggio alla libertà umana.
Il cristiano, infatti, testimonia di essere stato salvato, cioè liberato dal male, grazie all’incontro con Dio e propone al suo prossimo un modo giusto e buono di vivere gli affetti, il lavoro, la cittadinanza, in una parola tutte le dimensioni dell’esistenza umana, vivendo ogni esperienza in unione con Cristo.
Si potrebbe obiettare che questa proposta non può essere accolta nelle sue premesse – l’esistenza di un Dio implicato nella storia e l’efficacia dell’incontro con lui – da chi non ha fede. Ebbene, qui s’inserisce la dimensione “culturale” della missione cristiana, ovvero lo sforzo di rendere ragione della propria fede e delle sue conseguenze.
Il compito dei laici
Alcune dimensioni della traduzione della fede in cultura appartengono specificamente al laicato. I laici, infatti, hanno un’indole propria, distinta da quella di sacerdoti e religiosi, in relazione alla missione affidata da Cristo alla Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha individuato l’indole propria del laico nel «carattere secolare»; ai laici spetta «di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e Redentore» (Lumen Gentium, 31).
Dopo il Concilio, l’Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di Paolo VI ha precisato i contenuti della missione dei laici, aiutando a comprenderne la specificità: «Il campo proprio della loro [dei laici] attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza» (Evangelii Nuntiandi, 70).
L’esortazione apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II, dopo aver ricordato che i fedeli laici partecipano alla triplice missione di Cristo Sacerdote, Profeta e Re, ribadisce che la loro missione consiste soprattutto nell’esercizio della regalità di Cristo, e si attua ordinando il creato al vero bene dell’uomo: «L’indole secolare del fedele laico non è quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma soprattutto in senso teologico. La caratteristica secolare va intesa alla luce dell’atto creativo e redentivo di Dio, che ha affidato il mondo agli uomini e alle donne, perché essi partecipino all’opera della creazione, liberino la creazione stessa dall’influsso del peccato e santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali» (Christifideles laici, 39).
L’insegnamento della Chiesa indica dunque con chiarezza le coordinate della missione del laico: egli deve illuminare le realtà terrene, cioè esprimere e rispettare la loro verità alla luce del progetto divino; deve inoltre ordinare a Dio le realtà terrene, cioè liberarle dalla corruzione morale realizzandole nella loro verità.
Necessità della elaborazione culturale
L’unica possibilità di svolgere questo compito in una società non solo pluralista, ma sempre più spesso aggressivamente relativista, consiste in una presenza autorevole e competente capace di tradurre, con l’argomentazione ragionevole, la fede in cultura promuovendo programmi e istituzioni politiche, sociali, professionali, che rendano comprensibile e condivisibile, in linea teorica da tutti, la verità sull’uomo e su Dio.
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«Guai a me se non predicassi il Vangelo».
(San Paolo, 1 Cor 9,16).
IL TIMONE – Aprile 2014 (pag. 32-33)
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