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11.12.2024

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Parla la storia
31 Gennaio 2014

Parla la storia

 

 

Il culto mariano è contestato dalla variegata famiglia protestante e dai Testimoni di Geova. Per loro, è una invenzione della Chiesa. Ma la storia li smentisce clamorosamente

 

Come si comportavano i primi cristiani dinanzi al ricordo della beata Vergine Maria? La pregavano? La veneravano? Le prestavano un culto, come oggi è ancora in vigore nella Chiesa cattolica e nella cristianità orientale? O, al contrario, elevando a Maria lodi e preghiere, la Chiesa commetterebbe un abuso, un grave errore dottrinale, una palese alterazione della verità del Vangelo, come sostiene la teologia delle variegate comunità protestanti o il credo dei Testimoni di Geova?
A queste domande non risponde solo la fede, ma anche la storia. E quando nell’orizzonte della storia non erano ancora comparse le variegate famiglie della composita comunità dei “protestanti”, è indubbio che la Chiesa pregasse la Madre di Dio. Il culto a Maria, che la dottrina cattolica qualifica come “iperdulia”, significando con ciò il prestare alla Vergine un onore speciale, superiore a quello dovuto ai santi, affonda le sue radici certamente e in primo luogo nella verità rivelata, ma trova conferma e tracce numerose fin dai primissimi tempi della vita della Chiesa. Ne esamineremo solo alcune.

«Sub tuum presidium…»

La più antica preghiera rivolta a Maria di cui abbiamo traccia, Sub tuum praesidium («Sotto la tua protezione…»), è stata trovata ad Alessandria d’Egitto in un papiro egiziano, copto, acquistato nel 1917 dalla John Rylands Library di Manchester e pubblicato per la prima volta nel 1938. Secondo gli studiosi, risale addirittura agli inizi del III secolo, dunque ad epoca antichissima. Si tratta di una vera a propria invocazione, una richiesta di intercessione rivolta dai primi cristiani alla Vergine Maria: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta».
È una testimonianza preziosissima, risalente ad un tempo di molto anteriore a quel Concilio di Efeso (431) che riconoscerà a Maria il titolo di “Madre di Dio”. Ben prima che Protestanti e Testimoni di Geova vedessero la luce, i cristiani pregavano teneramente, con devozione, la Madre di Dio, invocandola e chiedendo la sua intercessione nei momenti del bisogno e del pericolo. Se dunque noi cattolici oggi ci rivolgiamo a Maria pregandola, altro non facciamo che imitare ciò che hanno sempre fatto i cristiani, dalle origini e fino ai nostri giorni.

Tracce nelle catacombe
Come è noto, la dottrina della Chiesa cattolica invita non solo a pregare ma anche ad imitare le virtù di Maria. Questo culto trova fondamento nella specialissima e singolare santità della Madre di Dio, che l’angelo, annunciandole il mistero dell’Incarnazione, ha chiamato «Piena di Grazia » (Lc 1,28).
Noi cattolici siamo confortati riguardo la bontà e la correttezza di questo culto non solo dalle parole del Vangelo, ma anche dalla storia dei primi cristiani. Nelle catacombe di Priscilla, a Roma, dove si radunavano segretamente i primi cristiani, si trova una rappresentazione che risale addirittura al III secolo. In essa è possibile osservare la figura di un vescovo che, mentre si accinge ad imporre il sacro velo ad una vergine cristiana, le indica come modello Maria Santissima, che è lì dipinta col bambino Gesù in braccio.
La storia ci offre così una ulteriore dimostrazione del fatto che i primi cristiani vedevano nella Vergine Maria un modello da imitare, un esempio da seguire, additato in modo particolare a coloro che sceglievano la verginità consacrata come stile di vita al servizio di Dio e della Chiesa.
Nel medesimo sito, in queste catacombe sulla via Salaria, è facile osservare un epitaffio (una iscrizione che generalmente si poneva sulla tomba) posto davanti al loculo di un defunto di nome Vericundus. Il nome è tracciato su due tegole unite tra loro, che chiudono il loculo. Ora, fra queste due tegole, sulla calce che le unisce, spicca, dipinta molto probabilmente dalla stessa mano che tracciò il nome del defunto, una “M” che, secondo la grande e compianta studiosa Margherita Guarducci, rappresenta Maria.
Qual è il significato di questo documento storico? Questo: il nome di Maria veniva inserito nel nome di Vericundus per augurare al defunto la protezione della beata Vergine nel mondo ultraterreno, nell’al di là. Se si tien conto del fatto che questo epitaffio risale al II secolo, abbiamo di nuovo una prova che fin dai tempi della Chiesa antica i cristiani tenevano Maria in speciale considerazione, invocando la sua intercessione per le sorti delle anime dei defunti, e dunque, così facendo, la pregavano.

Efeso
Il Concilio di Efeso dell’anno 431 segna una tappa importante nella storia del culto mariano. È il Concilio nel quale la Chiesa proclama solennemente Maria come “Madre di Dio”. Per una certa vulgata protestante, e per certa pubblicistica diffusa dai Testimoni di Geova, inizierebbe da questo evento il culto mariano, che la Chiesa si sarebbe inventata dopo 400 anni dalla morte di Cristo. Un culto che, stando ad uno dei più dotti teologi protestanti del secolo scorso, Karl Barth, altro non sarebbe se non un «cancro del cattolicesimo che occorrerebbe estirpare».
Eppure, basterebbe ricordare che il Concilio di Efeso si tenne in un edificio dedicato a Maria, per dimostrare – se ancora ce ne fosse bisogno – che ben prima di quella assise il culto a Maria era praticato nella Chiesa.

Muro “G”
A Roma, sotto l’altare della confessione nella Basilica di san Pietro, nel cosiddetto “muro G”, che conteneva le ossa dell’apostolo Pietro identificate da Margherita Guarducci, sono state trovate incise diverse scritte, databili all’inizio del IV secolo, dunque antichissime.
Tra questi graffiti, molti incisi per impetrare ai cristiani defunti la felicità del Paradiso, si trova diverse volte una acclamazione di vittoria di Cristo, di sua Madre Maria e dell’apostolo Pietro.
Vi è anche un graffito in cui il nome di Maria appare per intero e non abbreviato, come si usava fare in antichità. Ciò sta ad indicare che i cristiani dei primi secoli erano usi associare alla vittoria di Cristo quella di Maria e del principe degli apostoli.
Quando la Chiesa oggi attribuisce a Maria la vittoria sul demonio, non solo annuncia una verità fondata sulla Rivelazione, ma rinnova e continua nel tempo ciò che i primi cristiani hanno fatto e creduto e che è testimoniato da tali preziosissimi documenti storici.

Le feste
A dimostrazione del fatto che il culto di Maria è antichissimo nella Chiesa, si può ricordare come, assai prima del Concilio di Efeso, siano state istituite varie feste in onore di Maria a Betlemme, Gerusalemme e a Nazareth.
Mentre è certo che una solennità mariana esistesse a Costantinopoli prima del Concilio di Efeso, sembra doversi considerare autentico un discorso di san Proclo, patriarca di Costantinopoli nell’anno 429, nel quale si fa cenno evidente ad una solennità della Vergine Maria. Dunque, prima del Concilio di Efeso, Maria veniva festeggiata anche liturgicamente.
Troviamo, inoltre, preghiere bellissime rivolte a Maria di Atanasio, san Giovanni Crisostomo, sant’Ambrogio, san Gerolamo e di sant’Agostino. Come è facile osservare, la madre di Dio era venerata, a Lei si rivolgevano i cristiani fin dall’antichità, realizzando quella straordinaria profezia annunciata da Maria e ricordata dal vangelo di san Luca: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente».

Nazareth
Tracce straordinariamente antiche del culto mariano troviamo anche a Nazareth, nel luogo dove l’angelo Gabriele rivolse a Maria il famoso saluto: «Ave piena di Grazia». In questo sito così significativo per i cristiani, dove oggi sorge la Basilica dell’Annunciazione, si trovano prove indubitabili del fatto che i cristiani pregavano la Vergine Maria.
In una colonna antichissima, databile probabilmente al II, massimo al III secolo, è p o s t a un’iscrizione in lingua greca, scritta da una pellegrina che, in ginocchio (così scrive), «sotto il luogo sacro di Maria », ha lasciato inciso il proprio nome e quello dei suoi cari, per affidarli alla Madonna.
A Nazareth, dunque, fin da tempi remoti, i cristiani affidavano alla protezione di Maria se stessi e i propri cari. In quella iscrizione, oltretutto, la pellegrina annuncia di avere eseguito i riti e le preghiere prescritte, o di avere ornato religiosamente l’immagine di Maria (il testo greco autorizza l’una e l’altra interpretazione).
Non solo. Contemporaneamente alla scoperta di questa iscrizione, ne veniva trovata un’altra, sempre del II, massimo del III secolo, che porta la testimonianza sicura del culto che i primi cristiani prestavano a Maria. In questa iscrizione si può leggere benissimo il saluto angelico: «Ave Maria».
Possiamo immaginare la gioia del famoso Padre Bellarmino Bagatti (1905-1990) e del suo gruppo di ricercatori quando hanno trovato questa incisione, alla base di una colonna: erano di fronte alla preghiera mariana della Chiesa primitiva, alle tracce dell’Ave Maria, alla preghiera che i cristiani recitavano fin dal secondo, terzo secolo, e proprio nel luogo dell’Annunciazione.

Conclusione
La storia, con i documenti che ci ha tramandato, le prove e le testimonianze che ci ha offerto, sembra confermare indubitabilmente che quando la Chiesa, ancora oggi, venera Maria, pregandola, chiedendole aiuto e supplicando la sua intercessione presso Dio, altro non fa che ripetere ciò che hanno sempre fatto tutti i cristiani, fin dalle origini e fino ai nostri giorni.
Un dato – questo offertoci dalla storia – in totale sintonia con una verità fondamentale della fede cattolica, e che incoraggia ciascuno di noi a perseverare nella filiale devozione alla Madre di Dio.
 

 

 

 

 

 

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IL TIMONE  N. 103 – ANNO XIII – Maggio 2011 – pag. 39 – 41

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