La Chiesa è spesso accusata di interferire nella vita dello Stato. Ma ha il dovere di parlare. Lo esige il vero bene dell’uomo.
La vita sociale, i rapporti fra gli uomini, le nazioni, i popoli, sono stati negli ultimi secoli luogo di un impegno straordinario e terribile. Il luogo della grande illusione.
L’illusione che la vita sociale e la sua organizzazione fossero il problema e l’impegno definitivo dell’uomo e della storia.
Così, la creazione della società e dello Stato perfetti, pensati con rigore filosofico e scientifico e governati con sofisticazione tecnologica, sono stati proposti ed imposti agli uomini come la totalità dei valori umani e storici.
È stato questo il totalitarismo, la creazione di strutture statuali e sociali in cui l’uomo, dominato da un potere totalizzante, ha perduto la sua libertà, la sua dignità, i suoi diritti fondamentali, la sua responsabilità etica e sociale.
La vita sociale è divenuta, secondo l’intuizione del grande letterato russo Vasilij Grossman (1905-1964), un “immenso campo di concentramento”.
E questa è stata la grande delusione della modernità. La Chiesa non ha potuto non giudicare questa illusione e questa delusione. I papi del XIX e XX secolo hanno scritto pagine straordinarie di “dottrina sociale”, perché l’uomo potesse superare criticamente quella illusione e, in qualche modo, liberarsi da quella tremenda delusione.
La Chiesa interviene nei problemi della vita sociale, perché essi riguardano l’uomo e il suo destino.
L’uomo non è definito dalla struttura e dai rapporti sociali; l’uomo è definito dal rapporto costitutivo che ha con Dio. L’uomo è figlio di Dio; le sue radici affondano strutturalmente nel mistero stesso dell’Essere. «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza».
Ma l’uomo, figlio di Dio, vive nella società, ne riceve tutte le sfide e tutte le provocazioni. È costretto a dimostrare, nella società, la verità della sua vita e del suo destino. È nella società che si vede se l’uomo vive nella verità o nella menzogna.
La Chiesa indica all’uomo i criteri di giudizio sulla vita personale e sociale. L’uomo nella società non deve accrescere il proprio potere o consolidare il proprio benessere “ad ogni costo”. L’uomo deve investire liberamente la vita della società con la sua cultura e la sua creatività sociale, in modo da favorire il bene di ogni persona, quindi, dell’intera società.
È questo il valore sociale supremo, quello che la dottrina sociale della Chiesa ha favorito con il termine “bene comune”.
La grande sfida che la Chiesa ed i cristiani ricevono all’inizio di questo terzo millennio è la sfida sull’uomo, sul suo destino, sulla sua libertà, sulla sua dignità. La fede offre all’uomo l’aiuto più consistente a recuperare il senso della sua identità e del suo compito.
La Chiesa serve la verità nell’uomo, serve la sua moralità e promuove con tenacia e con tenerezza la sua libertà. Come ha detto Benedetto XVI, «noi lavoriamo per l’uomo».
Ma il cristiano deve essere educato a compiere questo percorso dalla fede alla creatività sociale. Perché il cristiano, come tutti, è tentato dall’ideologia, dall’egoismo e dall’autoreferenzialità. Per questo la Chiesa da madre diventa maestra.
Per questo l’autorità ha non soltanto il diritto ma anche il dovere di parlare della vita sociale e della politica e di educare i cristiani, ed ogni uomo di buona volontà, a vivere per la verità, il bene, la bellezza e la giustizia che si ritrovano nel volto di Cristo crocifisso e risorto, “Redentore dell’uomo, centro del cosmo e della storia”.
IL TIMONE – N. 46 – ANNO VII – Settembre/Ottobre 2005 – pag. 47