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11.12.2024

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Pasqua, irresistibile forza di novità
2 Aprile 2014

Pasqua, irresistibile forza di novità

Una riflessione del Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, sul mistero della Pasqua e la sua attualità. Vincendo la morte, Cristo ci dà certezza della nostra personale risurrezione nella carne

«La necessità di vivere… non è forse più forte della necessità di morire?», scriveva l’Arcivescovo Karol WojtyÅ‚a, nella poesia Veglia pasquale del 1966.
Nel cuore di ogni uomo, a tutte le latitudini, alberga l’esigenza innegabile ed incoercibile di durare per sempre, insieme a quella di essere definitivamente amato. Il desiderio di bene definitivo con cui ogni madre e ogni padre guardano al loro bambino, infatti, è radicato nella certezza dell’amore. «Ama chi dice all’altro: “Tu non puoi morire”» (Gabriel Marcel).
Eppure, noi conosciamo fin troppo chiaramente nella nostra stessa carne oltre che nella vita del mondo la potenza distruttiva del peccato, del male e della morte. Non è forse l’angoscia della morte che accompagna, come un sordo rumore di fondo, ogni istante della nostra esistenza? Se così non fosse non saremmo testimoni dello spasmodico tentativo da parte dell’odierna cultura di rimuovere la morte. Non possiamo negarlo: la morte è veramente il caso serio della vita. Lo è per noi e lo fu per Gesù. Il suo attacco è talmente violento da arrivare a fare dello stesso Figlio di Dio, divenuto uomo, la propria vittima.
Il nostro desiderio più radicale si scontra con la nostra drammatica impotenza a realizzarlo. Neanche i prodigi della tecno-scienza, di cui giustamente l’uomo post-moderno inoltrato nel terzo millennio va fiero, riescono a guarirlo da questa impotenza contro il male. «Male Maiuscolo – scrive Domenico Quirico – perché si tratta di quel male inflessibile e senza rimedio che è mistero e stupore, che è incomprensibile e cieco dolore, ineffabile vergogna. Un male che non si colloca in un lontano passato, ma che è da sempre, e per sempre».
Il Figlio di Dio è venuto nella nostra carne per salvarci, cioè perché il nostro desiderio costitutivo possa compiersi definitivamente, perché ci sia una vita veramente per sempre. Per amore si è consegnato liberamente alla morte, Innocente crocifisso, per salvarci dalla morte ed è risorto. Come scrive Sant’Ambrogio: «Che cosa potrebbe essere più sublime? La colpa cerca il perdono, l’amore scioglie il timore, la morte restituisce una vita nuova » (Sant’Ambrogio, Inno di Pasqua).
In questi giorni, dopo la sembianza di morte dell’inverno, la linfa della vita riprende a scorrere nei rami inerti e spogli che si ricoprono di gemme. È solo una pallida analogia con la novità di vita portata dalla resurrezione del Signore. Dal mattino di Pasqua un’irresistibile forza di novità buca la scorza dura e rugosa, apparentemente inerte, del vecchio legno della nostra umanità. Gesù risorge nel Suo vero corpo, segnato dalle Sue piaghe gloriose, e appare ai Suoi. Si fa toccare, mangia con loro. Anzitutto è questa la consistente caparra che ci dà certezza della nostra personale risurrezione nella carne. In Gesù si sono avverate le parole con cui Lui stesso ha voluto svelare il mistero del Suo sacrificio per noi: «Gesù rispose loro: È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,23-25). Il Signore Risorto è il grano che, caduto in terra, ha dato molto frutto: il popolo dei redenti, la Santa Chiesa.
Ma, come leggiamo negli Atti degli apostoli, «Dio volle che Cristo apparisse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti » (cfr At 10,40-41). Questo metodo è veramente divino. Niente, infatti, quanto il divino sa esaltare l’umano. Dio sceglie di passare attraverso la nostra libertà. Continuamente, ma con discrezione, Egli bussa alla nostra porta e, se noi gli apriamo, ci rende progressivamente capaci di “vedere”. La testimonianza, infatti, non è riducibile al pur necessario buon esempio. Si è testimoni, ha insegnato Benedetto XVI, quando «attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale » (Sacramentum caritatis 25).
Il Risorto è il Vivente che fa fiorire i germogli di una vita nuova nell’oggi della storia. Ne cito tre che mi sembrano decisivi. Anzitutto, da quel mattino l’uomo sa di non essere più definito dal proprio peccato perché riconosce di appartenere ad un Padre che, se l’uomo lo vuole veramente, recupera ogni cosa. Sa di essere amato senza condizioni. Questo dà unità e consistenza al suo io. In secondo luogo, l’uomo e la donna, così liberati, scoprono il fascino del vincolo fedele, pubblico ed indissolubile del matrimonio aperto alla vita. Infine a tutte le relazioni umane – dalla famiglia al quartiere, dalla parrocchia alla fabbrica o alla scuola, fino ad arrivare alle forme più articolate della vita sociale – è restituita la naturale capacità di essere il grembo in cui la persona viene generata e prende consistenza. La comunione diventa così principio di organizzazione materiale dell’esistenza.
Tutta la civiltà occidentale di cui siamo figli sarebbe impensabile fuori dalla novità di vita introdotta dal Risorto nella storia. Fatte le dovute distinzioni, lo stesso ordine della società civile ne è stato trasformato. Basti qui un solo esempio. Se nelle civiltà antiche l’uomo era soggetto di diritti solo in quanto gli venivano riconosciuti dal potere costituito, in quelle fiorite dalle radici cristiane tutti gli uomini e le donne possiedono originariamente ed in proprio la dignità di persona. Nessuno gliela deve dare. La dignità di ogni singolo e la fratellanza tra uomini e popoli di ogni etnia, cultura e religione è stabilmente garantita da Dio, Padre di tutti. Questo urge i cristiani a perseguire indomabilmente, insieme ai loro fratelli uomini, quell’ordine della pace fondato sui celebri quattro pilastri della verità, della giustizia, della libertà e dell’amore mirabilmente descritti da Giovanni XXIII nella Pacem in terris.

IL TIMONE – Aprile  2014 (pag. 14 – 15) 

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