Le direttive della Conferenza episcopale per gli abusi sessuali sui minori compiuti da chierici. Uno scandalo che colpisce l’attendibilità e la missione della Chiesa. I vescovi vogliono luce e trasparenza. Come chiede il Papa
«Il vescovo proprio in forza di quanto stabilito dalle linee vaticane, è tenuto a intervenire non appena ha notizia di un abuso, anche se c’è solo un “fumus”, questo in vista di misure preventive da prendere». È quanto ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, presentando le linee guida contro la pedofilia al termine dell’assemblea generale della Cei che si è tenuta in Vaticano lo scorso maggio. L’attenzione mediatica sulle direttive, più che per ciò che dicono, è stata attratta per ciò che non dicono. E cioè non dicono che il vescovo abbia l’obbligo di denunciare un sospetto prete pedofilo alla polizia. Vale la pena di ricordare che le direttive della Cei, «Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici», frutto di un lungo lavoro, arrivano a distanza di un anno dalla Lettera circolare con cui la Congregazione per la Dottrina della Fede dava alcuni indirizzi alle Conferenze episcopali. Le direttive vaticane, messe a punto dopo l’inasprimento delle pene e alcuni cambiamenti significativi alle norme canoniche per permettere interventi e processi più rapidi, consigliavano gli episcopati, per quanto riguarda la denuncia del sospetto alle autorità civili, di attenersi alle diverse legislazioni vigenti. In quei Paesi dove esiste l’obbligo per chiunque di denunciare un presunto pedofilo alla polizia, quest’obbligo andava inserito anche nelle linee guida della Conferenza episcopale. Nei Paesi invece – ed è il caso dell’Italia – dove quest’obbligo non esisteva, i vescovi non erano tenuti a inserirlo nelle direttive antipedofilia. In Italia infatti l’obbligo è previsto soltanto per i pubblici ufficiali, e il vescovo non rientra in questa categoria.
Ci sono stati Paesi, come l’Irlanda, nei quali i vescovi hanno ritenuto di sancire comunque l’obbligo di denuncia, nonostante le norme civili non lo prevedano: in quel caso è però comprensibile, viste le dimensioni dello scandalo che ha messo in ginocchio l’intera Chiesa irlandese, mostrando in particolare gravi mancanze da parte dei vescovi nel governo delle loro diocesi.
Il problema della denuncia del presunto pedofilo
La scelta della Cei è dunque innanzitutto in linea con le direttive della Santa Sede. Inoltre va detto che il mancato inserimento dell’obbligo di denuncia non significa affatto proibizione a denunciare. Solitamente, la linea seguita anche dal Vaticano è infatti quella di invitare le vittime a sporgere denuncia contro il sacerdote che si è macchiato di questo crimine gravissimo, che grida vendetta al cospetto di Dio e che rischia di «uccidere l’anima» di un bambino, come ebbe a dire un anno fa il Promotore di Giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede, Charles J. Scicluna, il prelato che l’allora cardinale Ratzinger dieci anni orsono volle mettere a capo della task- force chiamata ad occuparsi di questi tristissimi casi.
I contenuti del documento
Compresa dunque la ragione del mancato inserimento dell’obbligo di denuncia, dopo aver parlato di ciò che non c’è, bisogna soffermarsi finalmente su ciò che le linee guida contengono. Nella premessa si afferma che «assume importanza fondamentale anzitutto la protezione dei minori, la premura verso le vittime degli abusi e la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi». Protezione dei minori, attenzione alle vittime e formazione: sono i tre capitoli più dolorosi che riguardano il modo con cui questi casi sono stati affrontati in passato.
La protezione dei minori
In primo luogo, la protezione: troppe volte – lo attestano dolorosi e clamorosi casi di cronaca – i vescovi, di fronte a segnalazioni e sospetti, si sono limitati semplicemente a spostare il prete in questione da una parrocchia all’altra, mettendolo nuovamente a contatto con i minori e dunque offrendogli di fatto nuove possibilità di commettere i suoi crimini.
L’attenzione alle vittime
Il secondo punto è frutto soprattutto dell’esempio di Benedetto XVI, che oltre alle norme e più delle norme ha chiesto alla Chiesa un profondo cambiamento di mentalità nell’affronto di questi casi, a partire proprio dall’attenzione dovuta alle vittime. Queste ultime per troppo tempo sono state allontanate, considerate come nemiche del buon nome della Chiesa, invece di essere accolte, sostenute, accompagnate in un cammino di lenta riparazione del danno inestimabile subito, che le segnerà per il resto della vita. «Il vescovo che riceve la denuncia di un abuso deve essere sempre disponibile ad ascoltare la vittima e i suoi familiari, assicurando ogni cura nel trattare il caso secondo giustizia e impegnandosi a offrire sostegno spirituale e psicologico, nel rispetto della libertà della vittima di intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà più opportune».
La formazione nei seminari
Il terzo punto è altrettanto evidente: è necessaria più attenzione nei seminari, nella formazione dei nuovi sacerdoti, che devono essere persone affettivamente mature, osservando anche «una rigorosa attenzione allo scambio d’informazioni in merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all’altro, tra diocesi diverse o tra Istituti religiosi e diocesi».
Il ruolo del vescovo
Non appena avuta notizia di un possibile abuso, il vescovo «deve procedere immediatamente a un’accurata ponderazione circa la verosimiglianza di tali notizie. Occorre evitare di dar seguito a informazioni palesemente pretestuose ovvero diffamatorie, o comunque prive di qualsiasi riscontro probatorio plausibile». Durante questa fase, «spetta al prudente discernimento del vescovo la scelta di informare o meno il chierico delle accuse e di adottare eventuali provvedimenti nei suoi confronti affinché si eviti il rischio che i fatti delittuosi ipotizzati si ripetano, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria ». Se l’indagine previa apparisse superflua perché già sussistono elementi a carico, il vescovo può deferire il chierico direttamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Nel caso invece sia esclusa la verosimiglianza, il vescovo dovrà comunque conservare nel suo archivio segreto «una documentazione idonea a consentirgli di attestare, ove risultasse necessario, l’attività svolta e i motivi della decisione».
Riportando le direttive vaticane, la Cei ricorda: «In realtà, al vescovo locale è sempre conferito il potere di tutelare i bambini limitando le attività di qualsiasi sacerdote nella sua diocesi. Questo rientra nella sua autorità ordinaria, che egli è sollecitato a esercitare in qualsiasi misura necessaria per garantire che i bambini non ricevano danno, e questo potere può essere esercitato a discrezione del vescovo prima, durante e dopo qualsiasi procedimento canonico».
Durante l’indagine previa il vescovo «dovrà adottare, ove lo ritenga necessario affinché si eviti il rischio che i fatti delittuosi si ripetano, provvedimenti nei confronti del chierico accusato, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria. A tal fine, il semplice trasferimento del chierico risulta generalmente inadeguato, ove non comporti anche una sostanziale modifica del tipo di incarico».
Le norme Cei ricordano che per i delitti «di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza» il Codice italiano «prevede di regola l’applicazione della custodia cautelare in carcere, “salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”».
Le pene canoniche
Al chierico accusato sarà garantito «in modo pieno l’esercizio del diritto fondamentale alla difesa». Le misure canoniche applicate nei confronti di un chierico riconosciuto colpevole sono di due tipi: «1) misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori. Tali misure possono essere accompagnate da un precetto penale; 2) pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è la dimissione dallo stato clericale ».
Nel caso in cui per gli abusi abbiano già portato all’apertura di un procedimento penale secondo le leggi dello Stato, «risulterà importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile». Dunque si invitano i pastori a collaborare con le autorità civili anche se si ricorda che essi «sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero». L’archivio segreto del vescovo rimane comunque inviolabile, a norma del Codice di diritto canonico.
IL TIMONE N. 115 – ANNO XIV – Luglio/Agosto 2012 – pag. 50 – 51
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