Abolire la pena capitale e legalizzare l’uccisione dei nascituri: è la clamorosa contraddizione della società moderna. Ecco perché l’aborto legale è molto più grave della condanna a morte. Parola della Chiesa.
La pena di morte e l'aborto procurato sono la stessa cosa? È una domanda resa quanto mai attuale dagli eventi degli ultimi mesi, che hanno coinvolto l'Italia e il mondo intero:
la decisione assunta il 18 dicembre 2007 dalla maggioranza delle nazioni che siedono all'Onu, che hanno votato la "moratoria per la pena capitale". E poi, la decisione provocatoria del direttore del Foglio Giuliano Ferrara, che ha lanciato una "moratoria per l'aborto", che tante adesioni e speranze ha suscitato nello stesso mondo cattolico.
Tre possibilità
Di fronte ai temi della pena di morte e dell'aborto volontario si possono assumere sostanzialmente tre atteggiamenti, tre giudizi di valore, che di seguito analizziamo brevemente:
a. la pena di morte è sempre ingiusta, e non ha nulla a che vedere con l'aborto, che è un diritto civile della donna;
b. la pena di morte è sempre ingiusta, e analogamente anche l'aborto procurato è ingiusto e da condannare;
c. la pena di morte non è sempre ingiusta, e in sé stessa riguarda una situazione radicalmente diversa dall'aborto procurato, che invece è sempre ingiustificabile.
La prima affermazione è la più diffusa nella società italiana contemporanea, e associa un giudizio di assoluta condanna alla pena capitale – che non è mai giustificabile – a un atteggiamento di apertura, quando non addirittura di sostegno, al diritto della donna di sopprimere il proprio figlio. Questa tesi è totalmente sbagliata perché: giudica la pena di morte un male in sé; giudica l'aborto un atto lecito in sé; difende il diritto alla vita di un uomo colpevole e non difende il diritto alla vita di un uomo innocente. D'altra parte, fotografa bene il capovolgimento del senso comune che dominava precedentemente: e cioè, accettazione della pena di morte come legittima reazione dello Stato di fronte alla commissione di certi crimini; e repulsione senza eccezioni di fronte all'idea che un innocente potesse essere ucciso prima della nascita.
La seconda affermazione rappresenta bene un'idea oggi diffusa all'interno del mondo cattolico: siccome l'opinione pubblica percepisce come una barbarie la condanna a morte di un galeotto, allo stesso modo e a maggior ragione dovrà riconoscere quanto sia ingiusta l'uccisione di un nascituro che non ha fatto del male a nessuno.
Ed è proprio a questa logica che ha astutamente fatto appello Giuliano Ferrara, nel legare il tema della moratoria per l’aborto – posizione di minoranza – con la moratoria per la pena di morte – che è invece una posizione di maggioranza che sfiora l'unanimità. Dal punto di vista strategico, si tratta di una strada molto intelligente, che merita di essere utilizzata. L'importante è rendersi conto che essa contiene in nuce un giudizio erroneo: valutare identiche due questioni – aborto e pena di morte – che invece identiche non sono, ma anzi profondamente diverse.
ILa terza affermazione è in buona sostanza la posizione del Magistero cattolico, che com'è noto condanna senza eccezioni la legalizzazione dell'aborto procurato. La Chiesa auspica che gli Stati evitino il ricorso al boia, ma non esclude in via di principio che questo possa essere talvolta necessario. Il che significa una sola cosa: e cioè che lo Stato ha – a certe condizioni – il diritto (e forse persino il dovere) di irrogare la pena capitale. Ma la maggior parte dei cattolici non lo sanno, e quando ne vengono informati manifestano stupore o addirittura ribellione. Infatti – sotto la pressione del clima dominante – si è propensi a ritenere che essere contro la pena di morte "senza se e senza ma" sia non solo una possibilità ma un dovere; e che, al contrario, sull'aborto sia del tutto normale avere "opinioni" divergenti.
Aggiungiamo anche che esistono teologi e studiosi cattolici che sostengono apertamente la illiceità intrinseca di ogni pena capitale, o che criticano Giovanni Paolo Il per non averi a "abrogata" definitivamente nel Catechismo del 1992.
Un'insanabile, intrinseca diversità
Questa confusione nasce da un errore di fondo: nella migliore delle ipotesi, si equipara la condizione del delinquente allo status del concepito innocente; nella peggiore delle ipotesi, il galeotto ha il diritto alla vita, e il nascituro no. In verità, soltanto l'essere umano innocente – cioè che non è in grado di nuocere né ha nuociuto in precedenza – gode di un inviolabile diritto alla vita, senza eccezioni. Il colpevole di gravi delitti si trova in una condizione morale e giuridica completamente diversa. Questo non significa che egli meriti di essere ucciso, o che si debba addirittura promuovere una restaurazione della pena di morte nel mondo: il Vangelo stesso ha suscitato nella storia dell'umanità una umanizzazione del regime carcerario e dunque anche una maggiore pietas nei confronti di ogni detenuto. Tuttavia, ciò non esclude in senso generale la possibilità che in certe condizioni la pena di morte sia l'unico strumento adeguato alla preservazione del bene comune. Si aggiunga che di solito la pena di morte è preceduta da una giuria, un avvocato difensore, un appello. Nell'aborto, invece, lo Stato si fa esecutore della volontà arbitraria e privatissima di uno dei suoi consociati, che decide la morte di un altro cittadino non ancora nato. Ecco dimostrato come l'aborto sia incomparabilmente più odioso di una giusta condanna capitale.
Strategie a confronto
In chiusura, é interessante notare le differenti strategie che vengono adottate dai due schieramenti "abolizionisti". Da una parte, i fautori dell'abrogazione della pena di morte, che si muovono in un'ottica "massimalista", aggredendo frontalmente il fenomeno che vogliono eliminare. Non si accontentano di contestare alcuni aspetti della pena di morte, ma ne chiedono a radicale rimozione dagli ordinamenti moderni. Sanno benissimo che sul loro cammino incontreranno oggettive difficoltà: la Cina, gli Stati Uniti, alcuni Paesi di tradizione islamica non vogliono cambiare la loro visione, che coincide con a sensibilità di milioni di persone. In questo senso, la moratoria ha un valore più simbolico che reale. Ma sono proprio i simboli a trasformare mentalità, leggi e costumi. I movimenti contro la pena di morte avrebbero potuto mobilitarsi per garantire a ogni imputato un giusto processo in più gradi di giudizio; avrebbero potuto chiedere modalità di esecuzione meno disumane o dolorose. Invece chiedono tutto: l'abrogazione di ciò che considerano ingiusto.
I movimenti pro life – per la verità soprattutto in Europa – adottano invece una strategia totalmente diversa. Innanzitutto, si schierano sempre più spesso a fianco degli abolizionisti della pena di morte, senza per altro esigere da loro un gesto di reciprocità. Fatto assai grave, se si pensa che organizzazioni come Amnesty Interlational, o associazioni pacifiste che manifestano contro il boia, sono poi indifferenti o addirittura favorevoli all'aborto legale e sicuro. Non solo: molti pro life sostengono la impossibilità di cambiare le leggi abortiste – e hanno spesso ragione ma ne fanno derivare una strategia dei piccoli passi, che ad esempio si intrattiene a discutere sulle modalità con cui l'aborto viene praticato chimiche piuttosto che chirurgiche – evitando i contestare alla radice il "diritto di aborto". Insomma: si rinuncia a denunciare pubblicamente e vibratamente il delitto rappresentato da ogni aborto legale. Con il risultato che le nuove generazioni crescono odiando la pena di morte, e considerando normalissima la pena dell'aborto volontario. Forse, per i figli della luce è giunto il tempo di cambiare strategia.
RICORDA
«La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l'essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vitali».
(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2270).
«L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani.
Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.
Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo "sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti" (Evangelium vitae, 56)».
(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2267).
IL TIMONE N. 70 – ANNO X – Febbraio 2008 – pag. 12-13