L’educazione sessuale a scuola: una palestra di corruzione
In assenza di una legge equilibrata che disciplini la materia, si ricorre ai corsi delle Asl. Che incitano alla contraccezione e all'aborto. Un pericolo grave per l'educazione dei giovani. AI quale la Chiesa ha dato risposte.
Ragazzini e ragazzine di 12-13 anni, e anche meno, sono istruiti sull'aborto, gli atti sessuali, l'uso del preservativo ("mi raccomando, tenetelo in tasca"), l'individuazione delle proprie "preferenze" sessuali, e così via. Siamo in un sexy-shop? No, accade in una normale scuola media statale italiana. La chiamano "educazione all'affettività", ed è il punto terminale di una lunga opera di corruzione dei giovani, che parte dall'ideologia libertaria e libertina del Sessantotto (che a sua volta ha radici più antiche, risalenti alle farneticazioni del settecentesco marchese De Sade).
In principio ci fu la Svezia
La Svezia, nel 1955, fu il primo Paese europeo a introdurre l'educazione sessuale obbligatoria a scuola (già dal 1942 era facoltativa). Ma furono gli sciagurati anni Settanta, quelli della "rivoluzione beat" e del libero amore, ad assistere al boom dell'educazione sessuale nelle aule scolastiche del Vecchio continente: la adottarono Danimarca, Finlandia, Austria, Cecoslovacchia, Germania, Lussemburgo, Norvegia, Ungheria, Islanda. Poi, negli anni Novanta, è diventata obbligatoria in Francia, Portogallo, Estonia, Slovacchia, Grecia, Olanda, Belgio. E nel 2003 in Irlanda. In Spagna le scuole non sono obbligate a insegnarla, ma una legge del 1985 la prevede, lasciando ai singoli istituti la decisione su come applicare i programmi, che possono essere inseriti come materia a sé o integrati in altre materie (scienze, ad esempio). Aspetto non trascurabile – a differenza dell'Italia, come vedremo – la circostanza che in molti Paesi è previsto che i genitori siano informati sui contenuti dei programmi e sulle metodologie di insegnamento. E, in alcuni casi, siano coinvolti in prima persona.
Un "pacchetto" pronto all'uso
Da noi, in una società "erotizzata" dove bambini e ragazzi sono continuamente bombardati da immagini legate alla sfera sessuale (dalla pubblicità stradale ai giornali, dagli show televisivi a Internet), ufficialmente di sesso a scuola non si parla. Infatti non è stata ancora approvata dal Parlamento una legge che preveda l'educazione sessuale come materia autonoma (l'argomento è rimasto a margine della "riforma" del ministro Gelmini). Esistono vari progetti, e del tema si sono fatti carico dieci anni fa, senza un seguito concreto, anche gli allora ministri della Solidarietà sociale (Livia Turco) e dell'Istruzione (Luigi Berlinguer).
Ma se non ci sono ancora norme organiche e condivise a livello nazionale, di fatto in molte realtà scolastiche, a partire dalle scuole medie e anche prima, l'educazione sessuale (o forse è meglio parlare di diseducazione, se non addirittura di corruzione) esiste eccome! Dove? In una zona di Milano (la 9) e in vari Comuni sparsi qua e là per l'Italia, preferibilmente governati storicamente dalla sinistra. Si chiama appunto "Progetto di educazione all'affettività", che suona bene, ed è gestito dalle Asl, cioè dalle strutture che sul territorio si occupano della salute dei cittadini. In pratica, è un "pacchetto" pronto offerto alle scuole che ne fanno richiesta, e dove i contenuti – con la scusa che sono confezionati da specialisti – non solo non possono essere discussi con le famiglie, ma nemmeno con gli insegnanti, che anzi escono dall'aula nelle ore di "indottrinamento".
"Il vergognoso culto del sesso"
Cosa avviene in concreto? Quello che abbiamo anticipato all'inizio: alunni giovanissimi, spesso nemmeno adolescenti, sono istruiti su aborto, posizioni sessuali, uso del preservativo, "preferenze" sessuali. Già, che futuro cittadino modello e "politicamente corretto" sarà un bambino che non conosca tutti i generi di accoppiamento e di "diversità" sessuali? Informare, innanzitutto! Poi, se c'è tempo, si parla di valori, e della differenza tra pura biologia e amore. Il filosofo inglese Roger Scruton aveva ragione quando, in sede di bilancio dell'introduzione nelle scuole inglesi dell'educazione sessuale, scriveva: «I genitori hanno accettato l'educazione sessuale pensando che i bambini devono imparare a distinguere il vizio dalla virtù e il desiderio dall'amore, e che per questo è necessaria una certa quantità di conoscenze di carattere biologico. Ma probabilmente non l'avrebbero pensata nello stesso modo se avessero saputo che, nel giro di pochi anni dopo la sua istituzione, l'educazione sessuale sarebbe stata usata per promuovere il vergognoso culto del sesso in età minorenne».
Insegnanti fuori dalla porta
Strano Paese, il nostro, dove degli adulti possono tranquillamente spiegare ad alunne poco più che bambine che in caso di gravidanza possono ricorrere all'aborto senza parlare con i loro genitori, e che l'età giusta per avere i primi rapporti sessuali è 15-16 anni. A questi adulti non succede niente di male, anzi: lo Stato li paga per il loro lavoro, che consiste nello spiegare ai ragazzi tutto, ma proprio tutto. Tranne proprio l'affettività. Quella autentica. Fatta di attenzione all'altro, dono di sé, apertura generosa al mondo e ai suoi bisogni. Il progetto in questione è calato dall'alto, in pratica totalitario. Vediamo cosa succede nelle scuole medie della zona 9 di Milano. Ai docenti si dice che i contenuti sono quelli decisi dalla Asl e che sono insindacabili: non si possono cioè modificare o integrare. Insomma, prendere o lasciare. Durante le lezioni di dottoresse e psicologi, loro, gli insegnanti, stanno fuori dalla porta, cosicché i ragazzi sono più liberi di esprimersi. Aspetto ancor più grave, da quest'anno scolastico il progetto, che è finanziato dalla Regione (le scuole non pagano niente), va approvato e attuato non più su base annuale, come accadeva finora, ma triennale: così ci si lega mani e piedi per tre anni a quello che l'Asl decide di fare.
Non dire niente a casa
A dire il vero, le responsabili del progetto invitano i genitori dei ragazzi a un incontro di un'ora per presentare il loro lavoro. Ma normalmente non dicono che gli insegnanti sono tassativamente esclusi dalla partecipazione alle lezioni; e che fra le informazioni trasmesse ai ragazzi c'è quella che possono rivolgersi ai servizi sanitari per interrompere un'eventuale gravidanza, senza dirlo a casa. Alle obiezioni di qualche genitore meno sprovveduto, replicano affermando che è la legge 194 a prevedere tale facoltà, e che è loro dovere informare in maniera completa ed esaustiva i ragazzi. Senza inutili interferenze di giudizi di valore su cosa sia giusto o sbagliato, bello o brutto. Conta solo una cosa: fare il possibile per evitare di contrarre malattie o gravidanze indesiderate. Che poi ci siano ragazzi per nulla interessati a pratiche sessuali precoci e, anzi, che stiano verificando liberamente scelte diverse come la castità, poco importa. In questo caso non c'è nessun rispetto per il "diverso". Un tempo c'era chi "bigiava" la scuola per frequentare cinema a luci rosse. Adesso non c'è più bisogno: vai a lezione ed è quasi la stessa cosa.
Manca un processo educativo globale
Che cosa dice la Chiesa? Già dalla Pasqua del 1980 la Conferenza episcopale italiana rende noti gli "orientamenti pastorali" sull'educazione sessuale che l'Ufficio Nazionale per la Pastorale Scolastica ha predisposto per quanti operano nel mondo I della scuola. Pur riconoscendo l'esigenza di «una positiva e prudente educazione sessuale» dei fanciulli e dei giovani «man mano che cresce la loro età» – affermata con chiarezza dal Concilio Vaticano II nella Gravissimum educationis – la nota dei vescovi sottolinea che detta educazione sessuale, correttamente intesa, non si limita a rispondere alla situazione di grave crisi morale della società, ma deriva piuttosto dalla concezione stessa dell'educazione, intesa come sviluppo integrale ed armonico della persona, «sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene delle varie società di cui l'uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere».
Non c'è educazione che non implichi anche l'educazione dell'aspetto sessuale della personalità. Ma l'educazione sessuale è autentica se inserita nel processo educativo globale della persona, quale suo momento integrante. Quegli "orientamenti", che conservano tutta la loro validità, erano rivolti innanzitutto ai credenti – personale direttivo, docenti, genitori, alunni – direttamente impegnati nel mondo della scuola. Ma erano anche rivolti «a quanti hanno una rigorosa concezione etica dell'esistenza e dei doveri sociali, e sono giustamente preoccupati della crescita culturale e morale delle nuove generazioni». Parole da riprendere e da ascoltare, prima che sia davvero troppo tardi.
IL TIMONE – N.77 – ANNO X – Novembre 2008 – pag. 16-17