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11.12.2024

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Per il corpo e per lo spirito
31 Gennaio 2014

Per il corpo e per lo spirito


Un elenco di azioni buone, di cui ci siamo dimenticati. Un formidabile strumento di verifica della vita cristiana, un programma da realizzare con disciplina seria e motivata. La Chiesa le propone come guida all’amore di Dio attraverso l’amore al prossimo

Le opere di misericordia corporale? E quelle spirituali? Chissà se qualcuno ancora se le ricorda. La loro estinzione si è consumata nel clima della “catechesi esperienziale” inaugurata negli anni Settanta del XX secolo, insieme con la “rimozione” del Decalogo, dei sette sacramenti, dei doni dello Spirito Santo, dei sette vizi capitali, dei cinque precetti generali della Chiesa e degli altri “fondamentali” della dottrina cattolica. Questi famosi precetti sono riassunti in 14 formule semplici e chiare, mandate a memoria da generazioni di fedeli, utilissime per l’esame di coscienza, messe in pratica da molti credenti che le usarono come strada sicura per la loro edificazione.
Lo scopo di questi comandi è spingere il cattolico a fare il bene ed evitare il male. È la sintesi essenziale della vita morale, alla cui formulazione erano giunti anche i migliori filosofi pagani ben prima che la Rivelazione illuminasse le menti e i cuori dell’umanità. Sarà il Vangelo a chiarire in modo inequivocabile la stretta relazione tra la persona di Cristo e l’etica. Al giovane ricco che gli chiede cosa deve fare per entrare nel Regno dei Cieli, Gesù risponde che ogni uomo deve vivere i comandamenti. Qui c’è una sintesi mirabile del senso della vita: siamo al mondo per inseguire il Paradiso, e la strada per arrivarci sono le opere buone. Tutte ricapitolate, però, nell’obiettivo di amare e rendere gloria a Dio: «La carità è quella virtù soprannaturale per cui amiamo Dio per se stesso sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi per amor di Dio». Per la Chiesa è fondamentale che questo ordine logico e gerarchico non sia mai capovolto, e che l’amore per i fratelli sia preceduto dall’amore per Dio. Così si evita di scambiare la filantropia per carità cristiana, e l’amore per Dio con quello per l’Umanità.

Come fare il bene?

Ma concretamente, che cosa posso fare per «fare il bene»? La questione è antica, ma oggi ha assunto proporzioni rilevanti a causa del clima di profondo relativismo che avvolge la nostra civiltà. Le persone conservano spesso una certa nostalgia di bene – non dimentichiamoci che ogni uomo è stato creato da Dio – e una latente voglia di fare qualcosa di buono per gli altri. Solo che il passaggio da questo sentimento positivo all’azione oggettivamente buona non è scontato. Si può cadere nell’errore di pensare che siano buone le azioni che «mi fanno stare bene», mi gratificano. Ma le consolazioni psicologiche e spirituali, certo desiderabili, possono anche mancare del tutto, il che non significa che quella certa azione non sia buona. Insomma, la dittatura della “voglia” – capricciosa bussola dell’uomo postmoderno secolarizzato – tende a diventare il criterio per scegliere che cosa è il bene.
Un altro rischio è la vaghezza, la mancanza di determinazione: si è cioè disposti a fare singoli atti buoni, ma al di fuori di qualunque disciplina e qualunque impegno strutturato. È come fare l’esame di coscienza evitando qualsiasi proposito concreto e circostanziato di cambiamento, quindi inutile. Questa visione non permette di coltivare le virtù e riduce la carità a istinto emotivo: faccio una buona azione solo perché mi sono commosso. Questa mozione dei sentimenti non è in sé cattiva – anche Gesù resuscita Lazzaro dopo essersi commosso fino alle lacrime davanti alla tomba – ma guai se dovesse diventare il motore della volontà morale dell’uomo. Oltretutto, i sentimenti possono ingannare e spingere a fare il male: di fronte a un malato che soffre, potrei credere di amarlo praticando l’eutanasia, spinto dalla compassione nei suoi confronti. Insomma, ancora una volta – come sempre nell’esperienza cristiana – occorre ragionare. E serve una guida sicura. La Chiesa risponde a questa esigenza, elaborando nel tempo le opere di misericordia.

Le opere di misericordia corporale

Le prime sette opere riguardano il corpo dell’uomo. Corpo che è tempio dello Spirito Santo ed esige la massima cura, benché sia destinato con la morte a tornare polvere. In questo mondo l’unico modo di esistere dell’uomo è mediante la sua corporeità, che lo aiuta ma insieme lo condiziona profondamente. Se ho mal di testa allora tutto il mio essere, compresa la mia anima, è condizionato da questa sofferenza. Se ho freddo, o fame, o sete, il mio spirito è assorbito da questa preoccupazione. Gesù, camminando per le strade della Palestina, vede i corpi degli storpi e dei ciechi, dei lebbrosi e dei poveri, e si china su di loro per curare e guarire. Il cristiano, che deve vedere in ogni persona Cristo stesso, ama Gesù compiendo le opere di misericordia corporale. Le compie non perché lo fanno sentire bene, o perché il prossimo sia meritevole o simpatico. Anzi. Talvolta il bisognoso è sgradevole, ripugnante, fastidioso. Ma l’amore vince questa repulsione istintiva e ama in base a un comando oggettivo che Gesù ha fissato nelle Beatitudini. Le opere corporali esprimono anche il realismo cattolico, che non si alimenta di una generica demagogia politica, ma chiede a ognuno di fare quel poco di bene possibile nella vita di ogni giorno. La Chiesa non ci ordina di risolvere il problema mondiale della povertà diffusa, ma ci chiede di accorgerci di colui che ha bisogno davanti ai nostri occhi.
1. Dar da mangiare agli affamati. Il banchetto è uno dei segni scelti da Gesù per rappresentare grandi misteri, come il Paradiso, ma anche per celebrare le gioie autentiche e sane della vita quotidiana su questa terra. Mangiare è un bisogno fondamentale e insieme occasione quasi sacra di incontro con le persone e di condivisione del companatico. Gesù banchetta con i suoi amici. Accorgersi che qualcuno non ha di che nutrirsi e sfamarlo è la prima opera di misericordia, è il capovolgimento della sorda indifferenza del ricco Epulone, che non lascia al povero Lazzaro neppure le briciole.
2. Dar da bere agli assetati. La sete è peggiore della fame. Per questo, anche un bicchiere d’acqua dato a chi ne ha bisogno è un atto di grande misericordia. Tutti sperimentiamo la soddisfazione che ci provoca essere dissetati nell’arsura, e la sete rappresenta bene anche il desiderio di soprannaturale che ogni uomo porta in sé: Gesù stesso si fa dissetare dalla Samaritana, promettendole in cambio una misteriosa bevanda che disseta per sempre.
3. Vestire gli ignudi. Sacerdoti, suore e laici che lavorano con i diseredati, raccontano che la cosa che umilia di più i clochard è il loro aspetto, i loro vestiti approssimativi, la vergogna di chi sa di non essere presentabile. La nudità da coprire rimane ancora oggi una grande misericordia, una carezza di Gesù ai suoi fratelli più sfortunati, e una carezza a Gesù denudato sul Golgota.
4. Alloggiare i pellegrini. L’ospitalità è una delle virtù più antiche, celebrata da popoli pagani di ogni latitudine: nell’Odissea, Telemaco dà ospitalità ad Atena, che però è in incognito, esclamando: «Salute, ospite! sarai bene accolto fra noi. Poi tu, quando il cibo t’avrà ristorato, dirai che cosa t’occorre». Lo stesso fa Eumeo il porcaro, davanti a un pezzente che in verità è Ulisse. Esclama: «Venga pur uno più malconcio di te, tutti da parte di Zeus vengono gli ospiti e i poveri». Con la Rivelazione, l’ospite si carica di un significato soprannaturale: Abramo ospita senza saperlo tre angeli, e questo struggente episodio diventa una promessa quasi fiabesca per ogni gesto di ospitalità. Nella Lettera agli Ebrei si legge questa esortazione: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo». Per aprire la nostra porta a un ospite sconosciuto occorre credere negli angeli.
5. Visitare gli infermi. Stare vicino ai malati è un gesto semplice che richiede però il sacrificio del bene più prezioso che possediamo: il tempo. I sani non si rendono conto facilmente dell’umanità dolente che soffre in silenzio, e non sanno quanta consolazione può derivare a un malato da un sorriso e da un abbraccio. Il malato combatte il dolore e intravede davanti a sé il buio della morte: è solo e dovrà essere solo nella sua agonia, per cui ciò che lo consola di più è la presenza fisica di qualcuno che lo ama davvero.
6. Visitare i carcerati. Gesù, il Figlio di Dio, il giusto, l’unico uomo senza alcun peccato, è stato carcerato, oltraggiato, tradotto in catene, legato alla colonna, fustigato, sottoposto a ingiusto processo. Andare a trovare i carcerati è opera di misericordia che alimenta in noi questa vivida presenza del Cristo patiens. Questa carità è dovuta a ogni uomo ristretto, sia egli meritevole o meno di quella punizione umana. Il cristiano non va in carcere a liberare i carcerati, ma a promuovere la loro conversione.
7. Seppellire i morti. Antigone, l’antica eroina greca del diritto naturale, fu la più famosa testimone dell’antichità di questo gesto pietoso: dare sepoltura al corpo dei morti, di tutti i morti, siano essi santi o banditi, eroi di guerra o ufficiali nazisti. Tobia nel Vecchio Testamento si alza di notte per compiere quest’opera di misericordia. Per il cattolico contemporaneo, il senso attuale di questo gesto sta nel dedicare la giusta cura e la preghiera più ardente al prossimo che è morto e che rimane visibile solo nel suo corpo esanime. Difendendo i riti e i gesti che da duemila anni la Chiesa compie.

Le opere di misericordia spirituale

Prendersi cura dei corpi non basta. Anzi: una carità che si fermasse alla materia non sarebbe carità cristiana. Sarebbe solidarismo, sarebbe passione per l’uomo, appunto, ma non passione e amore per Dio creatore attraverso le sue creature. La Chiesa lo sa, e raccomanda di dedicare almeno le stesse energie nell’esercizio della misericordia per le anime. Le quali sono poi destinate – essendo immortali – a sopravvivere al tragico evento della morte, e a presentarsi immediatamente davanti a Cristo Giudice.
1. Consigliare i dubbiosi. Viviamo un tempo in cui il dubbio è esaltato ed è presentato come una virtù. Per secoli, prima i pagani e poi la teologia e la filosofia cristiana hanno lavorato per sconfiggere il dubbio e approdare a delle certezze. Il cattolico è uno che deve avere delle certezze fondate sulla fede, e forte di queste può aiutare coloro che non sanno che pesci pigliare.
2. Insegnare agli ignoranti. Qui non si tratta di insegnare l’ABC o a far di conto (il che può anche rientrare in quest’opera di misericordia), ma di trasmettere i contenuti della dottrina cattolica, illuminare le menti di persone – amici, conoscenti, vicini di casa, parenti – che ignorano in blocco cosa sia il cattolicesimo. Credenti che non sanno nulla e non credono in nulla. E che hanno bisogno di qualcuno che, senza presunzione e con amore, li alimenti con la verità insegnata dalla Chiesa.
3. Ammonire i peccatori. Opera di carità politicamente scorretta. Nella società della privacy e della coscienza eletta a criterio arbitrario di giudizio, non c’è nulla di più detestato di colui che sappia riconoscere il peccato e per giunta richiami il peccatore. Opera non facile, anche per il rischio di mancare di carità nei modi e nei tempi dell’ammonimento. Ma resta il fatto che l’indifferenza verso i peccatori sarà una delle colpe più ricorrenti di cui l’uomo moderno dovrà render conto il giorno del Giudizio.
4. Consolare gli afflitti. A dispetto del luccichio allettante della società consumistica, la vita dell’uomo su questa terra è prima o poi funestata dalla sofferenza: delusioni, fallimenti, amarezze, malattie, solitudini, peccati, malvagità subite o compiute. L’uomo moderno, che non vuole inginocchiarsi per pregare Dio, si trova schiacciato dal peso della vita. È un atto di vera misericordia portare una parola di conforto a chi si trova nel buio dell’afflizione.
5. Perdonare le offese. Com’è difficile quest’opera di misericordia! Però senza di questa è impossibile esercitare tutte le altre. Il perdono è infatti alla radice di ogni buona azione. Chi riesce a perdonare le offese dimostra di essere veramente forte, è virile come Cristo, è materno come Maria.
6. Sopportare pazientemente le persone moleste. Fondamentale proposito che trasforma il nostro rapporto con gli altri. Quante persone potenzialmente o decisamente moleste conosciamo? Tante. Gesù, che ci ordina di amare i nemici, si accontenta di chiederci di sopportare le persone pesanti e fastidiose. Chi ci riesce scopre a volte anche molti lati belli dei molestatori, ma sorprendentemente è anche reso sereno da questo “lasciarsi mettere in croce” quotidiano.
7. Pregare Dio per i vivi e per i morti. Stranamente è l’ultima delle 14 opere di misericordia, ma è essenziale per ricordarci che la prospettiva di questo impegno altruistico è sempre la fede, il primato di Dio Padre Figlio e Spirito Santo. Puoi fare molte cose per gli altri – dar da bere e da mangiare, ammonire l’errante, essere ospitale – ma la cosa più importante che puoi regalare è una preghiera. Per chi è ancora quaggiù, e per chi, superata la soglia della morte, forse ha bisogno proprio delle tue orazioni per lasciare, magari, il Purgatorio.

Dossier: LA MISERICORDIA

IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 39 – 41

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