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14.12.2024

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Per incontrare l’Islam torniamo a Cristo
31 Gennaio 2014

Per incontrare l’Islam torniamo a Cristo

 

 


La presenza in Occidente di tanti musulmani potrebbe avere anche effetti positivi. Una sfida che dovrebbe farci capire il bisogno di ritornare a Dio. Qualche consiglio.

 

 
 
L’Occidente deve riflettere su questo fatto: i popoli musulmani ci vedono come ricchi, democratici, tecnicizzati, istruiti, ma anche come atei, aridi, cinici, senza regola morale. Ritengono di avere una missione storica da compiere: venire in Occidente per dare un’anima alla nostra civiltà, convertendoci in un modo o nell’altro ad Allah. E’ un concetto ripetuto continuamente dalla stampa dei paesi islamici, nelle moschee e scuole coraniche, ma quasi del tutto assente sulla stampa italiana. I musulmani vedono l’Occidente cristiano come un pericolo per la loro fede: sono attirati dal mondo moderno, ma ne hanno anche paura. Vogliono la nostra tecnologia e il progresso ad essa legato, ma non vogliono i nostri valori umani e religiosi, senza capire che lo sviluppo è collegato ai valori supremi di una civiltà. Scrive l’egiziano Magdi Allam (Corriere della Sera, 13 agosto 2006): «E’ vero che è una minoranza quella che pratica il terrorismo islamico, ma c’è una maggioranza di musulmani che condivide la loro ideologia fascista». L’11 settembre 2001 ero in Bangladesh nel lebbrosario di Dhanjuri. Le Missionarie dell’Immacolata che curano i lebbrosi quel giorno non avevano ascoltato la radio: non ho saputo nulla degli attentati suicidi alle due Torri di New York. Il giorno dopo, andando in auto a Dinajpur, migliaia di persone manifestavano in corteo col volto gioioso e trionfante. Mentre l’Occidente era inorridito davanti alla televisione e a quelle scene spaventose, le folle dell’islam scendevano in piazza per esprimere la loro gioia per la vittoria contro «il grande Satana» (come Khomeini definiva gli Stati Uniti).
La nostra responsabilità sta nella decadenza della società, delle famiglie. L’Occidente presenta questi gravi sintomi: diminuzione della popolazione, bassi tassi di crescita, di risparmio; consumi individuali e collettivi superiori agli investimenti; degrado morale: aumento di comportamenti antisociali (omicidi, droga, violenza in generale), decadimento della famiglia (divorzi, famiglie di single e di omosessuali), l’indebolimento dell’impegno nel lavoro e nello studio, la tendenza dell’Europa a non riconoscere le proprie radici cristiane. L’Europa e l’America tentano di promuovere la cultura occidentale (diritti dell’uomo e della donna, democrazia, libertà di pensiero e di religione, valore della singola persona, giustizia sociale, stato di diritto), ma sempre più diminuisce la loro capacità di realizzare questo obiettivo. Perché questa decadenza? L’Occidente ha abbandonato Dio ed è diventato «una civiltà volta alla sua stessa distruzione» diceva il card. Ratzinger in una sua conferenza. Nel gennaio 2006 sono tornato da un viaggio in Senegal, Mali e Guinea Bissau, dove ho vissuto per un mese fra popolazioni povere, con un livello di istruzione e di vita molto inferiore al nostro. Eppure sono popoli che danno l’impressione di una serenità e gioia di vivere che certamente noi italiani non abbiamo più. Tornando in Italia vedo molta gente triste, pessimista, scoraggiata. E’ un’esperienza che faccio spesso. Sarebbe sbagliato dire che è meglio la loro condizione della nostra, ma certamente si può dire che la povertà educa più della ricchezza ad alcune virtù umane fondamentali per vivere bene: cordialità, solidarietà, saper gioire di quel poco che c’è, amore alla famiglia e al villaggio, profondo senso religioso nella vita, ecc. Un parroco al quale chiedo come va la sua grande parrocchia mi dice: «Oggi l’idolo è il denaro; in passato prevalevano altri idoli: l’ideologia, il sesso, la gloria umana, ma oggi è il denaro». Noi trasmettiamo ai giovani il falso ideale che deprime la nostra civiltà: di avere sempre di più e che quel che conta è divertirci e occupare i primi posti.
La nostra civiltà è questa: siamo ricchi, democratici, liberi, istruiti e laureati, scientificamente avanzati, con leggi perfette (o quasi), ma vuoti dentro. Il cardinale arcivescovo emerito di Bologna Giacomo Biffi diceva che «i bolognesi sono sazi e disperati». In questa situazione esistenziale, che rende la nostra società sempre più individualista e arida, noi incontriamo la provocazione dell’islam che si propone, con ogni mezzo (crescita demografica ma anche “guerra santa” e terrorismo), di ricondurci alla fede in Allah. Su questa realtà l’Occidente dovrebbe riflettere e decidere se non è questo il momento di tornare al vero Dio e a Gesù Cristo. Siamo proprio convinti che il laicismo esasperato, che toglie (o vuole togliere) i crocifissi dalle scuole e dagli ospedali e non parla mai di problemi religiosi in giornali e Tv, che esalta l’esasperazione del sesso e privilegia il divertimento sull’impegno nel lavoro; sia il sistema migliore per preparare il futuro della nostra Italia?
L’islam si definisce non in termini di libertà ma di sottomissione a Dio. E se fosse proprio questo l’ideale a cui ritornare per umanizzare la nostra civiltà e per incontrare l’islam? Ritornare a Dio senza rinunziare alla nostra libertà, anzi proprio in forza della nostra libertà di scelta, perché convinti che la vera libertà sta nella totale e libera sottomissione alla volontà di Dio e alla Legge divina. Chesterton ha scritto: «Dio ha creato l’uomo e gli ha dato i Dieci Comandamenti come via da seguire per realizzare se stesso. Volete che non sapesse qual è il vero bene dell’uomo?».
La sfida dell’islam va presa sul serio. All’inizio del novecento i musulmani nel mondo erano circa 300 milioni, oggi un miliardo e 300 milioni. L’Italia è passata da 38 a 58 milioni e oggi noi italiani diminuiamo di circa 100.000 l’anno (siamo in leggero aumento solo per l’ingresso e le nascite di terzomondiali). In un mondo occidentale che perde il senso dei valori assoluti, la testimonianza del primato di Dio ci fa comprendere i valori storici che l’islam porta con sé, anche se in tanti modi sbagliati, condannabili, che giustamente noi rifiutiamo:
1) La presenza di Dio nella vita del singolo uomo, nella famiglia, nella società. I musulmani ci ricordano il “senso religioso” dell’esistenza, la coscienza che l’uomo è una creatura piccola e debole: deve dipendere dal suo Creatore.
2) La fede è il più grande dono di Dio all’uomo, che dobbiamo chiedere e conservare con la preghiera e l’osservanza della Legge di Dio. In Pakistan un dottore laureato in Europa mi diceva: «Noi preghiamo cinque volte al giorno, voi italiani come fate a vivere senza pregare?».
3) La fede non è solo una scelta e un fatto personale e privato (noi abbiamo quasi  vergogna a mostrarla), ma crea l’appartenenza ad una comunità di credenti e a tutta l’umanità creata dallo stesso Dio; quindi forti vincoli di amore e di aiuto vicendevole. 
Come tutto questo potrebbe essere realizzato nella nostra società, ecco il tema da dibattere, discutere, proporre per dare una svolta alla decadenza dell’Occidente. E’ necessario accendere una luce di speranza sul nostro cammino storico.
 

RICORDA

«Benedetto XVI è forse fra le poche personalità ad aver capito profondamente l’ambiguità in cui si dibatte l’islam contemporaneo e la sua fatica nel trovare un posto nella società moderna. Nello stesso tempo egli sta proponendo all’islam una via per costruire la convivenza mondiale e con le religioni basata non sul dialogo religioso, ma culturale e di civiltà, basata sulla razionalità e su una visione dell’uomo e della natura umana che viene prima di qualunque ideologia o religione».
(Samir Khalil Samir S.I, Incontri di civiltà. Come Joseph Ratzinger guarda all’islam, in Asia news, 26 aprile 2006). 

 
 
 
 
 

 
 
IL TIMONE – N. 58 – ANNO VIII – Dicembre 2006 – pag. 50 – 51

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