Si può diventare santi svolgendo la professione militare? La Chiesa non ha dubbi e ha canonizzato tanti martiri e beati grazie al coraggio e alla disponibilità per difendere i loro fratelli
Perché è La conciliazione della vita cristiana con il servizio militare agli inizi del cristianesimo non fu cosa facile. Esisteva un’opinione secondo la quale chi si faceva cristiano, se era militare, doveva lasciare il servizio. Così fecero i santi Nereo e Achilleo, che la Chiesa festeggia il 12 maggio. Ma essi pagarono con la vita tale loro scelta e per questo sono ricordati come Martiri.
Indubbiamente a quei tempi la cosa era complicata per il fatto che si trattava di servire un imperatore pagano. Ma già san Paolo aveva ordinato che i fedeli dovevano accettare anche i governanti non cristiani. E nel Nuovo Testamento non si dice mai che chi si fa cristiano non può fare il militare, anzi alcuni episodi lasciano supporre il contrario.
Può esistere una guerra giusta?
Non discutiamo comunque sulla scelta di quei due martiri; cerchiamo di affrontare la cosa in linea di principio e in relazione ai nostri tempi, considerando qual è oggi l’insegnamento della Chiesa. Certamente il cristiano è un uomo di pace e un fautore di pace, ma è anche un realista che sa che in certi casi l’uso della forza e quindi l’azione bellica può rendersi necessaria, giusta e doverosa proprio in ordine alla difesa o alla conquista della pace.
La santità cristiana comporta anche un aspetto agonistico. San Paolo parla a questo proposito di “buona battaglia” ed egli stesso, come si sa, fu un personaggio molto battagliero, ovviamente per una causa giusta, che era quella di Cristo. Certamente, come spiega l’Apostolo, la battaglia del cristiano non è tanto contro soggetti di “carne” e di “sangue”, quanto piuttosto contro forze spirituali, impersonate soprattutto dal demonio, ma è pur sempre una battaglia, una guerra.
Qui però dobbiamo affrontare la questione precisa del servizio militare e dell’uso delle armi. Esiste una guerra giusta? Un sovrano cristiano può dichiarare guerra a un’altra nazione? Un cristiano qualunque può partecipare a una guerra? La guerra si nutre di odio o può conciliarsi con la carità? Può il cristiano uccidere i nemici? Non ha detto Cristo che bisogna amare i nemici? Il cristiano non è contro la violenza? Non dice Cristo «imparate da me che sono mite ed umile di cuore »? Dove va a finire la mitezza nel fervore della battaglia? Sono questi i problemi.
San Tommaso d’Aquino sostiene che la virtù della fortezza, che evidentemente non può non essere connessa alla carità e quindi con la santità, può esprimersi anche nell’esercizio del servizio militare e nell’uso delle armi secondo giustizia per la difesa del bene comune, mettendo a rischio eventualmente anche la propria vita (cf Summa Theologiae, II-II, q.123, a.5). Abbiamo qui quello che si chiama “valor militare”, che rende benemeriti e procura gloria davanti a Dio e al bene comune e può esprimersi anche in un’alta forma di eroismo. Ora, certamente l’eroismo militare, in quanto eroismo, come testimonia la storia della santità, si può sposare con la santità, la quale a sua volta comporta le cosiddette “virtù eroiche”, le quali si pongono su di un piano superiore a quello del valor militare, dato che, mentre quelle virtù eroiche hanno direttamente una motivazione soprannaturale, ossia la carità, il valor militare nasce, come ho detto, direttamente dalla virtù naturale della fortezza, ma anche, indirettamente, dalla medesima carità, che dev’esser l’anima di tutte le azioni del cristiano.
Per questo, nella storia della santità, innumerevoli sono i Santi, sovrani, condottieri o semplici soldati che hanno esercitato le virtù militari, soprattutto per le più alte cause della giustizia, della pace, della protezione dei deboli e degli oppressi. Pensiamo per esempio agli antichi Ordini religioso-cavallereschi, come furono i Templari, per la difesa dei pellegrini che in Terra Santa erano soggetti alle vessazioni dei musulmani. Le stesse Crociate ebbero, almeno nell’intenzione originaria, presente per esempio nel grande san Bernardo, questo scopo e questo significato. E quante volte una santa Caterina da Siena esorta i prìncipi cristiani a fare quello che ella chiamava il “santo passaggio”!
Santità e vita militare oggi
Certo, si potrebbe dire che questo modo di concepire la santità, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, è superato da una visione più evangelica, nella quale si sottolinea la mitezza, il dialogo, e l’utilizzo di mezzi pacifici per la soluzione dei conflitti. Questo è vero; si son fatti progressi nella direzione di una umanità meno bellicosa e più simile al mondo edenico e anzi a quello futuro della risurrezione. Tuttavia l’umanità resta ferita dal peccato originale ed è questa realtà che giustifica in casi gravi l’uso della forza al servizio della giustizia e della pace.
Indubbiamente il termine “guerra” oggi è antipatico, perché suscita l’idea della violenza, delle distruzioni, delle stragi, della morte. Si parla degli “orrori della guerra”. Per questo oggi non si parla più, come agli inizi del secolo scorso, di “Ministero della Guerra”, ma di Ministero della Difesa. Si tratta comunque di tener organizzate e vigilanti delle forze armate, pronte al combattimento, nell’eventualità che insorgano, per quanto deprecabili, ragioni sufficienti per difendersi da un attacco nemico.
Se per “guerra”, però, s’intende azione violenta, certamente non può esistere una guerra “giusta”. Ma se per guerra s’intende il semplice uso collettivo delle armi contro un nemico organizzato, allora può esistere una guerra giusta o per difendersi o per aggredire ed espellere forze nemiche da un territorio da esse ingiustamente occupato o per liberare un popolo oppresso.
L’etica cristiana ha sempre riconosciuto in tal senso l’uso delle armi su ordine della pubblica autorità e per una giusta causa, quando esiste speranza di vittoria e non si temano, come conseguenza, mali maggiori. Nell’enciclica Populorum Progressio del 1968 Paolo VI, alle suddette condizioni, giustificò anche la rivoluzione contro un regime tirannico. Anche il Concilio Vaticano II, benché condanni gli orrori e le ingiustizie delle guerre, mantiene questo principio, lasciando intendere anche l’uso delle armi nucleari in caso di gravissima necessità e se c’è speranza di vittoria.
L’uso legittimo della forza
Non bisogna dimenticare che esiste un codice di guerra e un tribunale deputato a giudicare i crimini di guerra, il che vuol dire che anche la guerra ha le sue regole giuridico-morali e in essa non è giustificata qualunque azione, per non trasformare il giusto uso della forza in atti di indiscriminata barbarie. Il soldato non può permettersi qualunque azione di suo arbitrio al di fuori dell’obbedienza ai superiori.
L’uso bellico della forza prudentemente regolato può avere vari scopi legittimi: fermare un ingiusto aggressore, impedire un’invasione nemica, prender possesso di un territorio giustamente rivendicato, abbattere un regime tirannico, soffocare una sedizione o una congiura, proteggere una popolazione inerme da un assalto nemico o da atti di brigantaggio.
Più in generale, il giusto uso della forza si rende necessario quando i mezzi pacifici sono inefficaci, in considerazione dell’attuale condizione della natura umana decaduta, per la quale l’uomo che non ascolta ragioni e non sa dominare i suoi istinti o la propria ferocia può e deve essere indotto con la forza al rispetto della legge o del diritto o impedito nel nuocere agli altri o merita di essere punito con giusta pena.
Ciò vuol dire che, supposta un’umanità pacifica e di buona volontà, sempre mossa ad agire da motivi ragionevoli, padrona delle sue passioni, orientata alle opere della pace, l’uso della forza non ha alcuna giustificazione. Ma qui abbiamo soltanto lo stato escatologico dell’umanità.
Credere ingenuamente che in fondo siamo tutti buoni (l’illusione del buonismo) e quindi di poter fare totalmente a meno della coercizione o dell’uso della forza nella condizione presente è una pericolosa utopia che finisce per lasciar mano libera ai furbi, ai prepotenti e ai violenti. Come diceva giustamente Virgilio a proposito della vocazione di Roma: parcere subiectis et debellare superbos.
Chi potendo difendere l’oppresso dall’oppressore non lo fa, non è uomo di pace ma è un vile. Togliete da una città le forze dell’ordine o i tribunali e vedrete cosa succede. I difetti della giustizia umana non possono essere un pretesto per auspicare la barbarie.
Il precetto cristiano della mitezza o della arrendevolezza (il famoso “schiaffo nella guancia”), che porta fino all’immolazione di sé sull’esempio di Cristo, non esclude in certi casi quel coraggio che sa affrontare la lotta contro i nemici della giustizia e della pace. Cristo stesso ci dà esempi anche di questo tipo, nello stile dei profeti. Il cristiano sa quindi dosare questi atteggiamenti diversi a seconda dei casi e della volontà di Dio. Ricordiamoci che Cristo è a un tempo Agnello e Leone. Così visse la sua testimonianza cristiana il commissario Luigi Calabresi, ucciso negli anni 1970 dalle Brigate Rosse. Pur potendo trovare il modo di difendersi, non volle farlo dichiaratamente sull’esempio di Cristo. È in preparazione la Causa di Beatificazione.
Non bisogna confondere qualunque uso della forza con la violenza. La violenza è un uso ingiusto della forza; l’uso giusto non è violenza ma giustizia e può essere stretto dovere per la difesa dei deboli e del bene comune e per l’instaurazione della pace. In tal senso vale il detto romano si vis pacem, para bellum.
L’amore cristiano del nemico non va inteso come condanna assoluta dell’uso della forza. In una giusta guerra è lecito anche uccidere il nemico, se non c’è altra possibilità per difendere il bene comune. L’amore del nemico si riferisce ai nostri rapporti privati e significa invece saper trovare i lati buoni anche nei nemici. Il che non significa che non dobbiamo condannare l’offesa che ci infligge e difenderci da essa, soprattutto se vengono coinvolti terzi. Per questo esiste l’ordinamento giudiziario. Si deve tuttavia perdonare il peccatore pentito.
La differenza con l’islam
A differenza della concezione islamica, per la quale il combattente che viene ucciso in guerra è considerato martire, nel cristianesimo, come abbiamo visto, c’è rispetto per il valor militare, ma per il cristiano il martire non è chi aggredisce, ma chi patisce con Cristo e per Cristo. Il cristiano distingue le lotte terrene, che possono anche esser giuste, dalla battaglia per la conquista del regno di Dio ed è solo su questo piano che vale il martirio.
Il sacerdote è il condottiero di questa buona battaglia e pertanto non può prendere le armi, sull’esempio di Cristo sacerdote, che disse: «Il mio regno non è di questo mondo; se fosse di questo mondo, i miei avrebbero combattuto».
Ciò vuol dire che il servizio militare vale nel mondo presente ma non nel mondo futuro, del quale il sacerdote è un annuncio profetico e un antesignano. Ci si può santificare anche nel servizio militare, ma si tratta di un tipo di santità che non esisterà più in cielo, così come altri valori santificanti, per esempio il matrimonio o la vita religiosa, ma che sono legati solo alla vita presente.
IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 36 – 38
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